JEAN BAUDRILLARD




VITA E PRIMI SCRITTI



Jean Baudrillard nacque nella città vescovile di Reims (Francia) nel 1929. In un’intervista dichiarò che i suoi nonni erano dei contadini e i suoi genitori degli impiegati statali. Affermò anche che fu il primo membro della sua famiglia a ottenere un grado di istruzione avanzato e che questo comportò una rottura con i suoi genitori e con l’ambiente culturale da cui proveniva. Nel 1956, incominciò a lavorare come professore in un liceo francese e nei primi anni sessanta lavorò presso la casa editrice francese Seuil. Inizialmente, Baudrillard era uno studioso della lingua e della cultura tedesca che pubblicò saggi sulla letteratura nella rivista Les temps modernes tra il 1962 e il 1963 e che tradusse opere di Peter Weiss e Bertold Brecht in francese, oltre a un libro di Wilhelm Mühlmann sui movimenti messianici rivoluzionari. Durante questo periodo, conobbe e studiò le opere di Henri Lefebvre, le cui critiche sulla vita quotidiana lo impressionarono, e Roland Barthes, le cui analisi semiologiche sulla società contemporanea ebbero un’influenza duratura sulla sua opera.

Nel 1966, Baudrillard incominciò a lavorare nell’università di Paris-Nanterre e divenne assistente di Lefebvre, studiando allo stesso tempo le lingue, la filosofia, la sociologia e altre discipline. Discusse la sua ‘Thèse de Troisième Cycle’ in sociologia a Nanterre nel 1966 con una dissertazione intitolata “Il sistema degli oggetti”, e incominciò a insegnare sociologia nell’ottobre dello stesso anno. Opponendosi all’intervento francese e americano  nelle guerre d’Algeria e del Vietnam, negli anni sessanta si unì alla sinistra francese. Nanterre era un punto strategico per la politica radicale e il ‘movimento del 22 marzo’, associato a Daniel Cohn-Bendit e agli enragés, iniziò nel dipartimento di sociologia di Nanterre. Baudrillard rese noto più tardi che prese parte agli eventi del maggio 1968, che sfociarono in massicce rivolte studentesche e in uno sciopero generale che portò quasi alla destituzione di de Gaulle.

Durante la seconda metà degli anni sessanta, Baudrillard incominciò a pubblicare una serie di libri che alla fine lo fecero conoscere in tutto il mondo. Influenzato da Lefebvre, Barthes e una serie di pensatori francesi il cui influsso sarà discusso più avanti, intraprese uno studio approfondito nel campo della teoria sociale, della semiologia e della psicoanalisi e pubblicò il suo primo libro intitolato Il sistema degli oggetti nel 1968 (1996), seguito da un altro libro, La società consumistica nel 1970 (1998), e da Per una critica dell’economia politica del segno nel 1972 (1981). Queste prime pubblicazioni erano dei tentativi, nell’ambito della sociologia critica, di combinare gli studi della vita quotidiana iniziati da Lefebvre con una semiologia sociale che studiava la vita dei segni nella vita sociale. Questo progetto, influenzato da Barthes, si incentrava sul sistema degli oggetti nella società consumistica (il punto centrale dei suoi primi due libri) e sul punto di incontro tra l’economia politica e la semiotica (il nucleo del suo terzo libro). Queste opere furono tra le prime ad analizzare come gli oggetti sono codificati all’interno di un sistema di segni e di significati che costituisce le società mediatiche e consumistiche contemporanee. Combinando gli studi semiologici, l’economia politica marxiana e la sociologia della società consumistica, Baudrillard cominciò l’impresa di tutta una vita di esplorare il sistema degli oggetti e dei segni su cui si basa la nostra vita quotidiana.

