Kant, Il problema della metafisica

Per Kant la metafisica è immanente alla ragione umana, cioè costituisce una sua “disposizione naturale”. Una volta la metafisica era considerata la regina delle scienze; ai tempi di Kant appare ripudiata e abbandonata. L'empirismo e l'illuminismo hanno prodotto il disprezzo o quanto meno l'indifferenza nei confronti della metafisica. Ma il disprezzo e l'indifferenza sono soltanto apparenti: anche chi pretende di tenersi lontano dalla metafisica ricade inevitabilmente in essa, dato il suo carattere “naturale”. Il problema, quindi, non è tanto quello di liberarsi della metafisica, quanto quello di valutare se essa può avere le caratteristiche della scienza. Kant compie un gesto “rivoluzionario” e chiama la ragione a decidere: la ragione critica e giudica se stessa; riconosce i propri limiti, ma (al contrario di quanto aveva fatto John Locke) non si arresta di fronte ad essi, perché - una volta individuato il confine fra scienza e non scienza - niente può sottrarsi alla sua analisi critica, a partire dai motivi per cui “cade in oscurità e contraddizioni”.

 

I. Kant, Critica della ragion pura, “Prefazione alla prima edizione” e “Introduzione alla seconda edizione”

 

La ragione umana, in un certo genere della sua conoscenza, è particolarmente destinata a trovarsi gravata di questioni, che non può evitare - poiché esse le sono imposte dalla natura della ragione stessa - alle quali tuttavia non può dare risposta, poiché esse superano ogni potere della ragione umana. Essa incorre senza sua colpa in queste perplessità. Incomincia da princípi fondamentali il cui uso nel corso dell'esperienza è inevitabile e in pari tempo accertato da questa a sufficienza. Con essi sale (come porta pure con sé la sua natura) sempre piú in alto, a condizioni piú remote. Ma a questo punto essa si rende conto che in tal maniera il suo compito deve rimaner ognora incompiuto, perché le questioni non finiscono mai: e cosí si vede obbligata a ricorrere a princípi fondamentali che superano ogni possibile uso di esperienza e tuttavia appaiono cosí insospettabili, che anche la ragione comune degli uomini ne ha intelligenza.

Ma con ciò essa cade in oscurità e contraddizioni dalle quali può appunto ricavare che vi devono essere alla base, nascosti da qualche parte, degli errori che però essa non può scoprire, perché i princípi di cui si serve, siccome si estendono oltre i limiti di ogni esperienza, non riconoscono piú nessuna pietra di paragone della esperienza. Il campo di battaglia di questi infiniti conflitti si chiama ora Metafisica.

Vi fu un tempo, in cui essa venne detta la regina delle scienze, e, se si considera l'intenzione piuttosto che i fatti, meritò certamente questo titolo a causa della preminente importanza del suo oggetto. Ora, la moda della nostra epoca porta a mostrarle ogni disprezzo, e la matrona piange, ripudiata e abbandonata, come Ecuba: Modo maxima rerum, tot generis natisque potens, nunc trahor exul inops (“Fino a poco fa la piú grande e potente per tanti generi e figli, ora mi trascino, esule e senza aiuto”, Ovidio, Le metamorfosi, XIII, vv. 508-510).

Da principio, sotto il governo dei dogmatici, la sua signoria fu dispotica. Ma poiché la legislazione aveva in sé ancora la traccia dell'antica barbarie, essa degenerò via via, attraverso guerre interne, in piena anarchia, e gli scettici, una specie di nomadi, che rifuggono da ogni coltivazione stabile del suolo, produssero di tempo in tempo degli scismi nell'unione della civiltà. Siccome, per fortuna, questi scettici sono stati pochi e non hanno potuto impedire che cercassero di ricostruire sempre di nuovo quella unità, sebben senza alcun piano coerente. Nell'Età moderna sembrò per un momento che una certa fisiologia dell'intelletto umano (opera del celebre Locke) dovesse por fine a tutte queste polemiche, e si dovesse decidere in via definitiva della legittimità di quelle pretese. Si trovò, per altro, che, sebbene l'origine di quella presunta regina venisse fatta risalire al popolo dalla comune esperienza e perciò avrebbe dovuto a buon diritto essere sospettata di usurpazione, tuttavia essendole questa genealogia di fatto falsamente attribuita, essa continuava a sostenere le proprie pretese; sicché tutto cadde di nuovo nell'antiquato, tarlato dogmatismo e da questo nel disprezzo del quale si sarebbe voluta tirar fuori la scienza. Adesso, dopo che tutte le vie (come si può vedere) sono state tentate invano, predominano nelle scienze amarezza e totale indifferenza, il caos e la notte: ma pur vi appare insieme l'inizio, o almeno il preludio, di un loro prossimo rinnovamento e di una loro illuminazione, dopo che sono state ridotte da una diligenza impiegata male, a oscure, erronee e inservibili.

