Klein, Il gioco nella psicoanalisi del bambino

Secondo Melanie Klein (Vienna 1882-Londra 1960) la tecnica del gioco da lei utilizzata nella psicoanalisi infantile assolve la stessa funzione che anno le “associazioni libere” nell’analisi degli adulti. L’analista deve interpretare e comunicare al bambino il significato simbolico inconscio che assume l’azione ludica compiuta in sua presenza e in questo modo si arriva a gettare luce sui suoi processi inconsci, sull’origine delle sue ansie, paure, sensi di colpa. Il bambino deve essere messo in condizione di sperimentare liberamente le sue emozioni e le sue fantasie, servendosi di materiali ludici appropriati – oggetti piccoli, semplici, non meccanici – che si prestino a creare le situazioni piú diverse. Spesso nel gioco il bambino manifesta la sua aggressività e i suoi impulsi distruttivi – ad esempio rompendo un giocattolo –; anche in questo caso il compito dell’analista è quello di osservare, comprendere e comunicare al bambino ciò che avviene il lui, senza esprimere valutazioni morali e senza voler esercitare alcun ruolo educativo nei suoi confronti.

 

M. Klein, La tecnica psicoanalitica del gioco: sua storia e suo significato, II-III

 

II. Ho spiegato come l’uso dei giocattoli, che io tenevo specificamente per i miei piccoli pazienti nella scatola dove li portai la prima volta, si dimostrasse essenziale per l’analisi. Tale esperienza, come molte altre, mi aiutò a stabilire quali giocattoli sono più adatti per la tecnica psicoanalitica del gioco. Trovai essenziale avere giocattoli piccoli, perché il loro numero e varietà mette il bambino in grado di esprimere una vasta serie di fantasie ed esperienze. È importante, per tale scopo, che questi giocattoli non siano meccanici e che le figure umane, diverse solo per colore e misura, non indichino alcuna particolare occupazione. La loro grande semplicità mette il bambino in grado di usarle in molte situazioni differenti, secondo il materiale che vien fuori dal suo gioco. Il fatto che egli possa, cosí, presentare simultaneamente una varietà di esperienze e situazioni immaginarie o reali ci rende, inoltre, possibile tracciare un quadro più coerente del lavoro della sua mente. In armonia con la semplicità dei giocattoli, anche l’attrezzatura della camera da gioco è semplice: non comprende se non ciò che è necessario all’analisi. I giocattoli di ciascun bambino son tenuti chiusi in un particolare cassetto, ed egli perciò sa che i suoi giocattoli e i giochi a cui gli servono, che sono l’equivalente delle associazioni degli adulti, sono conosciuti solo dall’analista e da lui. La scatola in cui presentai per la prima volta i giocattoli alla bambina summenzionata risultò il prototipo del cassetto individuale, che è parte della relazione intima e privata tra analista e paziente, caratteristica della situazione del transfert psicoanalitico.

Io non affermo che la tecnica del gioco dipenda interamente dalla mia particolare selezione del materiale di gioco. In ogni caso, i bambini spesso portano spontaneamente con sé le loro cose, e i1 gioco che fanno con queste entra come una cosa naturale nel lavoro analitico. Ma credo che i giocattoli forniti dall’analista dovrebbero essere, nel complesso, del tipo da me descritto, cioè semplici, piccoli e non meccanici.

Comunque, i giocattoli non sono i soli mezzi per l’analisi fondata sul gioco. Molte delle attività del bambino sono a volte esercitate intorno al lavabo, che è fornito di una o due bottigliette, bicchieri e cucchiai. Spesso egli disegna, scrive, dipinge, taglia, ripara giocattoli, e cosí via. Di tanto in tanto, fa alcuni giochi in cui assegna all’analista e a se stesso le parti: il negozio di giocattoli, il dottore e l’ammalato, la scuola, la madre e il bambino. In tali giochi spesso il bambino assume per sé la parte dell’adulto, non solo esprimendo con ciò il suo desiderio di rovesciare i compiti, ma anche dimostrando come egli sente che i suoi genitori o altre persone autorevoli si comportano verso di lui, o dovrebbero comportarsi. Qualche volta egli dà sfogo alla sua aggressività e al risentimento, mostrandosi, nella parte di genitore, sadico verso il bambino, rappresentato dall’analista. Il principio dell’interpretazione rimane lo stesso se le fantasie sono espresse mediante i giocattoli o con una finzione scenica. Poiché, qualunque materiale si usi, l’essenziale è che i principi base della tecnica vengano applicati.

Nel gioco infantile l’aggressività è espressa in vari modi, direttamente o indirettamente. Spesso vien rotto un giocattolo o, quando il bambino è più aggressivo, capita che assalga con un coltello o con le forbici la tavola o pezzi di legno, spruzzi intorno l’acquaio i colori, e la camera, in genere, diventi un campo di battaglia. È essenziale mettere il bambino in grado di manifestare la sua aggressività, ma quel che più conta è capire perché, in quel particolare momento, nella situazione di transfert affiorino impulsi distruttivi e osservare le loro conseguenze nella mente del bambino. Sentimenti di colpa possono manifestarsi subito dopo che il bambino ha rotto, per esempio, una figurina. Tale colpa si riferisce non solo al danno fatto, ma anche a ciò che il giocattolo rappresenta nell’inconscio del bambino, per esempio un fratellino, una sorellina o un genitore; perciò l’interpretazione deve spingersi anche a questi strati più profondi. A volte possiamo dedurre dal comportamento del bambino verso l’analista che non solo la colpa ma anche l’ansia per timore di persecuzione è stata la conseguenza dei suoi impulsi distruttivi e che egli è spaventato dalla rappresaglia.

