Feuerbach, Dio è la ragione

Per Feuerbach quello che in passato i teologi hanno identificato con Dio è in realtà la ragione umana nella sua purezza. Gli attributi che essi hanno ritenuto essere propri di Dio, sono in realtà propri della ragione stessa.

 

L. Feuerbach, L’essenza del cristianesimo, III

 

Rigorosamente parlando, solo quando pensi Dio, pensi; ed invero solo Dio è la facoltà di pensare realizzata, compiuta, esaurita. Solo pensando Dio, dunque, tu pensi la ragione, quale essa è veramente, anche se tu, poi, con l’immaginazione, torni a rappresentarti questo essere come un essere distinto dalla ragione, giacché tu, in quanto essere sensibile, sei abituato a distinguere l’oggetto dall’intuizione, l’oggetto reale dalla rappresentazione del medesimo, ed ora, attraverso l’immaginazione, trasferisci quest’abitudine all’essere della ragione e, perciò, contraddittoriamente, di nuovo attribuisci all’esistenza della ragione, all’essere pensato, l’esistenza sensibile, dalla quale avevi fatto astrazione.

Dio, in quanto essere metafisico, è l’intelligenza soddisfatta in se stessa, o, anzi, viceversa: l’intelligenza soddisfatta in se stessa, l’intelligenza che pensa se stessa come assoluto essere, è Dio in quanto essere metafisico. Tutte le determinazioni metafisiche di Dio sono, perciò, determinazioni reali, se sono riconosciute come determinazioni del pensiero, come determinazioni dell’intelligenza, dell’intelletto.

[...] E cosí, allora, l’intelletto pone se stesso come l’essere originario, primo, anteriore al mondo – cioè, fa di sé, essere della natura primo per grado ma ultimo nel tempo, l’essere primo anche nel tempo.

L’intelletto è, per sé, il criterio di ogni realtà, di ogni effettualità. Ciò che è irrazionale, si contraddice, è niente; ciò che contraddice la ragione, contraddice Dio. Se, ad esempio, contraddice la ragione connettere al concetto della realtà suprema i limiti della spazialità e della temporalità, li nega a Dio, contraddicendo essi la sua essenza. La ragione può credere soltanto in un Dio in armonia con la sua essenza, in un Dio che non è al di sotto della propria dignità, che rappresenta, anzi, solo la propria essenza – cioè, la ragione crede soltanto in sé, nella realtà, nella verità della propria essenza. La ragione non si fa dipendente da Dio, ma fa Dio dipendente da sé.

[...] Ciò che io riconosco come essenziale nell’intelletto, io pongo come essente in Dio; Dio è ciò che l’intelletto pensa come il sommo. Ma, proprio in ciò che io riconosco come essenziale, si rivela la essenza del mio intelletto, si mostra la forza della mia capacità di pensare.

L’intelletto è, quindi, l’Ens realissimum, l’essere reale per eccellenza della vecchia ontoteologia. “In fondo” – dice l’ontoteologia – “noi non possiamo pensare Dio altrimenti che attribuendogli, senza alcun limite, ogni reale che troviamo in noi”.

[...] Come pensi Dio, cosí pensi tu stesso – la misura del tuo Dio è la misura del tuo intelletto. Se tu pensi Dio limitato, il tuo intelletto è limitato; se pensi Dio illimitato, anche il tuo intelletto è senza limiti. Se, ad esempio, pensi Dio come un essere corporeo, non puoi pensarti senza corpo; se, invece, neghi la corporeità a Dio, allora affermi ed attesti, con ciò, la libertà del tuo intelletto dai limiti della corporeità. Nell’essere senza limiti tu rappresenti solo sensibilmente il tuo intelletto senza limiti. Dichiarando quindi questo essere senza limiti il piú essenziale di tutti, il sommo essere, in verità tu non dici altro che questo: l’intelletto è l’être suprème, l’essere sommo.

[...] L’unità dell’intelletto è l’unità di Dio. All’intelletto è essenziale la coscienza della sua unità ed universalità; esso stesso non è altro che la coscienza della sua unità come assoluta unità, in altri termini: ciò che per l’intelletto è conforme all’intelletto, è per esso una legge assoluta, universalmente valida; gli riesce impossibile pensare che ciò che lo contraddice, è falso, non ha senso, sia, in qualche luogo, vero, e, viceversa, che in qualche luogo sia falso ciò che è vero, irrazionale ciò che è razionale.

[...] L’intelletto è l’essere infinito. L’infinità è immediatamente posta con l’unità, la finitezza con la molteplicità. La finitezza – in senso metafisico – si fonda sulla distinzione dell’esistenza dall’essenza, dell’individualità dal genere; l’infinità si fonda sull’unità dell’esistenza e dell’essenza. Finito, perciò, è ciò che può essere confrontato con altri individui della stessa specie; infinito è ciò che è simile solo a se stesso, non ha uguali, conseguentemente non può essere sottoposto come individuo ad un genere, bensí è indistintamente genere ed individuo in uno, essenza ed esistenza. Tale è, appunto, l’intelletto; esso ha la sua essenza in se stesso, di conseguenza non ha nulla accanto e fuori di sé, che possa essergli sostituito; è incomparabile, perché è, esso stesso, la fonte di tutte le comparazioni; è incommensurabile, perché è la misura di tutte le misure, perché noi misuriamo tutto con l’intelletto; non può essere subordinato a nessun essere superiore, a nessun genere, perché è, esso stesso, il principio di tutte le subordinazioni, subordina a se stesso tutte le cose e tutti gli esseri. Le definizioni, dei filosofi speculativi e dei teologi, di Dio come dell’essere in cui non si possono distinguere esistenza ed essenza, come dell’essere che è, esso stesso, tutti gli attributi che possiede, cosí che in lui predicato e soggetto sono identici, tutte queste definizioni sono, quindi, solo concetti dedotti dall’essenza dell’intelletto.

L’intelletto, o la ragione, è, infine, l’essere necessario. La ragione è, perché solo l’esistenza della ragione è ragione; perché, se non ci fosse alcuna ragione, alcuna coscienza, tutto sarebbe niente, l’essere come il non-essere. Solo la coscienza fonda la differenza tra l’essere ed il non-essere. Solo nella coscienza si rivela il valore dell’essere, il valore della natura. Perché, in generale, esiste qualcosa, esiste il mondo? Semplicemente perché, se non esistesse qualcosa, non esisterebbe niente, se non vi fosse la ragione, esisterebbe l’irrazionalità – quindi il mondo c’è, perché è un assurdo che il mondo non sia. Nell’assurdo del suo non essere, tu trovi il vero senso del suo essere; nella mancanza di fondamento dell’assunzione che non ci sia, trovi la ragione per la quale c’è. Il niente, il non-essere è inutile, assurdo, irrazionale.

[...] La ragione e l’essere oggettivantesi come scopo fine a se stesso, lo scopo finale delle cose. Ciò che è oggetto a se stesso, è l’essere supremo, l’essere ultimo; ciò che è in possesso di se stesso è onnipotente.

 

Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XVIII, pagg. 952-957