RELAZIONE SULLE LETTERE DI ABELARDO A ELOISA

Il libro "lettere di Abelardo a Eloisa" consiste in una raccolta parziale delle lettere che i due amanti dopo la loro separazione si scrissero per tenersi in contatto e nelle quali oltre a scambiarsi parole d’amore, parlano di filosofia, e si scambiano pareri sul mondo. In molti, tra i moderni, hanno dubitato dell’autenticità di tali epistole, negando che due persone medievali potessero avere tanta sensibilità.

M chi è Abelardo? Abelardo è una delle figure più importanti del Medioevo, non solo come filosofo, ma anche per le sue idee innovatrici e decisamente anticonformiste e per la sua personalità audace e ambiziosa, nonché molto provocatrice.

Pietro Abelardo nasce nel 1079 a Palais, cittadina bretone nei pressi di Nantes. Avvicinato dal padre agli studi letterali in breve tempo nasce in lui l'amore per la filosofia.

Ben presto si trasferisce a Parigi come allievo del maestro Guglielmo di Champeaux e nel giro di pochi anni diventa magister aprendo due scuole di dialettica: prima a Melun e poi a Corbeil.

Due anni più tardi deve recarsi in famiglia, in Bretagna. Assolti i doveri familiari torna a Parigi dove apre la sua terza scuola. Soggiorna per breve tempo a Laon per ascoltare le lezioni del maestro Anselmo di Laon, allora il più apprezzato per i suoi studi sacri. Ma le lezioni del maestro non entusiasmano troppo Abelardo che lo ritiene "abile con le parole, ma incapace di analizzare i significati" (il suo albero sembrava molto ricco di foglie a coloro che lo vedevano da lontano, ma, se ci si avvicinava e lo si osservava con cura, si scopriva che era privo di frutti.). Suscita così negli altri compagni e nel maestro stesso un sentimento d'ostilità e d'invidia che lo costringe a doversene andare.

Torna a Parigi dove ottiene la cattedra di teologia e dialettica a Notre Dame.

E' in questi anni, al culmine del suo successo, che Abelardo incontra Eloisa, affidatagli dallo zio Fulberto per istruirla.

La loro storia d'amore, dalla quale nascerà anche un figlio, Astrolabio, si trasforma presto in tragedia. Abelardo viene evirato da sicari inviati dallo zio di Eloisa. I due sono costretti a separarsi: Eloisa si ritira nel monastero di Argenteuil, Abelardo in quello di S. Dionigi.

Ma nell'abbazia di S. Dionigi si viveva tra molti peccati e così Abelardo, resosi odioso ai suoi confratelli per i numerosi rimproveri, si ritira in un eremo dove riprende a insegnare teologia e filosofia. Scrive un trattato sull'unità e la Trinità divina condannato nel Concilio di Soisson nel 1121.

Due anni più tardi, nel 1123 fonda a Troyes un piccolo oratorio, il Paracleto (Consolatore), dove inizierà nuovamente ad insegnare.

Tormentato ormai dal continuo timore di nuovi concili e tribunali che lo condannassero, decide di allontanarsi dal Paracleto e diventa, così, abate della corrotta comunità di monaci di Saint-Gildas.

La comunità di monache del monastero di S. Dionigi, della quale Eloisa era priora, viene scacciata dall'abate.

Abelardo dona loro il Paracleto ed Eloisa ne diviene badessa. Non ha nemmeno trent'anni.

Tra il 1129 e il 1135 Abelardo scrive tre importanti opere tra le quali l'Historia calamitatum mearum.

L'anno seguente torna ad insegnare a S. Genevieve con rinnovato successo. Compone nuove opere che subiranno alcune denunce mosse da due dei suoi più grandi nemici, Guglielmo di Saint Thierry e Bernardo di Chiaravalle, ai quali Abelardo risponderà con l'Apologia contra Bernardum (1140).

Nel 1141 il sinodo di Sens condanna le sue opere come eretiche. Abelardo s'incammina verso Roma per appellarsi al papa, ma, ormai vecchio e malato, deve fermarsi a Cluny, accolto con affetto da Pietro il Venerabile, uno dei più grandi e colti abati del XII secolo. E' nell'abbazia di Pietro che Abelardo, raggiunto dalla scomunica papale, compone probabilmente la sua ultima opera: Dialogus inter philosophum, iudaeum et christianum.

Un anno più tardi, nel 1142, Abelardo muore a Chalon-sur-Saòne. Il suo corpo viene trasportato al Paracleto, così come egli aveva chiesto. Nel 1164 Eloisa muore al Paracleto.

