Ateismo e mondo senza Dio in Nietzsche

 

Di Antonietta Pistone

 

 

Un mondo senza Dio, è questo l’errore dell’Occidente. Non un mondo senza fede, credenti, religioni o chiese. Ma un mondo generato dalla morte di Dio, che rifiuta nel nichilismo quei valori scomparsi di cui parla Nietzsche. La morte di Dio non è un evento paragonabile, nella storia dell’Umanità, alla morte esistenziale, determinata da malattia o violenza accidentale. L’uccisione della persona di Cristo ha segnato profondamente il cammino dell’uomo nel mondo, cominciato con il più pesante e imperdonabile crimine della Storia: la creatura che uccide il suo Creatore. “Siamo stati noi ad ucciderlo: voi e io! Siamo noi tutti i suoi assassini! Ma come abbiamo fatto questo? Come potemmo vuotare il mare bevendolo fino all’ultima goccia? Chi ci dette la spugna per strusciar via l’intero orizzonte? Che mai facemmo, a sciogliere questa terra dalla catena del suo sole? Dov’è che si muove ora? Dov’è che ci muoviamo noi? Via da tutti i soli? Non è il nostro un eterno precipitare? E all’indietro, di fianco, in avanti, da tutti i lati? Esiste ancora un alto e un basso? Non stiamo forse vagando come attraverso un infinito nulla? Non alita su di noi lo spazio vuoto? Non si è fatto più freddo? Non seguita a venire notte, sempre più notte? Non dobbiamo accendere lanterne la mattina? Dello strepito che fanno i becchini mentre seppelliscono Dio, non udiamo dunque nulla? Non fiutiamo ancora il lezzo della divina putrefazione? Anche gli dei si decompongono! Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! Come ci consoleremo, noi, gli assassini di tutti gli assassini? Quanto di più sacro e di più possente il mondo possedeva fino ad oggi, si è dissanguato sotto i nostri coltelli; chi detergerà da noi questo sangue? Con quale acqua potremo noi lavarci? Quali riti espiatori, quali giochi sacri dovremo noi inventare? Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa?...Che altro sono ancora queste chiese, se non le fosse e i sepolcri di Dio?”[1]. Oggi, quel misfatto raccontato e condannato nella filosofia del Novecento dal pensatore tedesco, si ripropone inequivocabilmente e ripetutamente ogni giorno, nel crimine del fratello che uccide e sopprime il fratello; nell’uso di un linguaggio non propriamente empatico; nelle azioni efferate contro l’altro; nel tentativo reiterato di soggiogare il proprio simile piuttosto che lasciarlo crescere accanto. È il trionfo della violenza sul dialogo, della sopraffazione sull’incontro, del  linguaggio della spada piuttosto che di quello dell’amore. Inequivocabilmente colpisce l’attento osservatore del quotidiano la mancanza di un valore fondamentale alla sopravvivenza del genere umano, smarrito del tutto nell’oblio della cultura e della morale sociale ed individuale. Non si ha più alcun rispetto per la vita umana, che non è valore ontologico, ma piuttosto un accidenti come direbbe Aristotele, che c’è ma che può non esserci nell’assoluta indifferenza. Come per i passaggi di stato in chimica e fisica, la vita umana è il percorso di un mutamento incessante che ha il suo culmine nell’evento finale. In che modo esso avvenga ha assai poca importanza. La morte assume, perciò, il significato di un’epurazione, come lo era per i nazionalsocialisti tedeschi durante la tragedia criminale dell’Olocausto nella seconda guerra mondiale. Essa è utile ad “eliminare” le persone scomode, quelle che recano intralcio all’esistere. Un esistere vuoto. Deserto spirituale e sterile per le coscienze immiserite e sconvolte dal sopraggiungere, nel capitalismo post-moderno, di obiettivi materialistici che rinvengono nel profitto il solo fine dell’esistenza. La miopia dell’uomo occidentale è quasi cecità davanti ai massimi interrogativi filosofici, quando non è concepibile una vita senza denaro e senza potere sugli altri. Quando alla vita umana non si attribuisce alcun valore intrinseco. Quando l’uomo nella sua persona non è più, come voleva Kant, un fine dell’agire politico, ma diviene strumento cosificato, offeso e vilipeso, pietrificato dalla violenza dell’essere usato, dallo sguardo la cui prospettiva lo sopravanza, per scorgere in lontananza gli appalti, il profitto imprenditoriale, le