Feyerabend, L’attore e il filosofo

Paul K. Fayerabend (1929) attraverso un dialogo immaginario fra chi crede di sapere e chi – come Socrate – sa di non sapere propone una riflessione sulla scienza e sui tanti pregiudizi presenti nella cultura contemporanea. In queste pagine si sottolinea la soggettività della conoscenza e si polemizza con i “razionalisti”

 

P. K. Fayerabend, Dialogo sul metodo, 2

 

A. Credi ancora nell’astrologia?

B. Chi ti ha detto che credo nell’astrologia?

A. Tu stesso. Ti ricordi? Quando ci siamo incontrati l’ultima volta, hai parlato a lungo dell’astrologia, delle guarigioni per suggestione e di altri discutibili argomenti. E ne eri molto entusiasta.

B. Non ricordo quel che ho detto.

A. Non è necessario ricordare le parole esatte; la tua posizione implica che...

B. La mia “posizione”?

A. Sí, la tua posizione, la tua filosofia o come preferisci chiamarla.

B. Chi ti ha detto che ho una “filosofia”?

A. Be’, vedo che non sei molto cambiato. Prima fa affermazioni assurde, censuri le buone idee ed esalti le fesserie, dichiari che una cosa dovrebbe essere fatta e quell’altra evitata, ma quando qualcuno ti agguanta e cerca di metterti con le spalle al muro, neghi tutto. “Sono il dottor Jekyll, non ho fatto nulla”. Chi può prenderti sul serio?

B. Hai mai avuto un amico? A. Io ho molti amici.

B. E senza dubbio parli bene di loro. A. Quando ne parlo, sí.

B. Non ti è mai capitato di allontanarti da un amico?

A. Be’, ho avuto qualche delusione.

B. No, intendo qualcos’altro. Ti è mai successo di non essere piú amico di una particolare persona come lo eri prima, senza una ragione precisa? Forse perché ti eri stancato di quella persona.

A. Be’, diventare estranei è possibile, tuttavia in queste faccende cerco di essere razionale...

B. Ma non sempre ci sei riuscito! Capita qualche volta di diventare estranei e forse anche un po’ ostili l’uno verso l’altro, ma non si può mettere il dito nella piaga.

A. In questo caso, certamente proverei a discutere della cosa con il mio amico – l'amicizia non è qualcosa cui si debba rinunciare con leggerezza.

B. Sono d’accordo. Allora ne parlereste. Ma arrivereste sempre ad una conclusione accettabile per entrambi? Essere estranei significa non capirsi a fondo e cosí la discussione potrebbe non approdare a nulla e potrebbe anche essere penosa...

A. Non mi accontenterei certo di quello...

B. Be’, non potresti continuare all’infinito; ad un certo punto dovresti ammettere che non avete piú niente da dirvi; allora la cosa piú ragionevole sarebbe di chiudere e andarsene ognuno per la propria strada.

A. (silenzioso)

B. Capisco, ti ho urtato i nervi...

A. Be’, sono cose che succedono. Ma che cosa c’entra con la nostra questione? Con il tuo rifiuto di mantenere una posizione coerente?

B. Te lo dirò tra un momento. Pensa a un amico che sta lentamente diventando un estraneo. Lo incontri ogni giorno, chiacchieri con lui o con lei, ma sono sempre meno le cose di cui potete discutere insieme, gli interessi che condividete lentamente svaniscono, ti annoi e vedi segni di noia o di impazienza dall’altra parte, il tuo comportamento cambia, e cambia anche quello che dici agli altri del tuo amico...

A. Convengo che cose simili succedono; ma quando capitano, bisogna cercare di scoprirne i motivi.

B. I motivi non hanno importanza – io sto parlando esclusivamente del processo. Può darsi che il tuo amico abbia avuto occasione di conoscere gente nuova, che abbia lievemente mutato il suo modo di vedere, la sua “conoscenza tacita”; può darsi che proprio tu sia cambiato, a causa di mutamenti metabolici, o perché hai visto un film di grande potenza espressiva o perché ti sei innamorato – chi lo sa? Qualunque sia il motivo del mutamento, ora agite diversamente l’uno nei confronti dell’altro e, ciò che piú importa, pensate e parlate diversamente l’uno dell’altro.

