CHE GUEVARA

A cura di


CONFERENCIA MUNDIAL DE COMERCIO Y DESARROLLO

Signor Presidente, Signori Delegati: Vi parla la delegazione di Cuba, un’isola situata all’ingresso del Golfo del Messico, nel Mare dei Caraibi. Vi parla sostenuta dai molteplici diritti che ha per giungere a questo forum e proclamare la sua verità. Vi parla in primo luogo come paese che sta realizzando la gigantesca esperienza di costruzione del socialismo; come paese appartenente all’insieme delle nazioni latinoamericane, anche se decisioni antigiuridiche lo hanno transitoriamente separato dall’organizzazione regionale, grazie alla pressione e all’azione degli Stati Uniti. La posizione geografica indica che vi parla un paese sottosviluppato che ha sofferto sulla propria carne le ferite dello sfruttamento colonialista e imperialista e che conosce l’amara esperienza della sudditanza dei suoi mercati e delle sua economia o, ed è lo stesso, della sudditanza di tutto il suo apparato governativo a un potere straniero. Cuba parla, inoltre, nella sua condizione di paese aggredito. Tutte queste caratteristiche hanno collocato la nostra nazione in primo piano tra le notizie del mondo intero, malgrado le sue ridotte dimensioni, la scarsa importanza economica e la modesta popolazione. In questa Conferenza Cuba esprimerà la sua opinione attraverso distinti punti di vista che formano la sua peculiare situazione nel mondo, ma soprattutto fonderà la sua analisi sulla sua condizione più importante e positiva: quella di un paese che costruisce il socialismo. Nella condizione di paese latinoamericano e sottosviluppato si unirà alle principali richieste dei paesi fratelli, e nella sua condizione di aggredito denuncerà da subito tutte le macchinazioni ordite dall’apparato di coercizione del potere imperiale degli Stati Uniti. Abbiamo premesso queste parole di spiegazione, come introduzione, perché il nostro paese considera imprescindibile definire esattamente il raggio d’azione della conferenza, il suo significato e la sua possibile importanza. Siamo giunti a questa riunione 17 anni dopo aver realizzato la Conferenza dell’Avana, dove si pretendeva realizzare un ordinamento del mondo in accordo con gli interessi in competizione delle potenze imperialiste. Malgrado che Cuba fosse il paese sede di quella conferenza, il nostro Governo Rivoluzionario non si sente vincolato al più piccolo impegno preso da un paese dipendente dagli interessi imperialisti, né tanto meno per il contenuto di quella cosiddetta Carta dell’Avana. In quella Conferenza e nella precedente di Bretton Woods, venne creata una serie di organismi internazionali la cui azione è stata nefasta per gli interessi dei paesi dipendenti del mondo contemporaneo. E anche se gli Stati Uniti non ratificarono la Carta dell’Avana, in quanto la considerarono “audace”, i diversi organismi creditizi e finanziari internazionali e l’accordo generale sulle imposte doganali di commercio, risultato concreto di quelle due riunioni, hanno dimostrato essere armi sufficienti della difesa dei loro interessi, e ancora una volta, arma di attacco contro il nostro paese. Questi sono i temi che dovremo trattare più approfonditamente in seguito. Oggi l’ordine del giorno della Conferenza è più ampio e realista, perché abbraccia, tra gli altri, tre dei problemi cruciali del mondo contemporaneo: le relazioni tra il campo dei paesi socialisti e quello dei paesi capitalisti industrializzati, le relazioni tra i paesi sottosviluppati e le potenze capitaliste sviluppate, e il grande problema dello sviluppo per il mondo dipendente economicamente. Il numero di partecipanti a questa nuova riunione supera di gran lunga quella del 1947, all’Avana. Non possiamo dire, tuttavia, per amore di giustizia, che questo sia il forum dei popoli del mondo. Le strane interpretazioni giuridiche che ancora alcune potenze manipolano con arroganza fanno sì che manchino a questa riunione paesi di grande importanza nel mondo, come la Repubblica Popolare Cinese, unica e legittima rappresentante del popolo più numeroso nella storia dell’umanità, e che, al suo posto, occupi questi scanni sedie una falsa rappresentanza di quel popolo che, per una contraddizione ancora più grande, possiede incluso il diritto di veto all’interno delle Nazioni Unite. Bisogna prendere nota che qui mancano anche i rappresentanti della Repubblica Democratica