ESCARPIT, IL LETTERATO E IL SOCIALE


La letteratura in quanto processo è caratterizzata da un progetto, da un mezzo e da un approccio, tre aspetti tutti collegati dal linguaggio.

Il progetto è l'opera bruta così come è concepita, voluta e realizzata dallo scrittore. Prima di ogni tentativo di espressione, l'opera e la coscienza dello scrittore sconfinano già in larga misura l'una nell'altra

 

Il progetto è il loro punto di intersezione cosciente e l'evento sociologico sovrasta qui quello psicologico, in quanto, affinché esso si realizzi, è necessario che lo scrittore lo strutturi dialetticamente al livello dell'espressione e al livello del contenuto.

 

Le critiche di tipo generico tradizionali considerano solo l'opposizione primaria tra «forma» e «contenuto» senza vedere che si tratta di una sorta di «gioco ai quattro cantoni» dove lo scrittore deve affrontare l'al-di-là del linguaggio per porre la sua scrittura di fronte alla penetrazione della storia, affrontare la zona di disponibilità del contenuto per porre l'unicità della sua visione del mondo davanti alle strutture della situazione storica e, nello stesso tempo, orientare la dialettica espressione-contenuto verso la ricerca di equilibri successivi continuamente in bilico fra la parola-cosa e la parola-segno. Questa scacchiera è suscettibile di un'infinità di combinazioni tutte uniche e originali e le più letterarie, secondo i criteri che abbiamo ritenuto di adottare, sono quelle che uniscono a un massimo di storicità un massimo di individualità e di espressività.

 

Il mezzo è il libro o quantomeno il documento scritto. È infatti al suo livello che la letteratura, in quanto apparato, di cui ci occuperemo più avanti, incrocia nuovamente la letteratura in quanto processo. Esso costituisce una sorta di laminatoio che codifica linearmente l'opera pluridimensionale. Il linguaggio scritto subisce inoltre la contaminazione delle lingue sussidiarie che, per impiegare le terminologie dei linguisti, si esprimono sul piano dei «sintagmi» (il libro insieme alla sua organizzazione materiale) e su quello dei «sistemi» (tipografia, rilegatura, collana, ecc.). Sia gli uni che gli altri recano l'impronta della situazione storica. Il volumen di papiro, fragile e adattato alla lettura continua dei chierici o dei letterati dilettanti, il robusto codex di pergamena, adattato alla lettura referenziale quotidiana di un lettore meno esigente, il libro stampato prodotto tipico dell'industrializazione, corrispondono a forme di società di cui recano implicitamente l'impronta indipendentemente dal loro contenuto testuale. D'altro lato, la sovraccoperta, il formato, il prezzo lo situano, indipendentemente dal loro significato proprio, a questo o quel livello dell'organizzazione sociale.

 

Rimane l'approccio del lettore. L'atto della lettura riproduce nelle sue grandi linee l'atto della scrittura, ma il lettore non ha un progetto, ha solo una predisposizione che gli deriva dalla sua formazione scolastica, dalle sue esperienze di letture precedenti, dalla sua informazione, ma soprattutto dalla sua problematica personale. Il momento psicologico è qui intimamente connesso all'elemento sociale. La problematica secondo la quale il lettore decodifica il libro e trae dall'opera la conclusione che lo riguarda, è cosciente o subcoscient, espressa o inespressa, ma sempre individuale.

 

L'approccio del lettore si sviluppa simultaneamente su due piani: da un lato quello del pensiero concettuale e dell'immaginazione oggettiva, entrambi socializzati, dall'altro quello del sogno, dell'ossessione, della frustazione, che traducono la sua libertà in una situazione che il libro riconduce a un'esperienza particolare.

 

La differenza di fondo tra il lettore e lo scrittore sta in questo: per quest'ultimo l'elemento psicologico precede la composizione dell'opera e si trova dunque quasi interamente al di là del processo, mentre per il primo esso è uno degli elementi essenziali della sua predisposizione quando si accosta all'opera e fa parte del processo.

