Fromm, Le radici degli errori di Freud

Erich Fromm (1900-1980) svolge qui una analisi critica del pensiero di S. Freud, individuandone i limiti nell’influenza esercitata dal “materialismo borghese” sulla sua concezione della sessualità come fondamento della vita psichica, e nel carattere “di classe” che assumono alcune sue teorie (come quelle sulla donna e sull’amore) le quali riflettono il suo atteggiamento patriarcale maschile.

 

E. Fromm, Grandezza e limiti del pensiero di Freud, I

 

L’uomo può afferrare la verità solo quando può regolare la propria vita sociale in modo umano, dignitoso e razionale, senza timore e quindi senza cupidigia; per servirci di un’espressione politico-religiosa: solo nel Tempo Messianico la verità può essere ravvisata fin dove sia ravvisabile.

 

L’applicazione di questo principio a Freud richiede che per capirlo si debba tentare di riconoscere quale delle sue scoperte sia stata effettivamente nuova e creativa, sino a che punto dovesse esprimerle in maniera distorta, e come, affrancando le proprie idee da queste pastoie, le sue scoperte diventino tutte piú feconde.

Rifacendoci a quanto è stato generalmente detto del pensiero di Freud, sorge la domanda di che cosa fosse davvero inconcepibile per lui, e quindi che cosa fosse il “blocco stradale” oltre il quale non poteva procedere.

Se vogliamo rispondere alla domanda di che cosa fosse effettivamente impensabile per Freud, possiamo scorgere solo due costellazioni:

 

1) La teoria del materialismo borghese qual era stata sviluppata soprattutto in Germania da uomini come Vogt, Moleschott e Büchner. In Kraft und Stoff (Forza e materia) (1855), quest’ultimo asseriva di aver scoperto che non c’era forza senza materia, né materia senza forza, dogma che godeva di vasti consensi all’epoca di Freud. Il dogma del materialisma borghese era quello dei suoi insegnanti, soprattutto del piú importante di essi, von Brücke. Freud fu a lungo profondamente influenzato dal pensiero di questi e dal materialismo borghese in generale, ragion per cui non era in grado di concepire che potessero esistere possenti energie psichiche di cui fossero indimostrabili specifiche radici fisiologiche. Il reale proposito di Freud era la comprensione delle passioni umane, che fino ad allora avevano interessato filosofi, drammaturghi e romanzieri, non però psicologi o neurologi. Ma come poteva Freud risolvere il problema? In un’epoca in cui si sapeva relativamente poco dell’influenza degli ormoni sulla psiche, in realtà c’era un unico fenomeno di cui fosse ben noto il nesso tra psicologia e fisiologia, ed era la sessualità. Se si potesse considerare la sessualità come radice di tutte le pulsioni, ecco soddisfatta l'esigenza teorica, e le radici fisiologiche delle energie psichiche sarebbero scoperte. Piú tardi, fu Jung a liberarsi da tale legame, e in questo risiede, a mio parere, un contributo davvero prezioso al pensiero di Freud.

2) Il secondo complesso di pensieri inconcepibili aveva a che fare con l’atteggiamento borghese e autoritario-patriarcale di Freud. Una società nella quale le donne fossero davvero pari agli uomini, e nella quale questi non dominassero nonostante la loro presunta superiorità fisiologica e psichica, era del tutto inconcepibile per Freud, il quale, allorché John Stuart Mill, da lui grandemente ammirato, espresse le proprie idee sull’eguaglianza femminile, in una lettera scrisse che “sotto questo riguardo Mill è semplicemente pazzo”. L’aggettivo “pazzo” è tipico per definire ciò che è inconcepibile; gran parte della gente definisce pazze certe idee poiché sensato è solo ciò che rientra nello schema referenziale del pensiero convenzionale, per cui quanto lo trascende risulta pazzo per l’individuo medio. (Ben diverse sono tuttavia le cose quando l’autore, o l’artista, ha grande successo: non è forse questo una conferma di sanità mentale?) Proprio il fatto che l’idea dell’eguaglianza femminile fosse inconcepibile per Freud, lo portò all’elaborazione della sua psicologia della donna. Ritengo che la sua convinzione che una metà dell’umanità fosse biologicamente, anatomicamente e psichicamente inferiore all’altra, sia pressoché l’unica idea del pensiero di Freud a sembrare priva della minima possibilità di riscatto: è semplicemente la descrizione di un atteggiamento maschile chauvinistico.

