Weber, Lo spirito del capitalismo

Max Weber, dopo aver osservato le difficoltà inerenti alla definizione del concetto di “spirito del capitalismo”, analizza le conseguenze storiche dell’“ascesi laica protestante”.

 

M. Weber, Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus; in Gesammelte Aufsätzen zur Religionssoziologie; trad. it., L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, a cura di P. Burresi, Sansoni, Firenze, 1965, pagg. 99-100; 304-305

 

Nel titolo di questo studio appare il concetto, che suona un po’ pretenzioso, di “spirito del capitalismo”. Che cosa si deve intendere sotto questa espressione?

Nel tentativo di darne una definizione, si palesano subito talune difficoltà che sono inerenti allo scopo stesso della nostra indagine.

Se si può trovare un oggetto, per cui l’impiego di quella espressione abbia un senso qualsiasi esso può essere soltanto un’individualità storica; cioè un complesso di relazioni nella realtà storica, che noi dal punto di vista della sua importanza per la storia e per la civiltà, riuniamo in un unico concetto.

Ma un tale concetto storico, poiché per il suo contenuto si riferisce a un fenomeno importantissimo nel suo carattere individuale, non può essere definito e limitato secondo lo schema, genus proximum, differentia specifica, ma deve essere costruito a poco a poco dalle parti che lo compongono e che vanno tolte dalla realtà storica. La perfetta definizione concettuale non può perciò stare al principio ma deve esser posta alla fine dell’indagine; si paleserà perciò nel corso della trattazione e ne costituirà l’importante risultato, come debba formularsi nel miglior modo, piú adeguato ai punti di vista che qui ci interessano, ciò che noi comprendiamo come “spirito del capitalismo”.

[...]

L’ascesi laica protestante... operò con grande violenza contro il godimento spregiudicato della proprietà, e restrinse il consumo, in ispecie il consumo di lusso. D’altra parte essa liberò, nei suoi effetti psicologici l’acquisto di beni dagli ostacoli dell’etica tradizionalistica, in quanto non solo lo legalizzò, ma addirittura, nel senso che esponemmo, lo riguardò come voluto da Dio. La lotta contro i piaceri della carne e l’attaccamento ai beni esteriori non era, come attesta espressamente, insieme coi Puritani, anche il grande apologeta del Quaccherismo, il Barclay, una lotta contro il guadagno razionale, ma sibbene contro l’impiego irrazionale della proprietà. E questo consisteva nell’altro apprezzamento, da condannarsi come idolatria, delle forme ostensibili del lusso, che erano cosí vicine al modo di sentire feudale, in luogo dell’impiego voluto da Dio, razionale e utilitario, per i fini della vita del singolo e della collettività. Non si voleva imporre al possidente la macerazione, ma l’uso della sua ricchezza per cose necessarie e di pratica utilità [...] Il pensiero che il lavoro professionale moderno abbia un carattere ascetico non è in realtà nuovo. Anche Goethe, al culmine della sua saggezza ed esperienza della vita, nei Wanderjahre e nella conclusione che dette alla vita di Faust, ci ha voluto insegnare questo motivo ascetico fondamentale dello stile della vita borghese, se questa appunto voglia avere uno stile: che cioè il limitarsi al lavoro professionale colla rinuncia alla universalità faustiana, che questa limitazione comporta, sia nel mondo moderno il presupposto di ogni azione degna di stima, che azione dunque e rinuncia si condizionano inevitabilmente a vicenda. Per lui questo riconoscimento significava rinuncia e un addio a un tempo di piena e bella umanità, che non si rinnoverà piú, nel corso della nostra civiltà, come nell’antichità non si rinnovò il fiorire di Atene. Il Puritano volle essere un professionista, noi dobbiamo esserlo. Poiché in quanto l’ascesi fu portata dalle celle dei monaci nella vita professionale e cominciò a dominare la moralità laica, essa cooperò per la sua parte alla costruzione di quel potente ordinamento economico moderno, legato ai presupposti tecnici ed economici della produzione meccanica, che oggi determina con strapotente costrizione, e forse continuerà a determinare finché non sia stato consumato l’ultimo quintale di carbon fossile, lo stile della vita di ogni individuo, che nasce in questo ingranaggio, e non soltanto di chi prende parte all’attività puramente economica. Solo come un mantello sottile, che ognuno potrebbe buttar via, secondo la concezione di Baxter, la preoccupazione per i beni esteriori doveva avvolgere le spalle degli “eletti”. Ma il destino fece del mantello una gabbia di acciaio. Mentre l’ascesi imprendeva a trasformare il mondo e a operare nel mondo, i beni esteriori di questo mondo acquistarono una forza sempre piú grande nella storia. Oggi lo spirito dell’ascesi è sparito, chissà se per sempre, da questa gabbia. Il capitalismo vittorioso in ogni caso, da che posa su di un fondamento meccanico, non ha piú bisogno del suo aiuto. Sembra impallidire per sempre anche il roseo stato d’animo del suo sorridente erede, l’Illuminismo, e come un fantasma di concetti religiosi che furono, si aggira nella nostra vita il pensiero del dovere professionale.

 

Novecento filosofico e scientifico, a cura di A. Negri, Marzorati, Milano, 1991, vol. I, pagg. 381-383