 

Vediamo dunque che bisogna creare un equilibrio – adeguamento o opposizione – fra la predisposizione, e la proposta di questo prodotto sociale che è il libro. Ritroviamo qui, ma sotto un'altra forma, il «gioco dei quattro cantoni». Il lettore può fronteggiare questa situazione solo al livello cosciente per porre il suo pensiero dinnanzi a un contenuto formalizzato e per porre la sua libertà dinnanzi alla propria predisposizione, ma nello stesso tempo deve vivere la dialettica coscienza-inconscio parallelamente a quella parola-segno-parola-cosa.

 

L'ovvia conseguenza di ciò è l'esistenza di un'infinità di letture diverse possibili di una medesima opera da parte di un medesimo lettore.

 

Nella lettura in quanto processo, la retroazione è garantita dalla traduzione, dall'adattamento, dall'industrializzazione, insomma da tutto quanto è stato aggiunto posteriormente. Il mediatore è in primo luogo il lettore il quale, successivamente, trae dalla sua esperienza della lettura un'immagine del progetto che assume come proprio e che realizza così come lo scrittore aveva realizzato il progetto iniziale […].

 

La tecnica del rewriting, della riscrittura ammessa affinché l'opera possa venir adattata ai mezzi audiovisivi, sconvolge abitudini di pensiero tradizionali della cultura iniziatica da quando è stata applicata al libro, ma nella misura in cui il libro è ora entrato nella rete dei mezzi di comunicazione di massa, la sua manipolazione non incontra alcun ostacolo insormontabile.

 

Questo ci spinge a concepire attualmente la letteratura come apparato e in quanto tale essa comprende una produzione, un mercato e un consumo. […]

 

Il mercato letterario sarebbe relativamente semplice se la letteratura non fosse ciò che è. Si potrebbe vendere il libro al pari di qualsiasi altro prodotto se soddisfacesse un bisogno collettivo individuabile, come è il caso del libro oggetto o del libro funzionale. Si potrebbero così fare degli studi di mercato, delle previsioni, dei piani per le enciclopedie, i libri scolastici, i libri di cucina e quelli pornografici. La risposta del pubblico a questi libri è soggetta, in quanto istituzionalizzata o stereotipata, alle leggi della statistica. Purtroppo noi sappiamo che nel processo letterario ogni atto di lettura di ciascun individuo è unico e irripetibile. […]

 

Ne deriva che anche se si traduce il comportamento del lettore in linguaggio binario (acquisto o non acquisto) è molto difficile trarre delle conclusioni relative all'acquisto o al non acquisto di un altro libro. L'edizione letteraria è per definizione improgrammabile. Ora, noi sappiamo che non potrebbere esistere editoria senza un minimo di programmazione. La conseguenza di questa contraddizione è che l'edizione letteraria tende a catturare il lettore di opere letterarie attraverso motivazioni non letterarie: abitudini, snobismo, consumo vistoso, sensi di colpa culturali o uso sottile di quello spazio al di là del linguaggio, di quella zona marginale di strutture implicite in cui penetrano fra le altre cose le costrizioni sociali che creano presso il lettore il bisogno di mitigare le inquietudini semiconsapevoli di una insicurezza statisticamente individuabile: malattia, sicurezza dell'impiego, problemi della coppia, paura della guerra, ecc.

 

La programmazione è inoltre consolidata a posteriori grazie alla specializzazione dei circuiti di distribuzione, geograficamente inserita nella rete delle librerie, dei punti vendita e delle biblioteche. Questa rete riproduce rigorosamente l'organizzazione socioeconomica e il suo corrispettivo culturale. Una libreria non può vendere (e una biblioteca non può prestare) se non una parte ridotta della produzione. Libraio e bibliotecario sono dunque costretti a effettuare una selezione che ricalca quella dell'editore (soprattutto nella misura in cui certe opere vengono loro inviate d'ufficio), ma alla quale si sovrappone una seconda fondata sull'immagine che essi hanno dei loro lettori.