di Corea e della Repubblica Democratica del Vietnam, autentici governi dei loro popoli, mentre vi sono i rappresentanti dei governi dei due stati divisi e, per aggiungere altre contraddizioni, mentre la Repubblica Democratica Tedesca è ingiustamente esclusa, la Repubblica Federale Tedesca, d’altra parte, assiste a questa Conferenza e ottiene la vicepresidenza. E mentre le repubbliche socialiste citate non sono qui rappresentate, il governo dell’Unione Sudafricana che viola la Carte delle Nazioni Unite con la sua politica inumana e fascista di apartheid, sanzionata dalla sue stesse leggi, e che sfida l’ONU, rifiutandosi di informare sui territori che mantiene in fideicomiso, vanta un posto in questa sala. Tutte queste anomalie fanno sì che la riunione non possa essere definita come il forum dei popoli del mondo. E’ nostro dovere segnalarlo, richiamare l’attenzione dei presenti, giacché mentre si manterrà questo stato di cose e la giustizia è maneggiata dagli interessi di pochi potenti, le interpretazioni giuridiche seguiranno le regole dei potenti oppressori e sarà difficile eliminare la tensione imperante, che contiene pericoli sicuri per l’umanità. Rileviamo questi fatti anche per mettere in guardia sulla responsabilità che ricade sulle nostre braccia e sulle conseguenze che possono derivare dalle decisioni che qui si adottino. Un solo momento di debolezza, di cedimento o di compromesso, può macchiare le nostre azioni davanti la storia futura, così come noi, i paesi membri delle Nazioni Unite, siamo in una certa misura complici e in una certa misura abbiamo le mani macchiate di sangue di Patricio Lumumba, primo ministro dei congolesi, assassinato miserabilmente mentre le truppe delle Nazioni Unite garantivano presumibilmente la stabilità del suo regime. Da sottolineare l’aggravante che erano state chiamate espressamente dal martire Patricio Lumumba. Fatti di tale gravità o simili a questo, o di significato negativo per le relazioni tra i popoli, che compromettano il nostro prestigio come nazioni sovrane, non devono essere permessi in questa Conferenza. Viviamo in un mondo che è profondamente e antagonisticamente diviso in gruppi di nazioni che rappresentano tendenze economiche, sociali e politiche molto differenti. In questo mondo pieno di contraddizioni, la contraddizione fondamentale della nostra epoca esiste tra i paesi socialisti e i paesi capitalisti sviluppati. Che il fenomeno della guerra fredda, concepita dall’occidente, abbia dimostrato la sua inefficacia pratica e la sua mancanza di realismo politico, è uno de fattori che stanno alla base di questa conferenza. Ma pur essendo la più importante delle contraddizioni, non è tuttavia l’unica. Esiste anche la contraddizione tra i paesi capitalisti sottosviluppati e i paesi sottosviluppati del mondo, e in questa Conferenza per il Commercio e lo Sviluppo, anche le contraddizioni esistenti tra gruppi di nazioni, hanno un’importanza fondamentale. Esiste, inoltre, la contraddizione intrinseca tra i distinti paesi capitalisti sviluppati, che lottano incessantemente tra loro per la divisione del mondo e il possesso sicuro di mercati per assicurarsi un vasto sviluppo basato, disgraziatamente, sulla fame e sullo sfruttamento del mondo dipendente. Queste contraddizioni sono importanti, riflettono la realtà attuale del pianeta e da esse dipende il pericolo di nuove guerre che possono raggiungere un carattere mondiale nell’era atomica. In questa Conferenza egualitaria dove tutte le nazioni potranno esprimere, mediante il loro voto, la speranza dei loro popoli, se si riuscirà ad arrivare ad una soluzione soddisfacente per la maggioranza, si sarà fatto il primo passo nella storia del mondo. Ciò nonostante, ci sono molte forze che si muovono per evitare che ciò accada. La responsabilità delle decisioni da prendere ricade nei rappresentanti dei popoli sottosviluppati. Se tutti i popoli che vivono in condizioni economiche precarie, dipendenti da potenze straniere in alcuni campi vitali della loro economia e della loro struttura politica e sociale, sono capaci di resistere alle tentazioni e alle offerte fatte freddamente ma nei singoli momenti “caldi”, e impongono qui un nuovo tipo di relazioni, l’umanità avrà fatto un passo avanti. Se al contrario, i gruppi delle nazioni sottosviluppate, rispondendo al canto delle sirene degli interessi delle