ORTEGA Y GASSET, VECCHIA E NUOVA POLITICA

La nostra generazione sembra un po' fiacca e non occupa breccia dove è necessario che essa sia. E ciò non sarebbe così assolutamente grave come è se non implicasse e significasse il fallimento della nostra generazione. e se questo fallimento della nostra generazione non fosse, forse, data la gravità del momento, possibile annuncio del fallimento definitivo del nostro popolo.

E' un'illusione puerile credere che sia garantita da qualche parte l'eternità dei popoli; dalla storia, che è un'arena di atrocità, sono scomparse molte razze come entità indipendenti. Nella storia, vivere non è lasciarsi vivere; nella storia, vivere è occuparsi molto seriamente, molto coscientemente, del vivere, come se fosse un mestiere. Per questo è necessario che la nostra generazione si preoccupi con tutta coscienza, premeditatamente, organicamente, dell'avvenire nazionale. É necessario, insomma, rivolgere un appello alla nostra generazione, e se non la richiama chi ha titoli positivi per chiamarla, è inevitabile che la chiami chiunque; per esempio, io.

[...] E allora accade quello a cui oggi assistiamo nella nostra nazione: due Spagne che vivono insieme e che sono perfettamente estranee: una Spagna ufficiale che si ostina a prolungare i gesti di un'età finita, e un'altra Spagna emergente, germinale, una Spagna vitale, forse non molto forte, ma vitale, sincera, onesta, la quale, disturbata dall'altra, non riesce a entrare in pieno nella storia. Questo è, signori, il fatto della massima importanza della Spagna attuale, e tutti gli altri non sono che dettagli che hanno bisogno di essere interpretati alla luce proiettata da esso.

Ciò che prima dicevamo, che le nuove generazioni non entrano nella politica, non è che una veduta parziale delle tante che si possono avere su questo fatto tipico: le nuove generazioni avvertono di essere totalmente estranee ai principi, agli usi, alle idee e perfino al vocabolario di quelli che reggono oggi gli organismi ufficiali della vita spagnola. Con che diritto si chiede che portino, che trasfondano la loro energia, molta o poca, a questi otri così caduchi, se è impossibile ogni comunità di intenti, se e impossibile ogni intelligenza?

Su ciò è necessario che parliamo con tutta chiarezza. Non si intendono la Spagna ufficiale e la Spagna nuova, che, ripeto, sarà modesta, sarà piccola, sarà povera, ma è altra cosa da quella; non si intendono. Una stessa parola pronunciata dagli uni o dagli altri significa cose diverse, perché è, per così dire, attraversata da emozioni antagoniste.

[...] Le mie parole, quindi, non sono altro che la dichiarazione che la nuova politica deve partire da questo fatto: ciò che occupa la superficie ed è l'apparenza o carcassa della Spagna d'oggi, la Spagna ufficiale, è morta. La nuova politica non ha bisogno, di conseguenza, di criticare la vecchia né di darle grandi battaglie; deve solo costringerla ad occupare il suo sepolcro in tutti i luoghi e forme dove la trovi e pensare nuovi principi affermativi e costruttivi.

Non insisterò, naturalmente, nel portare prove per questo. Io non pretendo oggi di dimostrare niente: vengo semplicemente a indirizzare alcune allusioni al fondo delle vostre coscienze. Lì è dove potrete lealmente trovare la conferma delle mie asserzioni. Non vengo a portarvi sillogismi, ma a proporvi semplici intuizioni di realtà.

Però, inoltre, è molto naturale che capiti in Spagna ciò che capita; e se ciò che sto per dire adesso è in un certo modo nuovo - il che non lo è - , cioè nuovo per un pubblico un po' ampio, è perché in politica non si vuole pensare seriamente.

[...] La nuova politica, tutto ciò che, in forma di progetto e dì aspirazione, palpita vagamente dentro tutti noi, deve cominciare con l'ampliare notevolmente i contorni del concetto di politico. Ed è necessario che significhi molte altre attività al di là di quella elettorale, parlamentare e governativa; bisogna che, andando al di là del recinto delle relazioni giuridiche, includa in sé tutte le forme, i principi e gli impulsi di socializzazione. La nuova politica è necessario che cominci a differenziarsi dalla vecchia politica nel non essere per essa la cosa più importante la conquista del governo della Spagna, ed essere, al contrario, l'unica cosa importante l'aumento e la stimolazione della vitalità della Spagna. In maniera che arriverà un giorno (chi ne dubita?) in cui, con tali o tal'altri uomini, la nuova politica vincerà le sue elezioni e individui animati dal suo spirito avranno i bastoni di sindaci; ma ciò non influirà sulla loro soddisfazione neanche un centesimo più dell'aver ottenuto, per esempio, che si pubblichi un buon libro di anatomia o di elettricità, o di aver fatto in modo che si costituisca per i contadini perduti nell'aspro angolo di una montagna una associazione agricola di mutuo soccorso.

