PLATONE, LA MASSIMA IGNORANZA

 

Questo disaccordo di piacere e dolore con il giudizio della ragione io dico che è l'estrema ignoranza e la più grande, perché è nella parte più grande dell'anima; infatti soffrire e godere sono per essa ciò che il popolo e la folla sono per lo Stato. Quando dunque l'anima contraddice alle conoscenze, alle opinioni, alla ragione, a ciò che per natura è a capo, questa situazione io la chiamo stolta ignoranza, e nello Stato quando la plebe non obbedisce ai governanti e alle leggi, è lo stesso come per un uomo per il quale i bei ragionamenti che sono nella sua anima non fanno nulla di più che esserci e avviene tutto il contrario di quello che essi dicono, ed io affermo che è proprio tutta questa ignoranza la più grave, nello Stato e in ciascuno dei cittadini, e non quella degli umili artigiani; spero che mi intendiate. [...] Stavamo dicendo di quegli uomini per i quali i bei ragionamenti, i buoni pensieri, che sono nella loro anima, non fanno nulla di più che esserci e avviene tutto il contrario di quello che essi dicono, ed io affermo che è proprio tutta questa ignoranza, la più grande dello Stato e in ciascuno dei cittadini e non quella degli umili artigiani. Spero che mi intendiate. Questo dunque resti stabilito così corne è stato detto e accettato: che ai cittadini ignoranti di questa ignoranza non si debba attribuire nessun potere, si debba biasimarli corne ignoranti anche se siano bravi ragionatori e ben esercitati in ogni cavillo e in tutti i mezzi che per loro natura danno agilità alla mente: e che gli altri cittadini che sono l'opposto di questi, si debba chiamarli *sapienti*, anche se non sappiano, come è il proverbio né leggere né scrivere né nuotare; a loro si deve dare il potere perché sono intelligenti. Come potrebbe esserci, amici, senza quell'armonia anche la più tenue ombra di intelligenza? Non è possibile.

 

(Platone, Leggi 689, a b)