potenze sviluppate che godono i benefici della loro arretratezza, entrano tra loro in una lotta sterile per disputarsi le briciole del banchetto dei potenti del mondo e rompono l’unità di forze numericamente superiori o non sono capaci di imporre compromessi chiari, privi di clausole scappatoie, soggette a interpretazioni capricciose, o semplicemente violabili a piacere dai potenti, allora il nostro sforzo sarà stato vano e le lunghe deliberazioni di questa Conferenza si tradurranno semplicemente in innocui documenti e in archivi in cui la burocrazia internazionale custodirà gelosamente le tonnellate di carta scritta e i chilometri di nastri magnetici in cui sono raccolte le opinioni verbali dei partecipanti, e il mondo continuerà ad essere tale e quale. Questa è la caratteristica di questa conferenza, nelle quale dovranno essere risolti non solo i problemi causati congiuntamente dai domini del mercato e dal deterioramento dei termini dell’interscambio, ma anche la causa per cui questo stato di cose esiste al mondo, la sudditanza delle economie nazionali dei paesi dipendenti ad altri più sviluppati che mediante gli investimenti dominano gli aspetti principali della loro economia. Comprendiamo chiaramente, e lo diciamo chiaramente, che l’unica soluzione corretta ai problemi dell’umanità nel momento attuale, è la soppressione assoluta dello sfruttamento dei paesi dipendenti ad opera dei paesi capitalisti sviluppati, con tutte le conseguenze implicite in questo gesto. Siamo venuti qui con la chiara coscienza del fatto che si tratta di una discussione tra i rappresentanti di quei popoli che hanno soppresso lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, di quei popoli che lo mantengono come filosofia della loro azione e del gruppo maggioritario di coloro che lo subiscono, e dobbiamo stabilire il dialogo a partire dalla realtà di tale affermazione. Anche se la nostra posizione è tanto salda che non esistono argomenti per farla cambiare, siamo disponibili al dialogo costruttivo nel contesto della coesistenza pacifica tra paesi di distinti sistemi politici, economici e sociali. La difficoltà poggia sul fatto che tutti sappiamo a quello che possiamo aspirare senza doverlo prenderlo con la forza e quando bisogna cedere un privilegio prima che inevitabilmente questo lo si perda con la forza. Per questo angusto e duro varco dovrà passare la conferenza. Le deviazioni ci condurranno su un terreno sterile. Abbiamo annunciato, all’inizio del nostro discorso, che Cuba avrebbe parlato qui anche come paese aggredito. Da tutti sono conosciuti gli ultimi fatti che hanno reso il nostro paese il bersaglio delle ire imperialiste e che da prima di Baia dei Porci, e fino ad oggi, lo hanno convertito in oggetto di tutte le repressioni e tutte le violazioni immaginabili dal Diritto Internazionale. Non è stato un caso che Cuba sia stata lo scenario assoluto di uno degli episodi che hanno messo in più grave pericolo la pace nel mondo, come conseguenza di atti legittimi intrapresi sulla base del diritto di adottare essa stessa le regole per lo sviluppo del suo popolo. Le aggressioni degli Stati Uniti verso Cuba iniziarono praticamente coon il trionfo della rivoluzione. In quella prima tappa furono caratterizzate da attacchi diretti ai centri di produzione cubani. In seguito queste aggressioni assunsero il carattere di misure dirette a paralizzare l’economia cubana. Si cercò di privare Cuba, alla metà degli anni Sessanta, del combustibile necessario per il funzionamento delle sue industrie, trasporti e centrali elettriche. Su pressione del Dipartimento di Stato, le compagnie petrolifere statunitense indipendenti si rifiutarono di vendere petrolio a Cuba o ad agevolarle navi-cisterna per il trasporto. Poco dopo si cercò di privarla della valuta necessaria per il commercio estero. Il 6 luglio 1960, l’allora presidente Eisenhower ridusse la quota di zucchero di Cuba negli Stati Uniti di 700 000 tonnellate di canna tagliata, sopprimendo totalmente tale quota il 31 marzo 1961, pochi giorni dopo l’annunciata Alianza para el Progreso e alcuni giorni prima di Baia dei Porci. Si fecero tentativi per paralizzare l’industria di Cuba privandola di materie prime e pezzi di ricambio per le sue macchine; a tale scopo il Dipartimento del Commercio degli Stati Uniti dettò una risoluzione, il 19 ottobre 1960, mediante la