 

Tale immagine dipende in parte dal ruolo che essi assegnano alla loro istituzione e in parte dalla conoscenza che riescono a ottenere della predisposizione dei loro lettori. Ora, tale predisposizione non si lascia conoscere se non nella misura in cui dispone di un linguaggio e di canali di comunicazione – e questo è il caso della comunità intellettuale alla quale si riferiscono in generale il libraio o il bibliotecario.

 

Per l'immensa maggioranza dei «lettori silenziosi» il problema viene risolto o con un'indagine statistica retroattiva che abolisce la specificità letteraria del processo lasciando passare solo quella che viene chiamata sottoletteratura o limitando l'offerta a prodotti che comportano rischi minimi: precisamente best-sellers e classici. Sono questi due tipi di produzione che figurano nel catalogo dei «tascabili» letterari dal quale è quasi sistematicamente esclusa la novità letteraria.

 

Best-sellers e classici hanno in comune il fatto di essere livres de fond che consentono un investimento continuo a differenza dei nuovi libri il cui ciclo di produzione rende la loro ristampa poco redditizia dopo l'esaurimento del primo successo, per quanto considerevole possa essere stato.

 

Il problema del successo dell'opera letteraria è complesso. Qui ci occupiamo esclusivamene della sua sopravvivenza che, come sappiamo, svolge un ruolo importante nel processo letterario. La sopravvivenza come possibilità di rilettura in una nuova situazione storica è condizionata dalla sopravvivenza in quanto mantenimento dell'offerta del libro sul mercato. La sola azione delle esigenze economiche elimina in un anno circa il 90% delle opere pubblicate e ciò che resta subisce una seconda eliminazione del medesimo ordine da parte dei gruppi che dirigono l'opinione letteraria (essenzialmente la critica e l'università). Vent'anni dopo la loro pubblicazione, l'1% delle opere sono divenute «classici» e apartengono a un catalogo ne varietur che costituisce lo stereotipo della cutura letteraria, quella che presso l'università viene definita «la letteratura» […].

 

Il consumo letterario, terza articolazione dell'apparato, è evidentemente condizionato, per le opere del passato, da una certa concezione dell'antologia ufficiale e, per le opere attuali, da una certa visione della vita letteraria. L'una e l'altra sono determinate da un certo numero di fattori: livello intellettuale, grado di istruzione, condizione socioprofessionale, ambiente ecc. Per larga parte della popolazione si possono ricondurre a due stereotipi, l'uno scolastico, l'altro informativo, ma possono darsi varianti ideologiche o regionali.

 

Dopo l'avvento dei mezzi di comunicazione di massa audiovisivi, questa situazione tende un po' a modificarsi e la lettura partecipa a un consumo culturale globale la cui dinamica interna non è ancora ben conosciuta. Gli adattamenti cinematografici, radiofonici e soprattutto televisivi hanno influenzato profondamente la visione della letteratura. […] Più che una vita letteraria, che in fondo non è che una parte della sua attualità, il consumatore culturale possiede la visione di un immenso menù offerto al suo appetito di svaghi. I libri letterari vi figurano come piatti prestigiosi, ma verso i quali si rimane scettici per il loro sapore strano e si presume siano difficilmente digeribili. Il consumatore li considera indispensabili al suo prestigio e li consiglia agli altri, anche se, da parte sua, preferisce piatti più sobri e casalinghi. […]

 

Cionondimeno, all'interno di questa comunicazione culturale diffusa, di questa «lettura» permanente che chiama in causa tutti i sensi, il libro si distacca per una sua specificità particolare: è un oggetto che si acquista e si conserva. Rimane lettura in potenza anche sugli scaffali della biblioteca e il possesso di questo potenziale è il contrassegno della ricchezza culturale.

 

(Le littéraire et le social; éléments pour une sociologie de la littérature. Sous la direction de Robert Escarpit, avec Charles Bouazis et al., Paris, Flammarion [1970; tr. it. Letteratura e società, Bologna, il Mulino, 1972], pp. 30-36, R.Escarpit, Il letterato e il sociale.)