HANNAH ARENDT

A cura di Diego Fusaro


RITORNO IN GERMANIA

In questo agile libello avvertiamo in Arendt il tentativo di comprendere come sia potuta accadere la degenerazione della morale umana in Germania. E' il suo rientro in patria dopo anni di esilio forzato in America a causa della persecuzione contro gli ebrei. I sentimenti di Hannah sono forti e intensi, passano dalla rabbia e angoscia per quello che è successo, alla riappacificazione con la madre terra, con il paese in cui ha vissuto da giovane. In questo scritto sono molti i temi che affronta, ma al centro di essi sta la tematica, fortemente dibattuta negli anni successivi, del ruolo della maggior parte dei tedeschi di passività e adesione al nazionalsocialismo. Passata la paura, i tedeschi sembrano trattare i fatti come fossero semplici opinioni, la loro è una sorta di evasione dalla realtà che oramai li ha condannati al ricordo struggente di ciò che hanno commesso. Hannah giudica questo atteggiamento erede del regime nazista, e lo chiama relativismo nichilista. Alla gente di Berlino dedica diverse pagine in cui descrive la loro vita dopo il disastro, le loro abitudini e il tentativo di ricominciare lasciandosi dietro le spalle i misfatti commessi. Il programma di denazificazione ha fallito in gran parte poiché ha permesso che molti esponenti di primo piano del nazismo restassero nelle loro posizioni di vertice, e venissero nascosti alle autorità che avrebbero dovuto fare giustizia. Dopo la caduta forzata del nazismo i tedeschi hanno dovuto riprendere la loro vita economica, aiutati dagli americani e dalle forze vincitrici, ma la loro economia era gravata dai grossi debiti di guerra e dalle sanzioni internazionali: successe quindi che i proprietari di fabbriche e industrie, di chiare simpatie naziste, riprendessero i loro posti dirigenziali per restaurare la grande Germania, per riportare sui binari giusti la storia dissestata del paese. A ciò si aggiunse il problema dei profughi dall'est che alla fine della guerra si riversarono dall'est europeo. Infine Arendt critica la posizione dei partiti, deboli in partenza:

" Gli apparati di partito sono interessati a procurare lavori e vantaggi ai propri membri e hanno il potere per conseguire questo scopo... Lungi dall'incoraggiare ogni iniziativa, essi temono i giovani con nuove idee: in breve sono rinati già vecchi ".

Alla fine rimane la duplice domanda:

" che cosa ci si poteva in generale aspettare da un popolo dopo dodici anni di dominio totalitario? Che cosa ci si poteva aspettare da un'occupazione che si è vista posta dinanzi all'impossibile compito di risollevare un popolo che aveva perduto il terreno sotto i piedi? ".

L'esempio tedesco mostra che l'aiuto dall'esterno probabilmente non libera nessuna autoctona capacità d'iniziativa e che il dominio totalitario è qualcosa di più che semplicemente la forma peggiore di tirannide. Il totalitarismo corrompe la società fino al midollo. Arendt conclude dicendo che il problema tedesco non è caratteristico dei tedeschi, bensì delle società comandate dal totalitarismo, e potrebbe essere risolto solo in un'Europa federale se si riuscirà. Oggi sappiamo che Arendt aveva ragione e ha visto bene come l'integrazione in una Europa unita possa risolvere i problemi dell'intolleranza e della lotta fratricida.

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