Keynes, Contro la metafisica economica

John Maynard Keynes (1883-1946), uno dei piú importanti economisti di questo secolo, è famoso soprattutto per aver criticato la dottrina liberista e di aver proposto l’intervento diretto dello Stato in campo economico. Egli è considerato il teorico del Wellfare State. La sua opera piú importante è La teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e del denaro (1936).

La metafisica economica, contro cui John Maynard Keynes polemizza in questa breve lettura, è il principio liberista, che è considerato la base dell’economia dal tempo dei teorici  fisiocratici.

 

J. M. Keynes, The end of Laissez-faire, [La fine del Laissez-faire, 1926]; trad. it. di A. Campolungo, pagg. 284-288

 

Liberiamoci dai principî metafisici o generali sui quali, di tempo in tempo, si è basato il lasciar fare. Non è vero che gli individui posseggano una “libertà naturale” imposta sulle loro attività economiche. Non vi è alcun patto o contratto che conferisca diritti perpetui a coloro che posseggono o a coloro che acquistano. Il mondo non è governato dall’alto in modo che gli interessi privati e sociali coincidano sempre. Esso non è condotto quaggiú in modo che in pratica essi coincidano. Non è una deduzione corretta dai principi di economia che l’interesse egoistico illuminato operi sempre nell’interesse pubblico. Né è vero che l’interesse egoistico sia generalmente illuminato; piú spesso individui che agiscono separatamente per promuovere i propri fini sono troppo ignoranti o troppo deboli persino per raggiungere questi. L’esperienza non mostra che gli individui, quando costituiscono un’unità sociale, siano sempre di vista meno acuta di quando agiscono separatamente.

[...]

La bellezza e la semplicità di questa teoria [la teoria economica del laissez-faire] sono tali che è facile dimenticare che essa trova conforto non nella realtà dei fatti ma in ipotesi incomplete, introdotte per amore della semplicità. A parte altre obiezioni [...] la conclusione secondo cui individui che agiscono indipendentemente l’un l’altro, ciascuno alla ricerca del proprio tornaconto, generano nel loro insieme la massima ricchezza per la società dipende da un insieme di assunzioni irrealistiche [...]. Inoltre, molti di coloro che riconoscono che le ipotesi semplificate non corrispondono accuratamente ai fatti, concludono cionondimeno che esse rappresentano ciò che è “naturale” e come tale ideale. Essi guardano alle ipotesi semplificate come allo stato di salute, e alle ulteriori complicazioni come alla malattia [...].

Cominciamo con il togliere di mezzo i principi metafisici o generali su cui di volta in volta si è voluto fondare il laissez-faire. Non è vero che, nel loro agire economico, gli individui dispongano per diritto di una “libertà naturale”. Non esiste contratto naturale che conferisca diritti perpetui a quelli che “hanno” o a quelli che “acquisiscono”. Il mondo non è governato dall’alto in modo tale da far sempre coincidere l’interesse privato con quello sociale; e non è amministrato quaggiú in modo che i due interessi coincidano nella pratica. Non è corretto dedurre dai principi dell’economia che un illuminato interesse personale operi sempre anche nell’interesse pubblico. E non è nemmeno vero che l’interesse personale sia generalmente illuminato; molto spesso gli individui che agiscono in proprio per perseguire fini personali sono troppo ignoranti o troppo deboli perfino per realizzare questi fini. L’esperienza non dimostra che gli individui, allorché costituiscono un’unità sociale, abbiano sempre una visione meno chiara di quando operano singolarmente.

Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. IV, pagg. 5 e 50-51