Questo non significa che lo Stato spagnolo, vale a dire il buon ritmo giuridico, il formalismo ufficiale, in una parola, l'ordine pubblico, non sia proprio ciò che noi desideriamo servire in ultima istanza. Di più; se lo Stato spagnolo fosse quello che si trovasse malato per errori di ciò che si è chiamato politica, allora probabilmente non dovremmo considerarci obbligati moralmente a impegnarci nella vita pubblica. Il male è che non è lo Stato spagnolo ad essere malato solo per errori esterni della politica; chi è malata, quasi moribonda, è la razza, la sostanza nazionale, e, pertanto, la politica non è la soluzione sufficiente del problema nazionale perché questo è un problema storico. Pertanto, questa nuova politica deve aver coscienza di se stessa e capire che non può ridursi ad alcuni momenti di frivola perorazione né ad altre questioni giuridiche, ma che la nuova politica deve essere tutta una attitudine storica. Questa è una differenza essenziale. Lo Stato spagnolo e la società spagnola non possono avere per noi lo stesso valore, perché è possibile che entrino in conflitto, e quando entreranno in conflitto è necessario che siamo preparati a servire la società di fronte a quello Stato, che è solo la scorza giuridica e la forma esterna della sua vita. E se l'ordine pubblico fosse, come è per lo Stato spagnolo, come per ogni Stato, la cosa più importante, è necessario che dichiariamo con lealtà che l'ordine pubblico non è per noi la cosa più importante, che prima dell'ordine pubblico c'è la vitalità nazionale.

[...] Consideriamo il Governo, lo Stato, come uno degli organi della vita nazionale; ma non come l'unico e neanche quello decisivo. Bisogna esigere dalla macchina dello Stato un superiore rendimento di utilità sociali di quello che ha dato fin qui; ma anche se desse quanto idealmente gli è possibile dare, resta da esigere molto di più dagli altri organi nazionali che non sono lo Stato, che non sono il Governo, che sono la libera spontaneità della nostra società.

Dimodoché la nostra azione politica deve avere costantemente due dimensioni: quella di suscitare, strutturare e aumentare la vita nazionale…

[...] Io proporrei liberalismo e nazionalizzazione come emblemi del nostro movimento. Ma quando dovremo parlare, scrivere, disputare fino a che queste parole diano alla luce tutto l'immenso significato di cui sono incinte!

Nazionalizzazione dell'esercito, nazionalizzazione della monarchia, nazionalizzazione del clero (su questo non posso soffermarmi), nazionalizzazione dell'operaio; io direi perfino nazionalizzazione di quelle dame che di tanto in tanto pongono le loro firme sotto certe petizioni di cui Ignorano l'importanza e il significato, petizioni che, a volte, vanno a ferire la possibilità che si realizzi una funzione vitale, imprescindibile nella Spagna.

Io chiedo principalmente la collaborazione dei giovani del mio paese per questo lavoro tranquillo, continuo, energico al momento opportuno, violento quando sia necessario, dedicato allo studio dei problemi nazionali, alla struttura dettagliata di una parte della massa nazionale alla quale non è ancora arrivata l'azione dei partiti politici - dei villaggi e, soprattutto, dei paesi contadini. La Spagna, che ha solo alcune città, che certamente non rispondono sufficientemente a ciò che significa il concetto di città nel mondo europeo moderno, ha tutto il resto sparso per le sue campagne e nessuno si ricorda di esso; e per questo è necessario fare in modo di dotarlo di un grande vigore politico perché possa essere una speranza e una minaccia - le due cose devono andare unite - per quelli che si preoccupano prima di tutto della vitalità nazionale. Per tutto questo, che vi ho detto più sotto forme di allusione che di esposizione, io sollecito la collaborazione degli uomini di buona volontà.

Non si intenda, per quanto sia stato frequente in questo mio discorso l'uso della parola nazionale, niente che abbia a che vedere con il nazionalismo. Nazionalismo presuppone il desiderio che una nazione imperi sulle altre, il che presuppone, almeno, che quella nazione viva. Ma se noi non viviamo! La nostra pretesa e molto diversa: noi, come si dice nel programma della nostra associazione, ci vergogneremmo tanto di volere una Spagna imperante come di non volere una Spagna in buona salute, nient'altro che una Spagna vertebrata e in piedi.

[...] Siamo partiti nel nostro proposito da una considerazione principale: quella che non solo la Spagna, ma l'Europa intera, è entrata in una crisi ideologico-politica simile a quella della prima metà del secolo XIX. Ed ecco perché i partiti che questa crisi sorprende già in movimento cercano di afferrarsi alle idee caduche che li avevano generati o ricorrono a tentativi ed equivoci per mantenersi sulla cresta dell'attualità. Ma coloro che si preoccupano più di promuovere il futuro che di fermare il presente devono prendere atto della gravità di questa crisi, al fine di non imbarcarsi su ideali sgangherati, come navi malconce.