Il primo Baudrillard descriveva i significati implicati negli oggetti quotidiani (es. il valore derivato dall’identificazioe con la propria automobile mentre si guida) e il sistema strutturale attraverso cui gli oggetti erano organizzati in una società nuova e moderna (es. il prestigio di una nuova auto sportiva). Nei suoi primi tre libri, Baudrillard sostenne che la critica marxiana classica dell’economia politica avesse bisogno di essere integrata da teorie semiologiche del segno che articolavano i diversi significati espressi dai significanti quali un linguaggio organizzato in un sistema di significato. Baudrillard, dopo Barthes e altri, ritenne che anche la moda, gli sport, i media e altri modi di significato producessero dei sistemi di significato articolati da regole, codici e logiche specifiche (questi termini, che venivano usati in maniera piuttosto intercambiabile da Baudrillard, sono spiegati più dettagliatamente più avanti).

Collocando la sua analisi dei segni e della vita quotidiana in una cornice storica, Baudrillaud sostenne che la transizione da uno stadio precedente di un capitalismo di mercato competitivo allo stadio di un capitalismo di monopolio richiedesse una maggiore attenzione verso il controllo della domanda e del consumo. A questo stadio storico, dal 1920 circa agli anni sessanta, il bisogno di intensificare la domanda dipendeva dall’abbassamento dei costi di produzione e dall’espansione della produzione. In quest’epoca di sviluppo capitalista, la concentrazione economica, le nuove tecniche di produzione e lo sviluppo di nuove tecnologie acceleravano la capacità di produzione di massa e le corporazioni capitaliste si concentravano sull’accresciuta attenzione nei confronti del controllo del consumo e della creazione di bisogni per nuovi beni di lusso, producendo in questo modo il regime di ciò che Baudrillard denominò segno-valore.

Secondo l’analisi di Baudrillard, la pubblicità, la presentazione, l’esposizione, la moda, la sessualità ‘emancipata’, i mass media, la cultura e la proliferazione di prodotti avevano moltiplicato la quantità di segni e prodotto un aumento di segno-valore. D’ora innanzi, dichiarava egli, i prodotti non erano più caratterizzati semplicemente dal valore d’uso e dal valore di scambio, come nella teoria dei beni di Marx, ma il segno-valore – l’espressione e la marca di stile, prestigio, lusso, potere e così via – diventava una parte sempre più importante del prodotto e del consumo. In questa prospettiva, Baudrillard affermava che i prodotti venivano comprati e mostrati tanto per il loro segno-valore che per il loro valore d’uso e che il fenomeno del segno-valore era diventato un elemento essenziale del prodotto e del consumo nella società consumistica. Questa posizione era stata influenzata dalla nozione di Veblen di ‘consumo cospicuo’ e di esposizione dei beni analizzata nella sua Teoria della classe del tempo libero che Baudrillard ritenne che si fosse estesa a ogni membro della società consumistica. Per Baudrillard, l’intera società era organizzata attorno al consumo e all’esposizione dei beni, attraverso i quali gli individui acquisivano prestigio, identità e reputazione sociale. In questo sistema, più prestigiosi sono i beni di una persona (case, automobili, vestiti e via dicendo), più è elevata la sua reputazione sociale nell’ambito del segno-valore. Così, proprio come le parole assumono un significato a seconda della loro posizione in un sistema differenziale di linguaggio, allo stesso modo i segni-valore assumono un significato a seconda del loro posto in un sistema differenziale di prestigio e di status sociale.

Ne La società consumistica, Baudrillard concluse decantando le ‘molteplici forme di rifiuto’ delle convenzioni sociali, del consumo cospicuo e del pensiero e del comportamento conformisti, forme che potevano essere riunite in una ‘pratica di cambiamento radicale’ (1998:183). Egli alludeva qui alle aspettative di ‘violente rivolte e di improvvisa disintegrazione che avrebbero distrutto, nella stessa maniera imprevedibile e certa che contraddistinse il maggio del 1968, questa bianca massa’ [di consumo]. Dall’altra parte, Baudrillard descrisse anche una situazione dove l’alienazione era così totale che non poteva esser risolta perché ‘è la struttura stessa della società di mercato’. Secondo lui, in una società dove tutto è un bene che può essere comprato e venduto, l’alienazione è totale. Infatti, il termine ‘alienazione’ originariamente significava ‘vendere’ e in una società completamente commercializzata dove tutto è un bene, l’alienazione è ovunque. Inoltre, Baudrillard postulava ‘la fine della trascendenza’ (una frase presa mutuata da Marcuse) laddove gli individui non potevano né percepire i propri bisogni autentici, né un’altra maniera di vivere (1998:190ff).