Ho potuto quasi sempre far capire al bambino che non avrei tollerato attacchi fisici contro me stessa. Questo atteggiamento non solo protegge la psicoanalista ma è altresí importante per l’analisi, poiché tali assalti, se non vengono contenuti entro certi limiti, possono ingenerare nel bambino un eccessivo senso di colpa e un’ansia persecutoria, e perciò si aggiungono alle difficoltà del trattamento. Varie volte mi è stato chiesto con quale metodo io prevenissi le aggressioni fisiche, e credo che la risposta sia questa: ero molto attenta a non inibire le fantasie aggressive del bambino; infatti gli veniva data l’opportunità di attuarle in altri modi, non esclusi gli attacchi verbali a me stessa. Quanto più potevo interpretare a tempo i motivi dell’aggressione del bambino, tanto più la situazione poteva essere tenuta sotto controllo. Ma con alcuni bambini psicotici a volte è stato difficile proteggermi dalla loro aggressività.

 

III. Ho notato che l’atteggiamento del bambino verso un giocattolo da lui danneggiato è molto rivelatore. Spesso egli accantona tale giocattolo, che rappresenta, per esempio, un fratellino o un genitore, e lo ignora per qualche tempo. Ciò indica l’avversione per l’oggetto, dovuta alla paura d’essere perseguitato, cioè che la persona assalita (rappresentata dal giocattolo) sia divenuta vendicativa e pericolosa. Il senso di persecuzione può essere cosí forte da coprire sentimenti di colpa e di depressione, anche essi suscitati dal danno prodotto. Oppure la colpa e la depressione possono essere cosí forti da portare a un rafforzamento dei sentimenti persecutori. Comunque, un bel giorno il bambino può cercare nel suo cassetto il giocattolo danneggiato: ciò suggerisce allora che noi abbiamo potuto analizzare alcune importanti difese, diminuendo cosl i sentimenti persecutori e rendendo il paziente consapevole del suo senso di colpa e del desiderio di riparazione. Quando ciò accade, possiamo anche notare che è avvenuto un cambiamento nei rapporti del bambino con quel particolare fratellino rappresentato dal giocattolo, o nelle sue relazioni in generale. Tale mutamento conferma la nostra impressione che l’ansia dovuta a timori di persecuzione è diminuita e che, insieme con il senso di colpa e il desiderio di ripararvi, hanno assunto una parte preponderante sentimenti d’amore che erano stati attutiti dall’eccessiva angoscia. Con un altro bambino, o con lo stesso bambino in uno stadio analitico più avanzato, il senso di colpa e il desiderio di riparazione possono venire subito dopo l’atto aggressivo, e si manifesta la tenerezza verso il fratello o la sorella eventualmente danneggiati. L’importanza di tali cambiamenti per la formazione del carattere e i rapporti oggettuali, come anche per la stabilità mentale, non può essere sopravvalutata.

È una parte essenziale del lavoro interpretativo che deve accompagnare e assecondare la fluttuazioni fra l’amore e l’odio, fra la felicità e la soddisfazione da una lato e l’ansia persecutoria e la depressione dall’altro. Ciò implica che l’analista non deve mostrare disapprovazione per il bambino che ha rotto un giocattolo: egli non deve, comunque, incoraggiare il bambino ad esprimere la sua aggressività o suggerirgli che il giocattolo può essere riparato. In altri termini, egli dovrebbe mettere il bambino in grado di sperimentare le sue emozioni e fantasie come vengono fuori. Fu norma costante della mia tecnica non esercitare un influsso educativo o morale, ma attenermi unicamente al procedimento psicoanalitico, che, in poche parole, consiste nel comprendere il pensiero del paziente e nel comunicargli ciò che avviene in lui.

La varietà delle situazioni emotive che possono essere espresse con le attività del gioco è illimitata: per esempio, senso di frustrazione e di essere ripudiato; gelosia del padre o della madre, dei fratelli o delle sorelle, accompagnata o non da aggressività; piacere di avere un compagno di giochi alleato contro i genitori; sentimenti d’amore e odio verso un bimbo neonato o atteso, e conseguente angoscia, colpa e desiderio di riparare. Nel gioco infantile si trova anche la ripetizione di esperienze reali e di particolari della vita quotidiana, spesso intrecciati con fantasie. È rivelante l’osservare che, talvolta, fatti reali molto importanti nella vita del bambino non riescono ad entrare né nel suo gioco né nelle sue associazioni e che il massimo rilievo sia invece dato ad avvenimenti di minor conto. Ma questi sono di grande importanza per lui, perché hanno provocato le sue emozioni e fantasie.

 

(R. Fornaca-R. S. Di Pol, Dalla certezza alla complessità. La pedagogia scientifica del ’900, Principato, Milano, 1997, pagg. 236-239)