Kelsen, Giustizia e diritto positivo

L’idea di giustizia non è altro che un’astrazione di fronte alla quale sta la concretezza del diritto positivo. Ma Kelsen osserva che i rivoluzionari rifiutano quest’approccio al problema.

 

H. Kelsen, Reine Rechtslehre. Einleitung in die rechtswissenschaftliche Problematik, Wien, 1934; trad. it. Lineamenti di dottrina pura del diritto, a cura di R. Treves, Einaudi, Torino 1967, pag. 59

 

Dal punto di vista della conoscenza razionale, ci sono soltanto degli interessi e quindi dei conflitti di interessi la cui soluzione è data da un ordinamento degli interessi che o soddisfa un interesse contro l’altro e a spese dell’altro, oppure stabilisce un accordo, un compromesso fra gli interessi contrastanti. Per la via della conoscenza razionale non si può certo stabilire se l’uno o l’altro ordinamento abbia un valore assoluto e sia cioè “giusto”. Se vi fosse una giustizia nel senso in cui si suole invocare la sua esistenza quando si vuole che prevalgano certi interessi di fronte ad altri, il diritto positivo sarebbe allora del tutto superfluo e la sua esistenza del tutto inconcepibile. Di fronte alla presenza d’un ordinamento sociale assolutamente buono risultante dalla natura o dalla ragione o dalla divina volontà, l’attività del legislatore statale sarebbe l’insensato tentativo di illuminare artificialmente la splendente luce solare. Ma l’obiezione corrente che esiste in verità una giustizia, ma che soltanto non si lascia determinare o, ciò che è lo stesso, non si lascia determinare in modo univoco, è di per sé una contraddizione, e in questa sua contraddizione sta il velo tipicamente ideologico che copre il vero e troppo doloroso stato delle cose. La giustizia è un ideale irrazionale. Per quanto essa possa essere indispensabile per la volontà e l’azione dell’uomo, essa non è però accessibile alla nostra conoscenza. All’uomo è dato soltanto il diritto positivo, piú esattamente, è dato come oggetto di ricerca. Quanto meno ci si sforza di distinguere il diritto dalla giustizia, quanto piú si cerca in certo qual modo di far valere il diritto come giusto contro gli sforzi provenienti dal potere legislativo, tanto piú si favorisce quella tendenza ideologica che è caratteristica della dottrina classica conservatrice del diritto naturale. A questo non importa tanto la conoscenza del diritto vigente quanto la giustificazione del medesimo, l’esaltazione di esso ottenuta dalla prova che il diritto positivo è soltanto l’espressione d’un ordine naturale, divino o razionale, cioè di un ordine assolutamente giusto. Al contrario la dottrina giusnaturalistica rivoluzionaria che ha nella storia della scienza del diritto una parte relativamente modesta, persegue l’idea opposta: di porre in dubbio il valore del diritto positivo sostenendo che esso è in contrasto con un ordine assoluto presupposto in un modo qualsiasi, e di porre quindi la realtà giuridica in una luce meno favorevole di quella corrispondente a verità.

 

Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. IV, pagg. 114-115