A partire dal 1970, Baudrillard prese le distanze dalla teoria rivoluzionaria marxista per postulare solo la possibilità di rivolta contro la società consumistica in una forma ‘imprevedibile ma certa’. Nella seconda metà degli anni sessanta, si unì a un gruppo di intellettuali che ruotavano attorno al giornale Utopie, che cercava di superare le costrizioni disciplinari e, nello spirito di Guy Debord e del Situazionismo internazionale, di combinare riflessioni su società alternative, architettura e modi di vita quotidiana. Riunendo assieme gli individui sui margini dell’architettura, dell’urbanistica, del criticismo culturale e della teoria sociale, Baudrillard e i suoi seguaci si separarono dalle altre correnti politiche e teoretiche e svilupparono un discorso idiosincratico e marginale che andava oltre i limiti delle discipline stabilite e delle tendenze politiche. Questa affiliazione con Utopie durò solo fino ai primi anni settanta, ma potrebbe aver contribuito a far nascere in Baudrillard un desiderio di lavorare ai margini, di non lasciarsi coinvolgere dalle tendenze del tempo e da mode passeggere e di sviluppare le proprie posizioni teoretiche.

Quindi, durante i primi anni settanta Baudrillard aveva una relazione ambivalete con il marxismo classico. Da una parte, continuava la critica marxiana della produzione dei beni che delineava e criticava varie forme di alienazione, dominio e sfruttamento prodotti dal capitalismo. In questo senso, sembrava che la sua critica si originasse dal modello della posizione vantaggiosa neo-marxiana che assumeva che il capitalismo fosse colpevole perché omogenizzava, controllava e dominava la vita sociale, privando gli individui della loro libertà, della loro creatività, del loro tempo e delle loro risorse umane. Dall’altra parte, però, egli non era in grado di indicare nessuna forza rivoluzionaria e in particolare non discuteva la situazione e il potenziale della classe operaia in quanto agente di cambio nella società consumistica. In effetti, Baudrillard non aveva alcuna teoria del soggetto in quanto agente attivo del cambiamento sociale, seguendo in questa maniera la critica strutturalista e poststrutturalista del soggetto filosofico e pratico categorizzato da Cartesio, Kant e Sartre che ha dominato a lungo il pensiero francese. Gli strutturalisti e i poststrutturalisti ritenevano che la soggettività fosse prodotta dal linguaggio, dalle istituzioni sociali e dalle forme culturali e che non fosse indipendente dalla sua costruzione in queste istituzioni e pratiche.

Allo stesso modo, Baudrillard non sviluppò una teoria di classe o di rivolta di gruppo, o una qualsiasi teoria di organizzazione politica, di lotta, o di strategia del genere che fu frequente nella Francia post-anni sessanta. Eppure, la sua opera è particolarmente vicina all’operato della scuola di Francoforte, specialmente quello di Herbert Marcuse, che aveva già delineato alcune delle prime critiche marxiste della società consumistica. Come Lukàcs (1971) e la scuola di Francoforte, Baudrillard analizzò come il prodotto e la commercializzazione permeassero la vita sociale e riuscissero a dominare il pensiero e il lavoro individuale. Seguendo la linea generale del marxismo critico, Baudrillard sosteneva che il processo della omogeneizzazione sociale, della alienazione e dello sfruttamento costituisse uno sviluppo della reificazione dei beni e delle tecnologie e che le cose (‘oggetti’) giungessero a dominare le persone (‘soggetti’) privandole delle loro qualità e capacità umane.

Per Lukàcs, la scuola di Francoforte e Baudrillard, la reificazione – il processo per mezzo del quale gli esseri umani sono dominati dalle cose e diventano simili a delle cose essi stessi – governava la vita sociale. Le condizioni di lavoro imponevano la sottomissione e la standardizzazione della vita umana, così come lo sfruttamento dei lavoratori e la loro alienazione da una vita libera e auto-determinante.

