ANDRONICO DI RODI

A cura di Diego Fusaro

 

 

Nel I secolo a. C., i principali esponenti del Peripato – la scuola filosofica a suo tempo fondata da Aristotele – furono i seguenti: Stasea di Napoli, Aristone di Alessandria, Cratippo di Pergamo, Andronico di Rodi, Boeto di Sidone, Senarco di Seleucia e Nicola di Damasco. Il più importante di questa costellazione di autori fu, indubbiamente, Andronico di Rodi, per il fatto che la sua edizione del Corpus Aristotelicum, determinò la rinascita dell’Aristotelismo e, al tempo stesso, il mutamento di qualità nei contenuti e nel metodo che si registra in una parte dei filosofi peripatetici di quest’epoca. Stasea di Napoli nacque negli ultimi decenni del II secolo a.C.. Svolse l’attività di retore e di filosofo, sviluppando con particolare enfasi le tematiche portanti del dibattito peripatetico del III e del II secolo a. C. Opponendosi al rigorismo estremo degli Stoici, Stasea sostenne che, per poter raggiungere la felicità, erano molto importanti anche i beni esterni e corporei, svalutati dalla scuola stoica. Tra questi beni esterni, un ruolo importantissimo è quello svolto dalla fortuna. Dal canto suo, Aristone di Alessandria fu, inizialmente, allievo di Antioco. Lucullo lo conobbe negli anni 86/87 a.C. ad Alessandria, presso il circolo degli Accademici. Aristone si interessò alla sillogistica, e aggiunse tre modi alla prima figura del sillogismo e due alla seconda figura. Non sappiamo, di preciso, che cosa abbia indotto Aristone a lasciare Antioco. La riscoperta delle opere di Aristotele e l’edizione di Apellicone (non necessariamente quella di Andronico) potrebbero aver costituito un buon motivo. Anche Cratippo di Pergamo fu, all’inizio, un allievo di Antioco. Insegnò a Mitilene e dal 47/46 a.C. ad Atene, dove suo allievo fu, tra gli altri, il figlio di Cicerone. La sua fama era abbastanza grande, a tal punto che Cicerone stesso lo considera come autorità somma e il migliore dei Peripatetici dell’epoca. Non abbiamo tuttavia notizie circa la sua nomina a scolarca. I suoi interessi orbitarono principalmente intorno all’etica, e, nella fattispecie, ai “doveri morali”. Però le uniche informazioni che ci sono giunte sul suo conto riguardano la “mantica”: da ciò risulta in modo lampante come Cratippo si richiamasse a una psicologia platonico-aristotelica che ritroviamo nelle opere pubblicate di Aristotele. La mantica di Cratippo non è quella dei Parva naturalia di Aristotele e la sua dottrina della psyché non è quella esposta nel De anima. Se ne inferisce che Cratippo non conobbe le opere di scuola dello Stagirita. Dal canto suo, Andronico di Rodi si distinse per l’edizione sistematica degli scritti di Aristotele e per la compilazione di cataloghi ragionati: lavoro di fondamentale importanza, destinato a costituire l’indispensabile premessa nonché il fondamento per la rinascita dell’Aristotelismo. Ma quali furono, in concreto, i criteri seguiti da Andronico nella sua edizione del «Corpus Aristotelicum»? Come procedette Andronico nel suo lavoro di editore? Egli non si limitò a fornire una lezione intelligibile dei testi, ma si preoccupò anche di raggruppare quegli scritti che trattavano la medesima materia e di riordinarli sulla base, appunto, del loro contenuto. Disponiamo, a questo riguardo, di un’importante testimonianza di Porfirio, il dotato allievo di Plotino. Porfirio, nell’ilustrare i criteri da lui seguiti nel pubblicare gli scritti plotiniani, scrive quanto segue (Vita di Plotino, 24, traduzione di Giuseppe Girgenti):

 

“Dato che egli stesso [Plotino] mi aveva incaricato dell’ordinamento e della correzione dei suoi scritti, e gliel’avevo promesso in vita e avevo anche annunciato ad altri amici che l’avrei fatto, innanzitutto ho deciso di non seguire l’ordine cronologico dei trattati, che sono stati scritti senza un preciso piano, ma di imitare Apollodoro di Atene e Andronico il Peripatetico, che hanno realizzato l’edizione rispettivamente del commediografo Epicarmo, raccolta in dieci tomi, e delle opere di Aristotele e di Teofrasto, suddivise e riunite nello stesso tomo per argomenti affini; analogamente, io, avendo cinquantaquattro trattati di Plotino, li ho distribuiti in sei Enneadi, ben contento di coniugare la perfezione del numero sei e del nove, in modo da raccogliere in ogni Enneade i trattati affini e da porre al primo posto i problemi più semplici”.