Il nome e l'attività di una gran parte dei nostri associati poteva attirarci l'appellativo pernicioso di "intellettuali" o, se non avessimo subito sottolineato la convinzione che la politica non e un lavoro che possa essere soddisfatto soltanto con l'intelletto, né solo mediante l'azione individuale. Crediamo, al contrario, che l'area politica comincia proprio dove la pura comprensione e l'individuo isolato terminano e compaiono le masse sociali che si battono in una appassionante dialettica. Il fine dei nostri propositi non può essere altro, di conseguenza, che arrivare fino a quelle masse. Ma questo è solo la meta e l'estremo orizzonte delle nostre aspirazioni. Con urgenza dobbiamo dedicarci a una attività previa e di più moderata ambizione.

Salvo casi insoliti nel tempo e nello spazio, le masse nazionali non sono politicamente mobilitate. Dicono che ciò risponda a una peculiare inerzia del popolo spagnolo. Noi, senza negare questa ragione, dichiariamo di non capirla. Non capiamo come si possa parlare di masse inerti dove manca l'intento ripetuto di minoranze direttrici per toglierle dalla loro indolenza. Sono insufficienti senza dubbio le gesticolazioni, contrabbandate per "programmi", che questo o quell'altro uomo pubblico delineano sfruttando un cumulo di frustrazioni. D'altra parte, non è sufficiente, né salutare, che di lustro in lustro qualche tema di positivo vigore invada improvvisamente la coscienza pubblica col risultato di produrre nelle moltitudini nient'altro che una convulsione passeggera. È necessario aspirare a introdurre la partecipazione politica nel costume delle masse spagnole. Come sarebbe possibile ottenere ciò senza l'esistenza di una minoranza entusiasta che operi su di esse con tenacia, con energia, con efficacia?

Per noi, pertanto, la prima cosa è stimolare l'organizzazione di una minoranza incaricata dell'educazione politica delle masse. Non si pub spingere la Spagna verso nessun miglioramento apprezzabile finché l'operaio nella città, il contadino nella campagna, la classe media nella provincia e nelle città non abbiano imparato a imporre l'aspra volontà dei propri desideri, da una parte; a desiderare un avvenire chiaro, concreto e serio, dall'altra. La vera educazione nazionale è questa educazione politica che a sua volti alimenta gli entusiasmi e i pensieri.

[...] Ma dov'è un insieme di idee politiche dotate di evidenza e fecondità sufficienti a servire da fede motrice a quella minoranza dalla cui esistenza dipende l'esistenza della Nazione? Non si trova in nessun luogo: a questa assenza ci riferimmo prima, e da tale fatto partimmo per affermare la necessità di un nuovo strumento politico incaricato, intanto, di crearla.

Siamo certi che un gran numero di spagnoli concordano con noi nel ritenere che la sorte della Spagna è legata all'avanzata del liberalismo. Su questo punto non abbiamo il minimo dubbio. Ma allo stesso tempo stimiamo che col dichiararci liberali non abbiamo definito minimamente il nostro compito. Per liberalismo non possiamo intendere altro se non quella emozione radicale, sempre viva nella storia, che tende a escludere dallo Stato ogni influenza che non sia meramente umana, e spera sempre in ogni campo che da nuove forme sociali nasca un bene maggiore che da quelle passate e ereditate.

Ma questa perenne emozione ha bisogno in ogni momento del suo storico progresso di un corpo di idee chiare e intense di cui infiammarsi. Quando i problemi materiali e giuridici della società cambiano, quando varia la sensibilità collettiva, i veri liberali sono costretti a trasferire le proprie tende, mettendo in esercizio un fecondo nomadismo dottrinale. Per questa ragione è oggi inevitabile per il liberalismo mettere all'asta quelle ideologie che per tutto un secolo gli hanno dato impulso. Diversamente ciò significherebbe autoingannarsi e condannarsi alla sterilità. I due termini che costituiscono i poli dell'azione politica si sono modificati: i problemi e la sensibilità collettiva. Sarà vano che aspiri a trionfare un movimento i cui principi non permettano di affrontare quei problemi né soddisfare intimamente quella sensibilità. Il liberalismo, nella sua forma individualistica, non può nessuna di queste cose. Il problema religioso e quello della scuola, quello sociale e quello amministrativo, come oggi si presentano, trascendono in ogni direzione gli sterili principi individualistici.

Neanche il credo socialista è sufficiente. Lasciando da parte i suoi atteggiamenti utopistici e la rigidità dei suoi dogmi, che la corrente revisionista del movimento operaio in altri paesi condanna, non esiteremmo ad accettare tutte le sue affermazioni pratiche. Su questo terreno crediamo che la nostra associazione marcerà accanto al socialismo senza gravi discrepanze. Ma non possiamo appoggiare la sua strategia. Per noi esiste il problema nazionale; ancor di più: non riusciamo a separare la questione operaia da quella nazionale.

(Ortega y Gasset, Vecchia e nuova politica)