È indubbio tuttavia che il carattere borghese del pensiero di Freud lo si può rintracciare solo in quest’estrema forma di patriarcalismo. In realtà, pochi sono i pensatori che siano “radicali”, nel senso di trascendere la mentalità della loro classe, e Freud non rientrava nel novero. Le premesse di classe del suo pensiero improntano di sé praticamente tutte le sue asserzioni teoriche e il suo modo di pensare. Visto però che radicale non era, come avrebbe potuto essere altrimenti? In effetti, non ci sarebbe stato niente da ridire, tranne il fatto che i suoi discepoli, ortodossi e no, ne venivano incoraggiati nel loro atteggiamento acritico verso la società. Tale posizione di Freud spiega anche come mai la sua opera, che era una teoria critica, cioè la critica della consapevolezza umana, abbia prodotto pochissimi pensatori radicali.

Sarebbe necessario un intero volume solo per analizzare i piú importanti concetti e teorie di Freud sotto il profilo della loro origine di classe, cosa che non si può fare di certo nei limiti di questo libro. Sicché, per illustrarli ci serviremo solo di pochi esempi.

 

a) Il fine terapeutico di Freud era il controllo delle pulsioni istintuali attraverso il rafforzamento dell’io; esse devono essere domate dall’io e dal superio. Sotto quest’ultimo rispetto, Freud è vicino al pensiero teologico medioevale, anche se con l’importante differenza che nel suo sistema non c’è posto né per la grazia né per l’amore materno che vada oltre il nutrimento del figlio. La parola chiave è controllo.

Il concetto psicologico corrisponde alla realtà sociale. Esattamente come la maggioranza è socialmente controllata da una minoranza dominante, cosí si suppone che la psiche debba essere controllata dall’autorità dell’io e del superio. Il pericolo dell’irruzione dell’inconscio comporta il pericolo di una rivoluzione sociale. La repressione è un metodo autoritario di proteggere la situazione interna ed esterna, né v’è dubbio che sia l’unico modo per affrontare i problemi di mutamento sociale. Ma la minaccia della forza per reprimere ciò che è “pericoloso” è necessaria solo in un sistema autoritario dove il mantenimento dello status quo è il fine supremo. Altri modelli di strutture sociali e individuali possono essere costruiti e sperimentati. In ultima analisi, il quesito è quanta rinuncia di felicità debba imporre alla maggioranza la minoranza dominante di una data società; la risposta risiede nello sviluppo di forze produttive della società stessa, e quindi nel grado di inevitabile frustrazione dell’individuo. L’intero sistema “superio, io, es” è una struttura gerarchica escludente la possibilità che l’associazione di liberi, a esempio esseri umani non sfruttati, possa vivere in armonia e senza la necessità di controllare forze negative.

 

b) Va da sé che la grottesca immagine freudiana delle donne (cfr. S. Freud, 1933 a, Lezione XXXIII) come di esseri essenzialmente narcisistici, incapaci di amore e sessualmente freddi, è mera propaganda maschile, dovuta al fatto che la donna della classe media era di regola sessualmente frigida, poiché il carattere di proprietà del matrimonio borghese condizionava le donne alla frigidità. Erano possessi e quindi dovevano essere “inanimate” nel matrimonio. Solo alle donne della classe superiore e alle cortigiane era permesso essere soggetti sessualmente attivi (o per lo meno fingere di esserlo). Né stupisce che per gli uomini l’esperienza della brama fosse legata alla conquista; la sopravvalutazione dell’“oggetto sessuale”, che stando a Freud è solo dell'uomo (un’altra carenza delle donne!), è, mi sembra, essenzialmente il piacere della caccia e della possibile conquista. Una volta che questa fosse stata assicurata dal primo rapporto sessuale, la donna veniva relegata al compito di far figli e di essere una efficiente massaia, trasformandosi cosí da oggetto di conquista in non-persona. Se molte delle pazienti di Freud fossero appartenute alle classi alte francesi e all’aristocrazia inglese, il suo rigido ritratto della donna fredda avrebbe potuto essere diverso.

 

c) Forse l’amore è l’esempio piú macroscopico delle caratteristiche borghesi degli apparentemente universali concetti freudiani. In realtà, Freud parla di amore piú di quanto sogliano fare i suoi ortodossi seguaci. Ma che intende con amore?