 

 

Se ne ricava, dunque, il principio generale che guidò Andronico nella sua operazione editoriale. Andronico riunì alcuni brevi trattati che erano più o meno autonomi (dotati peraltro di un loro titolo particolare) a trattati più corposi dedicati ai medesimi argomenti. A volte, egli ha anche dato nuovi titoli alle opere così costituite. È assai probabile, per esempio, che proprio a lui risalga la organizzazione di tutte le opere logiche in un unico corpus e lo stesso titolo di Organon dato ad esso. Dalla logica aristotelica, infatti, egli pensava dovesse iniziare lo studio sistematico della filosofia. In modo analogo, procedette con i vari scritti di carattere fisico, metafisico, etico, politico, estetico e retorico. L’ordinamento generale e particolare che Andronico impresse al Corpus Aristotelicum restò definitivo e, a ben vedere, condizionò tutta la tradizione a venire, e, quindi, anche le moderne edizioni. Si tratta – non è difficile capirlo – di un lavoro di fondamentale importanza per la tradizione occidentale, che su di esso si basò per secoli. Ma chi fu, in concreto e al di là di questa operazione editoriale così ricca di conseguenze per la Wirkungsgeschichte (la “storia degli effetti”) dell’Aristotelismo, Andronico? Fonti neoplatoniche ci suggeriscono che egli fu l’undicesimo scolarca del Peripato: ma quelle stesse fonti lasciano un vuoto (di almeno due nomi) fra Diodoro e Andronico. Qualora si consideri il fatto che proprio nel periodo corrispondente a questo vuoto ebbero luogo l’assedio di Silla ad Atene, il danneggiamento del Liceo, la confisca e il trasporto a Roma delle opere di scuola di Aristotele e la forzata interruzione dell’attività della Scuola, non è fuorviante immaginare che proprio Andronico abbia potuto ricostituire il Peripato. Per quel che riguarda la sua attività filosofica, occorre notare che essa non si ridusse affatto alla merta esegesi e al mero commento del verbo aristotelico. Possiamo venire a capo della libertà con cui Andronico trattava la problematica aristotelica soprattutto se prendiamo le mosse da ciò che ci è stato tramandato relativamente alla sua interpretazione delle Categorie aristoteliche. Anche in psicologia sembra che Andronico si sia spinto oltre Aristotele, concependo l’anima come quel rapporto numerico che collega gli elementi del corpo, e quindi come numero e addirittura come “numero semovente”, come peraltro aveva già fatto lo stesso Senocrate. Le fonti tramandano poi che Andronico oscillò fra questa concezione e quella che fa dell’anima non la “causa”, ma l’“effetto” della composizione degli elementi del corpo. In sostanza, se è vero che passò alla storia per il suo preziosissimo lavoro editoriale, è anche vero che la sua attività non può essere appiattita su quel lavoro: Andronico maturò un proprio autonomo profilo filosofico, cercando di imprimere una svolta all’Aristotelismo. Allievo diretto, nonché successore, di Andronico di Rodi fu Boeto di Sidone, il quale – se ci atteniamo alle testimonianze – diede di Aristotele una “interpretazione naturalistica”. Mentre Andronico proponeva di incominciare lo studio della filosofia partendo dalla “logica” (che è come lo strumento, e che, dunque, è la prima cosa che occorre conoscere), Boeto proponeva di cominciare dalla “fisica”, per il fatto che questa ci mette a contatto con le cose che per noi sono più familiari e conosciute e la ricerca filosofica deve, appunto, muovere da ciò che è più familiare e noto a ciò che è meno familiare e meno noto. Le tendenze naturalistiche di Boeto risultano lampanti anche da quanto ci è riferito intorno al suo Commentario alle Categorie, in particolare circa la sua interpretazione della prima categoria, ossia della “sostanza”: essa è per lui la materia e il composto e non la forma. In effetti, sembra che secondo Boeto la forma cadesse fuori della categoria di sostanza e rientrasse nell’ambito di altre categorie. Di conseguenza, per Boeto l’individuo è non solo “per noi”, ma anche “per natura” la realtà prima. Il punto estremo di questo progressivo allontanamento dall’originario messaggio di Aristotele fu però raggiunto, nel Peripato, da Senarco di Seleucia, che quasi giunse alla rottura con l’Aristotelismo. Tale rottura risulta palese soprattutto sotto due profili: a) Senarco negò l’esistenza dell’etere, scrivendo un intero trattato Contro la quinta sostanza; b) negò pure l’esistenza del soprasensibile (e quindi del “Motore Immobile”). In questo modo, benché egli continuasse imperterrito ad autocertificarsi come “peripatetico”, il suo pensiero era ormai distantissimo dall’Aristotelismo.

 


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