A. Ora capisco dove vuoi arrivare! Quello che vuoi dire è che la tua relazione con il mondo e con i suoi aspetti materiali e sociali muta esattamente come muta la relazione tra due persone...

B. Precisamente. Nel 1970, quando scrissi la prima versione di Contro il metodo, il mondo era diverso da quello che è oggi, non solo intellettualmente, ma anche emotivamente...

A. Ma questo non c’entra con il mio rilievo. Non ti ho criticato per aver cambiato filosofia o posizione. Ti ho criticato perché non hai affatto una posizione o ti lasci trasportare da una posizione all’altra a seconda dell’umore. Oggi difendi l’astrologia, domani i tuoi gusti cambiano e fai il panegirico della biologia molecolare...

B. Non mi pare molto probabile...

A. Ad ogni modo, ammettiamo che siano in corso parecchi cambiamenti nell’ambiente che ci circonda. Il tempo cambia, avvengono mutamenti su vasta scala, paragonabili a quelli che dall’epoca glaciale portarono a climi piú caldi, nonché cambiamenti di piccola portata, come il passaggio da un giorno di pioggia a uno di sole, la gente scopre nuove forme di matematica – insomma, avvengono cambiamenti ovunque. I razionalisti, però, non vanno certo alla deriva in questo oceano di trasformazioni, anzi cercano di adattare i propri mutamenti a quelli che li circondano...

B. Vuoi dire che hanno teorie da adattare ai nuovi fatti e alle nuove formule matematiche...

A. Sí. E per quanto riguarda il caso che si dà quando due persone cambiano, è un po’ piú complesso, ma non diverso in linea di principio.

B. E con ciò vuoi dire che in linea di principio posso distinguere il cambiamento che mi concerne da quello che interessa il mio amico e dare di quest’ultimo un resoconto oggettivo.

A. Sí.

B. Per esempio, entrando nei dettagli, potrei dire che proprio ora “oggettivamente” un sorriso amichevole illumina il suo volto, indipendentemente dal fatto che qualcuno lo guardi o no.

A. Sí.

B. Ma indubbiamente sai che lo stesso volto inserito in storie diverse, può essere letto in modi diversi.

A. Che cosa intendi dire?

B. Supponiamo di avere a disposizione il disegno di un volto sorridente. Ora lo inseriamo in un testo che dice “... finalmente teneva la creatura tra le braccia – suo figlio. Il suo unico figlio! Lo guardava teneramente e sorrideva...” – be’, il lettore interpreterà l’illustrazione come l’immagine di una persona il cui volto esprime un tenero sorriso.

A. E allora?

B. Poi accosta lo stesso disegno al seguente testo: “... finalmente il suo nemico si era prostrato ai suoi piedi, chiedendo umilmente pietà. Si chinò verso di lui con un sorriso crudele e disse...” – nel qual caso “lo stesso identico” disegno sarà letto come espressione di un sorriso crudele. Un volto, dopo tutto, può essere letto in molti modi diversi, a seconda della situazione...

A. Ma...

B. Un momento. Lascia che ti faccia ancora qualche esempio! Tempo fa mi innamorai pazzamente di una signora iugoslava, una ex campionessa olimpica.

A. Ho sentito parlare delle tue avventure.

B. Pettegolezzi maligni, senza dubbio! Bene, quando la storia ebbe inizio, io avevo ventotto anni e lei quaranta. Restammo insieme per qualche anno e poi ci lasciammo. Io andai in Inghilterra e poi negli Stati Uniti. Quando lei aveva circa sessant’anni, andai a trovarla. Suonai il campanello, la porta si aprí e dietro c’era una piccola signora grassottella e brizzolata. “Aha – mi dissi – ha preso una domestica” – invece era lei e, appena me ne resi conto, il suo viso cambiò e divenne il viso piú giovane che io ricordi. Un altro esempio: negli Stati Uniti ho sposato una donna molto piú giovane di me e molto attraente. Il matrimonio non è riuscito bene.

