Epicuro, La filosofia, la felicità e la natura degli dèi

Non c’è un tempo per la filosofia: essa si addice ai giovani e ai vecchi, perché la filosofia porta la felicità, e a tutte le età l’uomo vuole e può essere felice. Il saggio sarà accolto dagli dèi come loro simile.

 

Epistola a Meneceo, 122-124 

 

1      Né il giovane indugi a filosofare né il vecchio di filosofare sia stanco. Non si è né troppo giovani né troppo vecchi per la salute dell’anima. Chi dice che non è ancora giunta l’età di filosofare, o che l’età è già passata, è simile a chi dice che per la felicità non è ancora giunta o è già passata l’età. Cosicché filosofare deve e il giovane e il vecchio: questi perché invecchiando sia giovane di beni per il grato ricordo del passato, quegli perché sia a un tempo giovane e maturo per l’impavidità nei confronti dell’avvenire. Meditare bisogna su ciò che procura la felicità, poiché invero se essa c’è abbiamo tutto, se essa non c’è facciamo tutto per possederla.

2      Le cose che ti ho sempre raccomandato mettile in pratica e meditale reputandole i princípi fondamentali necessari a una vita felice. Per prima cosa considera la divinità come un essere indistruttibile e beato, secondo quanto suggerisce la comune nozione del divino, e non attribuire ad essa niente che sia estraneo all’immortalità o discorde dalla beatitudine; riguardo ad essa pensa invece tutto ciò che è capace di preservare la felicità congiunta all’immortalità. Gli dèi esistono: evidente è infatti la loro conoscenza; non esistono piuttosto nella maniera in cui li considerano i piú, perché cosí come li reputano vengono a toglier loro ogni fondamento di esistenza. Empio poi non è colui che gli dèi del volgo rinnega, ma chi le opinioni del volgo applica agli dèi, poiché non sono prenozioni ma fallaci presunzioni i giudizi del volgo a proposito degli dèi.

 

(Epicuro, Opere, Einaudi, Torino, 1970, pagg. 61-62)