È vano infatti voler mostrare indifferenza di fronte a tali ricerche, l'oggetto delle quali non può essere indifferente alla natura umana. Inoltre, i presunti indifferentisti, per quanto pensino di rendersi irriconoscibili mutando il linguaggio scolastico in un tono popolare, qualunque cosa pensino, ricadono inevitabilmente in quelle affermazioni metafisiche, verso le quali dimostravano tanta disistima. Intanto, questa indifferenza, che si manifesta in mezzo alla fioritura di tutte le scienze e colpisce appunto quelle le cui cognizioni, se si potesse averne, si ricuserebbero il meno possibile fra tutte, è pure un fenomeno che merita attenzione e riflessione. Essa è palesemente effetto non di leggerezza ma della matura capacità di giudicare dell'epoca che non vuole piú essere sorretta da un sapere apparente ed è un invito posto alla ragione di intraprendere a nuovo la conoscenza di sé e istituire una corte di giustizia che l'assicuri delle sue giuste rivendicazioni e per contro possa farla finita con tutte le pretese senza fondamento, non mediante decisioni arbitrarie ma secondo le sue leggi eterne e immutabili. E questo tribunale non è altro che la stessa critica della ragione pura.

Sotto questo titolo io intendo, non una critica delle opere [dei libri] e dei sistemi, ma quella della facoltà di ragionare in generale, in considerazione di tutte le conoscenze alle quali la ragione può tendere, indipendentemente da ogni esperienza: e con ciò intendo la decisione circa la possibilità o l'impossibilità di una metafisica in generale, e la determinazione sia delle fonti sia dell'estensione e dei limiti di essa; una decisione che però deve essere fondata su princípi.

[...]

Ma per quanto riguarda la metafisica, il suo cattivo modo di procedere fino ad oggi, e il fatto che non si può dire di nessuna singola metafisica finora prospettata, per quanto riguarda il suo scopo essenziale, che essa attualmente esista, fanno dubitare ognuno, con fondamento, della sua possibilità di esistere.

Tuttavia, anche questa specie di conoscenza è, in certo senso, da considerare come data, e la metafisica è in atto [esiste realmente], se non come scienza, almeno come disposizione naturale (metaphysica naturalis). Poiché la ragione umana procede incessantemente - non che sia spinta a ciò da mera vanità di troppo sapere, ma per un bisogno suo proprio - fino a tali questioni, che non possono trovar risposta mediante nessuna applicazione sperimentale della ragione né attraverso princípi da essa dedotti, e cosí realmente una qualche forma di metafisica vi è stata e vi sarà sempre in tutti i tempi e per tutti gli uomini, non appena la ragione si apre in loro fino alla speculazione. E cosí anche per la metafisica sorge allora la questione: Come è possibile la metafisica in quanto disposizione naturale? Ci si chiede cioè come sorgono le questioni che si propone la ragion pura, e a cui essa, per quel che può, è sollecitata a rispondere per sua propria esigenza, secondo la natura dell'universale ragione umana?

Ma siccome in tutti i precedenti tentativi di soluzione di tali questioni naturali - per esempio, se il mondo abbia un inizio o esista dall'eternità, e cosí via - hanno sempre incontrato inevitabili contraddizioni, non ci si può accontentare della semplice disposizione naturale per la metafisica, cioè della stessa pura facoltà razionale, dalla quale appunto nasce sempre una metafisica, quale che si voglia. Deve essere invece possibile pervenire alla certezza intorno ad essa, o nella conoscenza o nella non conoscenza dei suoi oggetti, ossia o nella decisione sugli oggetti delle sue domande o nella decisione sulla capacità della ragione di stabilire qualcosa intorno a questi oggetti; si tratta, dunque, o di ampliare con sicurezza la nostra ragion pura o di porle limiti determinati e sicuri. Quest'ultima questione, che scaturisce dal precedente problema generale, troverebbe una giusta formulazione nella domanda: Come è possibile la metafisica come scienza?

 

 (Grande Antologia Filosofica, Marzorati, Milano, 1971, vol. XVII, pagg. 198-200, 208-209)