E' strano pensare come una storia d'amore vissuta ottocento anni fa, possa destare ancora tanto entusiasmo e ammirazione; una storia di un amore spassionato, sensuale, smisurato, quasi da destare scandalo fino ai giorni nostri, soprattutto quando l'amore resistette alla lontananza tra i due amanti attraverso una serie di lettere.

Ed è appunto tra le righe di queste lettere che i due si mostrano al mondo.

In esse si può ben intravedere la personalità e il pensiero di entrambe i personaggi attraverso gli argomenti trattati, personalità e pensieri spesso molto diversi.

HISTORIA CALAMITATUM MEARUM:

Nell'autobiografia Historia calamitatum mearum, ovvero la prima delle sue lettere, nella quale Abelardo narra delle sue numerose disgrazie, al fine di rincuorare un amico, il filosofo si presenta come uno studente ambizioso, sicuro di sé, che viaggiava di città in città, avido di sapere, accorrendo spesso da lontano ai piedi di un maestro illustre; e insieme come il magister capace di raccogliere intorno a sé un grosso numero di studenti pronti a pagare qualunque cifra e disposti a trasferirsi in qualunque luogo pur di assistere ad una sua lezione.

Ma soprattutto nelle lettere traspare la personalità ambiziosa e audace del filosofo.

La sua tormentata vita, come lui racconta, nella prima delle lettere che scrive, è fatta di persecuzioni, di condanne e quindi di fughe e nascondigli. Ovunque vada la sua immodestia e la sua superbia lo rendono odioso ai suoi maestri e compagni, così da costringerlo ad andarsene.

E' questo il caso del suo primo insegnante: Guglielmo di Champeaux, contraddetto da Abelardo sul problema degli universali e offeso fortemente nella sua reputazione di vecchio maestro. E così anche più tardi, dopo il suo trasferimento a Laon al seguito d'Anselmo. Anche qui la contestazione nei riguardi del maestro è feroce, con critiche sul suo modo di insegnare, tanto che gli allievi fedeli al maestro costringono il giovane ad andarsene.

Ma è Abelardo stesso a riconoscere le sue colpe, giudicando, così, il suo incontro con Eloisa e la passione che ne consegue la giusta punizione per la sua superbia, accresciutasi dalla gloria e dalla fama raggiunta con le lezioni che diventavano sempre più seguite. Dice, infatti, Abelardo: " … la ricchezza insuperbisce sempre gli stolti, le sicurezze terrene indeboliscono il vigore dell'animo, che si fa poi facilmente adescare dalle lusinghe dei sensi." e ancora: "… la pietà divina mi richiamò a sé, umiliandomi perché ero superbissimo e avevo dimenticato che tutte le qualità di cui mi vantavo non mi appartenevano, ma erano doni divini".

COME VISSE ABELARDO QUESTA STORIA D'AMORE:

Nell'Historia Abelardo ci presenta il suo amore per Eloisa come una passione travolgente nata da una forte attrazione fisica unita, però, da una profonda stima e ammirazione tra i due (forse più da parte di lei, che di lui). D'altronde la loro storia nasce prima di tutto tra i libri e la filosofia, lui maestro, lei allieva, per finire inevitabilmente in una travolgente passione. Ma riguardo a questo Abelardo parla in modo contraddittorio, prima affermando di aver studiato manovre, assedi, una vera strategia per far cedere l'allora giovane Eloisa, poi, subito dopo, afferma che "bruciava d'amore".

Ma nelle lettere rivolte ad Eloisa Abelardo non ci appare più quell'uomo ardente d'amore, bensì freddo e distaccato. L'amata è ora per lui una "carissima sorella". Non sono più lettere di passione e ciò che nell'autobiografia aveva chiamato "amore" è ora definito lussuria e sensualità, giustamente punite come afferma nella lettera V.

IL PENSIERO E LA FILOSOFIA ABELARDIANA:

Abbiamo detto che la vita di Abelardo ci appare come una continua serie di persecuzioni derivate dal suo comportamento superbo e arrogante e dall'invidia dei suoi maestri, che si vedevano portar via ogni giorno sempre più giovani da istruire, e dei suoi compagni.

Esse, però, non derivavano solo da ciò; l'odio contro Abelardo nasceva soprattutto dalle sue idee e dalla sua filosofia notevolmente anticonformista.

Non è facile ricostruire un vero pensiero filosofico di Abelardo dalle lettere, ma sicuramente da esse traspaiono alcuni aspetti importanti della sua filosofia.

Abelardo è prima di tutto un logico. E' con la logica che ottiene i suoi primi successi.