È della massima importanza notare che Freud e i suoi discepoli di solito parlano di “amore oggettuale” (contrapposto ad “amore narcisistico”) e di un “oggetto d’amore” (riferito alla persona che si ama). Ma esiste davvero qualcosa come l’“amore oggettuale”? La persona amata non cessa forse di essere un oggetto, vale a dire qualcosa che è a me esterno e opposto (dalla stessa radice di “obiettare, opporsi”)? L’amore non è forse precisamente l’attività interiore che unisce due persone, sí che cessino di essere oggetti, vale a dire l’una il possesso dell’altra? Parlare di oggetti d’amore significa parlare di avere, con esclusione d’ogni forma di essere (cfr. E. Fromm, 1976 a), ed equivale alle affermazioni di un mercante che parli di investimenti di capitale. In questo secondo caso a essere investito è appunto un capitale; nel primo, la libido. Piú che logico quindi che spesso nella letteratura psicoanalitica si parli di amore come di “investimento” libidico in un oggetto. È tipico della banalità di una cultura mercantile aver ridotto l’amore di Dio, di uomini e donne, dell’umanità, a investimento; o prendere l’entusiasmo di un Rumi, di un Eckart, di uno Shakespeare, di uno Schweitzer, come manifestazione della ristrettezza mentale di gente appartenente a una classe che ritiene che investimento e profitto siano il vero significato della vita.

Dalle sue premesse teoriche Freud è costretto a parlare di “oggetti” d’amore, poiché “la libido rimane libido quando sia rivolta a oggetti o al proprio io” (S. Freud, 1916-17, pag. 420). L’amore è energia sessuale rivolta a un oggetto; non è altro che istinto fisiologicamente radicato indirizzato verso un oggetto; è, per cosí dire, un prodotto di scarto della necessità biologica per la sopravvivenza della razza. Negli uomini, l’“amore” è per lo piú del genere “attaccamento”, precisamente alle persone che sono divenute preziose grazie al soddisfacimento di altre necessità vitali (il bere e il mangiare). Cioè l’amore dell’adulto non differisce da quello del bambino, poiché entrambi amano chi li nutre. E per molti è indubbiamente vero, poiché un amore di questo genere è una sorta di affettuosa gratitudine per il fatto di essere nutriti. Ma dire che è questa l’essenza dell’amore è sconsolantemente banale. (Le donne, dice Freud [s. Freud, 1933 a, pag. 1327], non possono pervenire a quest’alto raggiungimento perché esse amano “narcisisticamente”, amando se stesse nell’altro.)

Postula Freud: “L’amore in se stesso, in quanto desiderio e privazione, abbassa il rispetto di sé, laddove essere amati, vedere ricambiato il proprio amore e possedere l’oggetto d’amore, lo esalta vieppiú”. (S. Freud, 1944 c, pag. 99. Il corsivo è mio.) Tale affermazione è una chiave per la comprensione del concetto freudiano di amore. L’amore, che implica desiderio e privazione, abbassa l’autorispetto. A coloro che proclamavano l’esaltazione e la forza che l’amare dà all’amante, Freud replicava: Sbagliate tutti! Amare vi rende deboli; ciò che vi rende felici è essere amati. E che significa essere amati? È possedere l’oggetto amato! È questa una classica definizione di amore borghese: il possesso e il controllo fanno la felicità, sia questa una proprietà materiale o una donna che essendo posseduta, possiede l’amore del possessore. L’amore comincia come risultato del fatto che il figlio è nutrito dalla madre, e si conclude nel possesso da parte del maschio della femmina, che deve ancora nutrirlo di affetto, piacere sessuale e cibo. Rintracciamo forse qui la chiave per il concetto del complesso di Edipo. Facendo balenare lo spauracchio dell’incesto, Freud cela ciò che ritiene sia l’amore maschile: l’eterno attaccamento a una madre che nutre e che nello stesso tempo è sottoposta al controllo del maschio. In realtà, ciò che Freud dice tra le righe è probabilmente azzeccato per quanto riguarda la società patriarcale: il maschio rimane un individuo dipendente, che però nega tale dipendenza esaltando la propria forza, di cui dà prova facendo della femmina un suo possesso.

Ricapitolando: i principali fattori dell’atteggiamento patriarcale maschile sono la dipendenza dalla femmina e il suo rifiuto di tale dipendenza attraverso il controllo della femmina stessa. Freud, una volta di piú, ha trasformato una specifica caratteristica, quella dell’amore patriarcale maschile, in un fenomeno umano universale.

 

(E. Fromm, Grandezza e limiti del pensiero di Freud, Mondadori, Milano, 1979, pagg. 15-29)