In un certo senso, l’opera di Baudrillard può essere considerata come una descrizione di uno stadio più avanzato di reificazione e di dominazione sociale di quello descritto dalla scuola di Francoforte, che descriveva come gli individui venissero controllati dalle istituzioni e dai modi di pensiero dominanti. Baudrillard si spinse oltre la scuola di Francoforte applicando la teoria semiologica del segno per descrivere come i beni, i media e le tecnologie creassero un universo di illusione e fantasia in cui gli individui diventavano preda di valori consumistici, ideologie mediatiche, modelli da seguire e tecnologie seduttive come i computer che fornivano mondi di ciberspazio. Alla fine, portò questa analisi del dominio dei segni e del sistema degli oggetti a conclusioni addirittura più pessimistiche, nelle quali sosteneva che la tematica della ‘fine dell’individuo’ anticipata dalla scuola di Francoforte aveva raggiunto il suo adempimento con la sconfitta totale della soggettività umana da parte del mondo degli oggetti.

Eppure in alcuni scritti, Baudrillard sostenne una teoria di consumo in qualche modo più attiva di quella della scuola di Francoforte, che generalmente dipingeva il consumo come una maniera passiva di integrazione sociale. Al contrario, nei primi scritti di Baudrillard il consumo stesso era una sorta di lavoro, ‘una manipolazione attiva dei segni’, un modo di inserirsi all’interno della società consumistica e di cercare di differenziarsi dagli altri. Tuttavia, questa manipolazione non equivaleva a postulare un soggetto umano attivo che potesse resistere, ridefinire, o produrre i propri segni, perciò egli non riuscì a sviluppare una autentica teoria di azione.

In quest’ottica, le prime tre opere di Baudrillard possono essere lette all’interno della cornice di una critica neo-marxiana delle società capitalistiche. Si potrebbe considerare la sua enfasi sul consumo come un’integrazione dell’analisi di Marx sulla produzione e il suo concentrarsi sulla cultura e sui segni come un’importante aggiunta all’economia politica del marxismo classico, ciò che aggiungeva una dimensione culturale e semiologica al progetto marxiano. Ma nella sua provocazione del 1973, Lo specchio della produzione, Baudrillard attaccò sistematicamente il marxismo classico, dichiarando che non era che uno specchio della società borghese e che poneva la produzione al centro della vita, naturalizzando così l’organizzazione capitalista della società.

Anche se negli anni sessanta Baudrillard partecipò ai tumultuosi eventi del maggio 1968 e fu collegato alla sinistra rivoluzionaria e al marxismo, si staccò definitivamente da quest’ultimo nei primi anni settanta, ma in politica rimase radicale, anche se non si associò più a nessun movimento per il resto del decennio. Come molti nella sinistra, fu deluso dal fatto che il partito comunista francese non avesse appoggiato i movimenti radicali degli anni sessanta e diffidò anche del marxismo ufficiale di teorici come Louis Althusser che egli trovava dogmatico e riduttivo. Di conseguenza, Baudrillard incominciò una critica radicale del marxismo che sarebbe stata ripresa da molti dei suoi contemporanei che, come lui, avrebbero preso una svolta postmoderna.

Baudrillard riteneva che il Marxismo, in primo luogo, non illuminasse adeguatamente le società premoderne che erano organizzate attorno alla religione, alla mitologia e all’organizzazione tribale e non attorno alla produzione. Sosteneva inoltre che il marxismo non procurasse una critica sufficientemente radicale delle società capitaliste, così come non forniva dei discorsi e delle prospettive critiche alternative. A questo punto, prese in considerazione le prospettive antropologiche sulle società premoderne per ottenere degli spunti riguardanti alternative di maggiore emancipazione. Ad ogni modo, è importante notare che questa critica del marxismo venne suggerita dalla sinistra, che riteneva che il marxismo non fornisse una critica abbastanza radicale, o un’alternativa alle società capitaliste e comuniste contemporanee organizzate attorno alla produzione. Baudrillard concluse sostenendo che il fatto che il comunismo francese non avesse appoggiato i movimenti del maggio del 1968 fosse dovuto in parte a un conservatorismo che aveva le sue radici nello stesso marxismo. Per cui, Baudrillard e altri della sua generazione incominciarono a cercare delle posizioni critiche alternative.    

 




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