Nella sua autobiografia è presente la teoria abelardiana sui significati presentata in opposizione a quella del suo maestro Guglielmo di Champeaux.

Quella di Abelardo è una sorta di teoria del significato che consiste nella "capacità di un suono di generare in chi lo ascolta un concetto, capacità fondata su un accordo umano convenzionale". I nomi, dunque, secondo Abelardo rimandano a concetti più o meno confusi omettendo la presenza di una qualsiasi essenza o realtà universale sostenuta, invece, da Guglielmo.

Sosteneva anche che la logica era una scienza umana e autonoma, che non aveva a che fare con la sfera celeste. Essa, infatti, non poteva condurre alla verità poiché questa è raggiungibile soltanto da Dio, l'uomo è ancorato ai sensi. E', dunque, assurdo poter pensare di comunicare con Dio attraverso la logica umana usata per indicare la realtà del mondo e quindi quella sensibile.

Abelardo allora fornisce nelle sue lettere dà due risposte al problema di come comunicare con Dio.

La prima di tipo teologico analizzando Dio e il problema della fede attraverso una serie di analogie, la seconda rifacendosi al modo di vita monastico, affermando che: "La nostra anima è legata alla mangiatoia del Signore dove si nutre ruminando i temi della meditazione, ma a volte si stacca e vaga nel mondo con i suoi pensieri… Allora le parole gettano all'esterno l'anima e le permettono di rivolgersi agli oggetti sensibili… Noi parliamo a Dio soltanto con il pensiero e il silenzio mentre con le parole parliamo agli uomini." (lett.VIII). Il silenzio e la meditazione sono quindi le forme di linguaggio per arrivare a Dio.

Sempre nell'Historia troviamo la presenza del logico attraverso le critiche all'insegnamento dell'altro maestro Anselmo di Laon, che si limitava alla lettura dei testi sacri, omettendo l'analisi dei significati ("i discorsi sono inutili se non si capiscono le cose significate"). Era indispensabile, secondo Abelardo, conoscere l'esatto significato delle parole attraverso una ricerca razionale e individuale sui nomi, "la cultura e la conoscenza- infatti- permettono di comprendere nel profondo la parola divina." (lett.VII). Ciò, però, poteva essere interpretato come un contravvenire ad una metodologia di cui si era avvalsa la Chiesa per imporre ai fedeli la propria interpretazione dei tasti sacri.

Un altro capitolo interessante sulla filosofia di Abelardo riguarda l'ETICA.

Abelardo nella sua Etica dà un'importanza fondamentale all'introspezione, un po’ alla maniera di Agostino.

Con Abelardo cambia il discorso sull'offesa contro Dio. Non esiste più l'uomo impotente di fronte al peccato, ma si rivendica per questo, quella capacità e la consapevolezza all'assenso o al rifiuto attribuita alla ragione, che è il centro della vita morale. Dipende quindi da noi accettare o rifiutare il peccato ("Nessuno più di Abelardo ha reclamato l'alleanza della ragione e della fede" J. Le Goff.)

Ma il comportamento dell'uomo può anche sfuggire al controllo umano a volte, guidato dalla giusta intenzione e quindi innocente

Un chiaro esempio di questa Etica lo ritroviamo in Eloisa, che si dichiara "molto colpevole" per il suo mancato pentimento ("Anche mentre dormivo immagini ingannevoli mi perseguitano; persino durante la messa, quando la preghiera deve essere più pura […]. Io sono costretta ad abbandonarmi a queste fantasie incapace persino di pregare. Invece di piangere, pentita per il passato, sospiro rimpiangendo quello che ho perduto.") e per quel suo amore, fonte di tanto dolore. Allo stesso momento, però, è anche innocente dato che la sua intenzione era volta semplicemente al bene dell'amato.

D'altra parte, dice Abelardo, il sesso femminile è più fragile dell'uomo e reca di più il segno del peccato originale; deve, quindi, combattere con più tenacia dell'uomo la sua natura. Ed è proprio questa lotta morale così forte che la renderà più meritevole della grazia di Dio.

Ma il suo pensiero più originale sulle donne si basa sull'analisi dei comportamenti. Abelardo, rifacendosi alle pagine del Vangelo, nota comportamenti opposti tra uomini e donne.

Gli uomini nei confronti di Dio si mostrano più deboli. Le donne "mentre gli apostoli si disperdono spaventati, rimangono ferme coraggiosamente… spontaneamente tenere e fedeli verso Gesù. Gli uomini di fronte al pericolo sono deboli e usano soltanto le parole, mentre le donne agiscono direttamente sulle cose. Nella lettera VII, infatti, Abelardo, raccontando l'origine e mettendo in luce il monachesimo femminile, parla della sorella di Marta, Maria, che, quando gli uomini consacravano chiese e altari con unguenti, lei, una donna, arrivò ad ungere Cristo, non cioè dei simboli, ma la "Verità stessa".

