ARCESILAO DI PITANE

 

 

A cura di Marco Machiorletti

 

 

 

 

VITA

 

Arcesilao nacque intorno al 315 a.C. a Pitane, nell’Eolide. Trasferitosi ad Atene, probabilmente all’inizio del III secolo a.C., frequentò dapprima il Peripato e ascoltò Teofrasto; quindi passò all’Accademia e fu discepolo prima di Crantore e poi di Polemone e di Cratete. Studiò, inoltre, la dialettica della scuola megarica, e forse conobbe Pirrone di Elide. Successe a Cratete nella direzione dell’Accademia, dove tenne lezioni molto partecipate. Diogene Laerzio riferisce che possedeva una grande inventiva nel risolvere facilmente le obiezioni e nella capacità di adattarsi ad ogni situazione. Morì intorno al 240 a.C.

 

 

 

PENSIERO

 

Mentre Timone di Fliunte fissava e sviluppava nei suoi scritti il pensiero di Pirrone di Elide, nell’Accademia platonica Arcesilao inaugurava una nuova fase, assumendo posizioni per alcuni aspetti vicine a quelle di Timone e di Pirrone.

È indubbio che Arcesilao si possa definire «scettico». L’accesa avversione di Timone nei confronti di Arcesilao ne è, in un certo senso, la conferma: Timone sentiva infatti la nuova posizione dell’Accademia come una autentica invasione del proprio campo. Del resto, sia pure a denti stretti, almeno in un’opera egli fu costretto ad approvare il pensiero di Arcesilao. E, al di là di tutte le polemiche, Sesto Empirico riconosce espressamente di non vedere differenze essenziali fra Arcesilao e lo Scetticismo:

 

“Arcesilao […] pare a me che partecipi proprio dei ragionamenti pirroniani, tanto da essere unico l’indirizzo suo e il nostro. E invero, né si trova ch’egli si pronunci intorno all’esistenza né intorno alla non esistenza delle cose, né giudica preferibile, rispetto alla credibilità o non credibilità, una cosa a un’altra, ma in tutto sospende suo il giudizio”. (Schizzi Pirroniani, I, 232)

 

In Socrate e in Platone vi sono sicuramente tratti che si possono chiamare formalmente «aporetici», posizioni di dubbio, improvvise sospensioni di giudizio: ma sono quasi sempre finalizzate al ritrovamento della verità, o, in ogni caso, alla preparazione mediata di questo ritrovamento. In ogni caso, in Socrate e in Platone il dubbio è sempre «mezzo» e mai «fine»; si aggiunga poi che, in Platone, il dubbio coinvolge la sfera della natura, ma non sussiste per quel che riguarda il mondo delle Idee, che sono oggetto di scienza incrollabilmente certa.

Certamente un Accademico poteva individuare nei dialoghi platonici un catalogo di espressioni, momenti e passaggi dubitativi: ma questi, in ogni caso, non avrebbero potuto assumere un significato «scettico», se non prescindendo da tutta la parte costruttiva e positiva.

Arcesilao si ispirò alle istanze dello Scetticismo pirroniano, e le fuse con gli elementi del Socratismo e del Platonismo di cui abbiamo ora detto, facendo perdere a essi il loro significato originario. È assai indicativo il fatto che Arcesilao ritenesse di dover respingere addirittura l’unica certezza che Socrate vantava, cioè il «sapere di non sapere»; infatti, Arcesilao negava perfino di «sapere di non sapere».

Tale inversione di rotta era il prezzo che l’Accademia pagava per entrare nel vivo delle discussioni filosofiche della nuova età, ma era anche la rinuncia alla fedeltà rispetto al proprio passato.

In metodo  confutatorio-ironico-maieutico, che Socrate e Platone usavano per cercare il vero, fu da Arcesilao largamente utilizzato nel nuovo senso «scettico», e fu da lui diretto in modo massiccio e implacabile soprattutto contro gli Stoici, in particolare contro Zenone.

Si trattava di confutare la Stoà con le sue stesse armi, e in tal modo ridurla al silenzio.

In particolare, Arcesilao sottopose a serrata critica il criterio stoico della verità, che i filosofi del portico identificarono con la «rappresentazione catalettica».

Il nerbo della sua critica consisteva in questo:

 

“Se l’apprensione è l’assenso della rappresentazione catalettica, è insussistente, in primo luogo, perché l’assenso non ha luogo in relazione alla rappresentazione, bensì in relazione alla ragione (infatti gli assensi sono giudizi), in secondo luogo perché non si trova alcuna rappresentazione vera che sia tale da non poter essere falsa”. (Sesto Empirico, Contro i matematici, VII, 134)

 

Se così è, quando noi «assentiamo», rischiamo di assentire a qualcosa che può essere anche falso. Quello che nasce dall’«assenso» non può dunque mai essere certezza e verità, ma solo «opinione». E, allora, delle due l’una: o il saggio stoico dovrà accontentarsi di opinioni, o, se ciò è per il saggio inaccettabile – dato che saggio è solo chi possiede la verità –, il saggio dovrà essere «acatalettico», ossia dovrà «sospendere l’assenso»:

 

“Poiché tutte le cose sono inapprensibili, per il motivo che non esiste il criterio stoico, allora, se il saggio darà il suo assenso, avrà mera opinione: infatti, poiché non c’è nulla di apprensibile, se il saggio darà l’assenso a qualcosa, lo darà a ciò che è inapprensibile, e l’assenso a ciò che è inapprensibile è appunto l’opinione. Di conseguenza, se il saggio è uno di coloro che dà l’assenso, il saggio è uno di coloro che hanno semplice opinione. Ma il saggio non è uno che ha semplici opinioni (infatti per gli Stoici l’opinione è insipienza e causa di errori); dunque il saggio non è uno di coloro che danno l’assenso. Ma se è così, il saggio dovrà astenersi dal dare l’assenso su tutte le cose. Ma astenersi dal dare l’assenso non è altro che sospendere il giudizio: dunque il saggio sospenderà il giudizio su tutte le cose”. (Sesto Empirico, Contro i matematici, VII, 156 sg.)

 

La «sospensione del giudizio» (epoché), che lo Stoico raccomandava solo nei casi di mancanza di evidenza, viene così generalizzata da Arcesilao, una volta stabilito che non c’è mai assoluta evidenza.

Sull’epoché Arcesilao dovette effettivamente insistere in modo del tutto particolare:

 

“Arcesilao dice che il fine è la sospensione del giudizio […]; e, inoltre, che beni sono le singolari sospensioni del giudizio, mali le singolari affermazioni”. (Sesto Empirico, Schizzi pirroniani, I, 232 ss.)

 

Naturalmente gli stoici dovettero vivacemente reagire e dovettero obiettare che la sospensione radicale dell’assenso implicava l’impossibilità di risolvere il problema della vita, e inoltre che rendeva impossibile qualsiasi azione.

A tale obiezione Arcesilao dovette rispondere con l’argomento dell’«eulogon» o del «ragionevole».

Lo riportiamo:

 

“Ma poiché dopo ciò bisogna anche occuparsi di ciò che concerne la condotta della vita, la quale non si può dare senza un criterio di verità, dal quale anche la felicità, ossia il fine della vita, trae la propria credibilità, Arcesilao afferma che chi sospende il suo assenso su tutto regolerà le sue scelte e i suoi rifiuti e in generale le sue azioni col criterio del ragionevole o plausibile; e procedendo secondo questo criterio compirà azioni rette: infatti la felicità si raggiunge mediante saggezza, e la saggezza sta nelle azioni rette, e l’azione retta è quella che, una volta compiuta, ha una giustificazione ragionevole o plausibile. Dunque, chi si attiene al plausibile agirà rettamente e sarà felice”. (Sesto Empirico, Contro i matematici, VII, 158)

 

Il suo senso pare debba essere il seguente: non è vero che, sospendendo il giudizio, l’azione morale è impossibile. Gli stessi Stoici, infatti, per spiegare le comuni azioni morali, avevano introdotto i kathékonta, o «doveri», considerandoli azioni che hanno una loro plausibile e ragionevole giustificazione. E mentre solo il saggio sarebbe capace di azioni morali perfette, tutti sarebbero invece capaci di compiere i kathékonta.

Ma, allora, ecco dimostrato che l’azione morale è possibile, dato che i kathékonta sono possibili anche senza la verità e la certezza assoluta. Anzi il «ragionevole» o «plausibile» basta addirittura per compiere «azioni rette».

E con questo si dimostra, con le armi stesse degli Stoici, essere sufficiente il ragionevole, e che di conseguenza sono assurde le pretese del saggio e della sua morale superiore.

Lo Scetticismo di Arcesilao differisce notevolmente da quello pirroniano sia per i motivi da cui nasce, sia per la sua consistenza speculativa, sia per la temperie culturale che crea attorno a sé.

Lo Scetticismo di Pirrone nasce per risolvere il problema della vita e della felicità: nasce da un sentimento della vita che vede nella rinuncia, nell’imperturbabilità e nell’impassibilità il segreto della felicità.

La formulazione e lo sviluppo delle dottrine pirroniane non sono se non la formulazione e la motivazione di quei presupposti e di quei corollari che conseguono a quella fondamentale intuizione del senso della vita.

Invece lo Scetticismo accademico inaugurato da Arcesilao risulta svuotato di quella carica originaria e si impoverisce in senso «dialettico», in quanto tende a diventare puro elenchos, mera «confutazione» dell’avversario stoico.

In sostanza, lo Scetticismo di Arcesilao finisce per ridursi, in ultima analisi, a un tentativo di rovesciamento dei dogmi della Stoà, senza alcuna capacità di proporre positive alternative di alcun genere.

Tale forma di Scetticismo è di breve respiro e di vita limitata: vive solo nella misura in cui distrugge l’avversario, e poi, ucciso l’avversario, con lui cade esanime sul campo deserto.

 


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