A. Senz’altro è stata colpa tua!

B. Non penso che sia stata colpa di qualcuno, benché ammetta di essere una persona con cui è difficile vivere. Comunque, dopo qualche tempo, non mi sembrava piú cosí bella. Un giorno andai in biblioteca a curiosare nella sezione dei giornali e là, in distanza, vidi una signora molto attraente. Naturalmente la avvicinai, ma era proprio mia moglie e, nel momento in cui me ne resi conto, lei cambiò e il suo volto divenne solo un viso qualunque.

A. Come don Giovanni e donna Elvira...

B. Esatto! È un eccellente paragone! Un terzo esempio. Alcuni anni fa camminavo verso un muro, quando vidi un tipo poco raccomandabile avanzare nella mia direzione. “Chi è quel vagabondo?” mi chiesi – poi scoprii che il muro era in realtà uno specchio e che stavo guardando soltanto me stesso. Immediatamente il vagabondo si trasformò in un tipo dall’aspetto elegante e intelligente. Sicché, come vedi, non si può parlare del sorriso “oggettivo” di una persona e, siccome le relazioni umane sono composte di sorrisi, gesti e sensazioni, l'amicizia “oggettiva” è una nozione impossibile quanto quella di grandezza intrinseca: le cose sono grandi o piccole relativamente a altre cose, non in se stesse. Un sorriso è un sorriso per un osservatore, non in sé e per sé.

A. Ma le relazioni possono essere oggettive, la teoria della relatività dimostra che...

B. No, se gli elementi tra cui si instaura la relazione sono coinvolti in un processo storico che produce nuovi eventi! In questo caso possiamo descrivere una fase particolare della relazione; non possiamo generalizzare, poiché non c’è alcun sostrato permanente che contenga caratteristiche permanenti e oggettivabili. Considera per esempio la storia della ritrattistica in Occidente, dalla Grecia arcaica fino a, che so, Picasso, Kokoschka e i fotografi moderni. E non commettere l’errore di supporre che queste immagini rivelino quello che la gente vedeva, quando guardava gli altri – quei pochi aneddoti che ti ho raccontato mostrano in modo evidente, almeno per me, che non saprò mai come mi vedi tu, come mi vedo io stesso e, quindi, non saprò mai come “realmente” sono o, a questo proposito, chi “realmente” sia chiunque altro. Per quanto mi riguarda, tutti i tentativi di autoidentificazione sono riusciti soltanto a congelare un certo aspetto, ma non a rivelare una “realtà” indipendente da quell’aspetto. Pirandello parla spesso di queste cose, per esempio, nel suo Enrico IV: “Guai se vi affondaste come me a considerare questa cosa orribile, che fa veramente impazzire: che siete accanto a un altro, e gli guardate gli occhi – come io guardavo un giorno certi occhi – potete figurarvi come un mendico davanti a una porta in cui non potrà mai entrare: chi vi entra non sarete mai voi, col vostro mondo dentro, come lo vedete e lo toccate; ma uno ignoto a voi, come quell’altro nel suo mondo impenetrabile vi vede e vi tocca” i. Cosí, tutto quello che si può fare è di riportare le proprie impressioni, d~ contornare questi resoconti con qualche commento e di sperare per il meglio.

A. Ma questo è assurdo.

B. Naturalmente sí! Viviamo in un mondo assurdo! A. Aspetta un attimo! Aspetta un attimo! Stiamo parlando di queste cose e veniamone al dunque. Pensa a un attore – mi pare che gli attori ti piacciano.

B. Certamente sí. Creano illusioni e lo sanno, mentre il tuo filosofo medio, pur conoscendo assai di meno l’arte del trucco – un trucco intellettuale, in questo caso – è afflitto dall’illusione di aver trovato “la verità”.

 

P. K. Fayerabend, Dialogo sul metodo, Laterza, Bari, 1993, pagg. 109-115