Continua, poi, parlando della forte devozione delle donne verso Cristo; dell'attenzione che Egli reca loro e della loro importanza verso Costui ("… scoprirai che Dio operò i grandi miracoli di resurrezione solo o per lo più alla presenza di donne, in loro favore o per loro").

Nonostante le opere filosofiche facciano di Abelardo uno dei pensatori più originali del Medioevo, la sua fama resterà legata al suo amore per Eloisa. G.F. (Storia e Dossier, n.80/94)

ELOISA:

Il profilo di Eloisa che traspare dalle lettere è di una donna giovane, bellissima e di eccezionali doti intellettuali, doti che fecero "perdere la testa" persino a uno dei più illustri maestri del XII sec.

Eloisa viene presentata come colei che "ama fino ad abbandonare il mondo per volontà del crudele amante" o "colei che è pari al suo Pietro per dottrina e pensieri…" [cit.]. Ma a differenza di Abelardo le sue lettere sono molto più profonde e meno distaccate, senza pentimento (del quale lei è ben consapevole), ma, bensì, con rimpianto; sono le lettere di una donna che non ha mai smesso di amare, come lei stessa scrive ("la mia anima non era con me, ma con te"). È ben consapevole, invece, dei sentimenti che animano il cuore del suo amante e cioè: "… fu la concupiscenza a legarti a me e non l'amicizia, fu il desiderio sensuale e non l'amore. […] questa, mio dilettissimo, non è una mia supposizione, bensì di tutti".

Eloisa vive la sua vicenda amorosa in due modi diversi. Il primo con la gioia dei primi giorni, l'altro, da monaca, col dolore e il rammarico di non essere stata mai amata.

Ma ciò che colpisce maggiormente di questo personaggio è la sua tenacia e il suo carattere così forte quando si opponeva con così tanta insistenza e con mille argomentazioni al matrimonio propostole da Abelardo. Per far questo la giovane donna si appella alle parole degli apostoli e a quelle dei filosofi sostenendo che il loro matrimonio sarebbe stato infamante per Abelardo e "oneroso sotto ogni aspetto"; esso, infatti, non poteva conciliarsi con la filosofia in nessun modo, aggiungendo: "quanto sarebbe stato pericoloso per me sposarla, come sarebbe stato più dolce per lei e meno infamante per me che fosse chiamata la mia amante, piuttosto che mia moglie, perché allora il mio amore per lei sarebbe stato spontaneo, e non costretto dai lacci del vincolo matrimoniale.". Ma quando capisce che le sue insistenze non riescono a dissuadere l'amante, finisce la sua perorazione così: "… resta una sola cosa; la certezza che non soffriremo meno di quanto ci siamo amati". Finisce così, nella sconsolatezza, l'opposizione al matrimonio di una giovane donna del 1100.

LETTERE PIU’ SIGNIFICATIVE

Lettera I: è l'epistola intitolata Historia calamitatum mearum, ed è indubbiamente la più importante. Essa consiste in una sorta d'autobiografia, destinata ad un amico per consolarlo, scritta probabilmente tra il 1129 e il 1135.

Lettera VII e VIII: sono le ultime due lettere che Abelardo indirizza ad Eloisa come risposta alle domande che Eloisa gli pone in conclusione della VI lettera. Nella VII il filosofo risponde alla prima domanda, illustrando le origini e mettendo in risalto le origini del monachesimo femminile attraverso esempi di donne sante dall'Antico e dal Nuovo Testamento come Marta e Maria. E' qui, ma anche nella lettera VIII, che si esprime al meglio il pensiero di Abelardo sulla donna.

Nella lettera VIII Abelardo risponde alla seconda parte della lettera di Eloisa, nella quale gli chiedeva di redigere una Regola propria per le monache del Paracleto. Eloisa, infatti, riteneva che le regole degli altri monasteri fossero inadeguate alla sfera femminile, elencando i diversi disagi che ne sarebbero seguiti.

Abelardo illustra i tre precetti fondamentali del monachesimo: vivere in povertà, in castità e in silenzio; passa poi ad illustrare i vari compiti delle monache ed il comportamento che deve adottare una badessa.

Questa lettera rappresenta un documento di enorme importanza, poiché racchiude buona parte del pensiero di Abelardo e rappresenta la prima Regola scritta appositamente per un convento femminile.



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