armi, la droga, il mercato della prostituzione, le ecomafie dei rifiuti. Assistiamo attoniti al proliferare di assassini che insanguinano le pagine dei nostri giornali, dei misteri che ammorbano l’Italietta borghese e perbenista. Putrida, come i suoi cadaveri, dell’ipocrisia dei valori che hanno perso di vista la persona, il senso della vita, i riferimenti ontologici della morale esistenziale. Che non riesce più a distinguere bene e male, stordita e confusa com’è dal piacere orrido delle carcasse senza vita e dai loro assassini, dalle trame psicoanalitiche di menti sconvolte da traumi infantili, che riconducono ancora una volta, prepotentemente, al punto di partenza. A quei valori fondamentali smarriti nel vuoto cosmico delle coscienze abbrutite dalla banalità, dall’ostentazione, dal non avere più nulla da dire e da raccontare ai giovani che rappresentano il solo futuro possibile che ogni società civile possa immaginare. Perché è allora che proliferano la mamme assassine dei figli, le amiche che uccidono le conviventi, i mariti traditi che si trasformano in lucidi criminali di cronaca nera, i ragazzi quindicenni e bulli  che minacciano un compagno per estorcergli denaro, accanto al terrorismo religioso e politico dei mafiosi che  derubano  le splendide bellezze naturali del mezzogiorno italiano, infangandole della loro miseria e pochezza. Spargendo attorno rancore e odio, dolore e sofferenza, paura e terrore. Perché laddove si strappa la vita umana non c’è altro vero valore ontologico che si possa immaginare al suo posto, per riempire di senso e significato veri quella croce di Cristo che libera nel dolore, e che fa crescere l’uomo come signore e padrone responsabile dell’universo e dei propri simili, nel prendersi cura dell’altro, nel bene e nel male. Nel viversi accanto come fratelli, nel rispetto reciproco, nonostante la differenza, tolleranti e amorevoli gli uni verso gli altri. Abbiamo bisogno di una nuova morale, ammonisce Nietzsche, che ripudi il nichilismo, il vuoto di senso lasciato dalla morte di Dio, che veda l’uomo in vista di un suo possibile superamento. Una nuova morale, oggi, che abbia il suo fondamento nella metafisica di nuovi valori, e di un uomo nuovo capace di farsene interprete. La morte di Dio è un evento irripetibile nella storia, che consegna l’umanità del day after al nulla che rimane nelle chiese, cimiteri di Cristo, sepolcri di preghiere senza  ritorno. Solo prendendo amaramente atto di questa realtà si può uscire fuori per liberarsi della menzogna del cristianesimo, che vive dopo duemila anni nell’eterna illusione di un Dio che non c’è. Che non si fa capace dell’annunzio dell’uomo folle della Gaia Scienza, perché non sa accettare l’assenza. Dio, se mai è esistito, non può che essere insostituibile. È giunto il momento, per l’uomo, di crescere. Si può auspicare la rinascita di un’umanità abbrutita dalla materia senza spirito e priva di poesia, incapace di cogliere la grandezza del tutto in un solo filo d’erba e nello sguardo di chi chiede ascolto, comprensione, condivisione reciproca. A volte, solo un sorriso. Ma bisogna, virilmente, assumersi le conseguenze amare dell’inqualificabile gesto dell’umanità. L’ateismo, in Nietzsche, non è una scelta. Ma la necessaria constatazione di uno stato di fatto. La ragionevole presa d’atto di un fatto storico irreversibile. L’uomo è ateo, perché Dio è morto. L’uomo è ateo perché è rimasto solo, senza Dio. Piuttosto che rifugiarsi nelle chiese, cimiteri di Dio, l’uomo, a partire dalla sua solitudine, ha la necessità di reinventarsi una nuova morale, dei nuovi valori, che risolvano il nichilismo in una restaurata possibilità per l’uomo di essere e di esistere in modo nuovo.

Antonietta Pistone

Tratto dal mio articolo Un mondo senza Dio si appresta a vivere il Natale, edito sul Provinciale di Foggia, anno XIX-n. 11-12, novembre-dicembre 2007

Bibliografia

1.     Nietzsche, La Gaia Scienza, 1882, brani antologici

2.     Protagonisti e testi della filosofia, Nicola Abbagnano e Giovanni Fornero, volume D, tomo 1, Paravia, Milano, 2000



[1] Aforisma 125, trad. it in Opere, Adelphi, Milano, 1965, n.e. 1991, vol. V, tomo 2, pp. 150-152


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