quale si proibiva l’arrivo verso la nostra isola di numerosi prodotti. Tale divieto di commercio con Cuba si venne intensificando fino al 3 febbraio 1962, quando l’allora presidente Kennedy decretò l’embargo totale al commercio degli Stati Uniti con Cuba. Fallite tutte le aggressioni, gli Stati Uniti applicarono il blocco economico contro la nostra patria con l’obiettivo di impedire lo scambio commerciale di altri paesi con il nostro. Dapprima, il 24 gennaio 1962, il Dipartimento del Tesoro statunitense annunziava che era proibita l’entrata negli Stati Uniti di qualsiasi prodotto elaborato in tutto o in parte con prodotti di origine cubana, anche se fosse stato fabbricato in altri paesi. Con un nuovo passo che rappresentava l’instaurazione di un blocco economico virtuale, il 6 febbraio 1963, la Casa Bianca emise un comunicato nel quale si annunciava che le merci comprate con denaro del governo degli Stati Uniti non potevano essere imbarcate in navi di bandiera straniera che avessero mantenuto relazioni commerciali con Cuba dopo il primo gennaio di quell’anno. Così prese avvio la lista nera che ha finito per comprendere 150 paesi che non si piegarono all’illegale embargo yanquee. E per rendere difficile lo scambio commerciale con Cuba, l’8 luglio 1963, il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti stabilì il congelamento di tutti i biglietti cubani in territorio statunitense e la proibizione di qualsiasi tipo di trasferimento di dollari da e verso Cuba. come anche qualsiasi tipo di transazione di dollari realizzata attraverso un terzo paese. Signor Presidente, non si potrebbe chiedere di eliminare alcuni rumori che stanno molestando non poco l’ascolto?... Nella sua ossessione di aggredirci, nella Trade Expansion Act (Legge di Espansione Commerciale) si esclude specificatamente il nostro paese dai supposti vantaggi derivanti da questa legge. Quest’anno continuano le aggressioni: il 18 febbraio gli Stati Uniti hanno annunciato di aver sospeso gli aiuti a Gran Bretagna, Francia e Yugoslavia per avere questi paesi continuato a commerciare con Cuba. E il Segretario di Stato Dean Rusk ha dichiarato testualmente: Nello stesso tempo, non ci può essere un miglioramento nelle relazioni con la Cina comunista, fino a quando inciti e appoggi aggressioni nel sudest asiatico, né con Cuba, fino a quando rappresenti una minaccia nell’emisfero occidentale. Questa minaccia può terminare, per la soddisfazione di Washington, solo con la caduta del regime di Castro ad opera del popolo cubano. Consideriamo questo un governo temporale. Cuba chiama la delegazione del governo degli Stati Uniti perché dica se le azioni che presuppongono questa o altre dichiarazioni similari e i fatti anteriormente riferiti, siano o no in contrasto con la convivenza nel mondo attuale, e se la serie di aggressioni economiche commesse contro la nostra isola e contro i paesi che commerciano con essa, sia legittima a giudizio della delegazioni statunitense. Se questo comportamento è in contrasto o no con il principio dell’organismo che ci convoca, di praticare la tolleranza tra gli stati e con l’obbligo che impone ai paesi che hanno ratificato la sua propria carta di risolvere pacificamente le controversie; se questo comportamento è in contrasto o no con lo spirito di questa riunione a favore della cessazione di tutti i generi di discriminazione e della scomparsa delle barriere tra paesi con diversi sistemi sociali e gradi di sviluppo. E chiediamo a questa Conferenza che si pronunzi sulla spiegazione di merito se la delegazione degli Stati Uniti avrà il coraggio di farlo. Da parte nostra, manteniamo la nostra unica posizione al rispetto. Siamo disposti al dialogo, sempre che non vi siano condizioni previe. Da quando è stata firmata la Carta de La Habana, fino ad oggi, in campo economico e militare sono avvenuti fatti di indubitabile importanza: in primo luogo si deve menzionare l’espansione del campo socialista e lo sgretolamento del sistema coloniale. Oggi numerosi paesi, con una superficie che supera i 30 milioni di chilometri quadrati e una popolazione che raggiunge un terzo del totale del mondo, hanno eletto come sistema di sviluppo quello della costruzione della società comunista e come filosofia della propria azione il marxismo-leninismo. Altri hanno espresso da tempo di volere stabilire le basi della costruzione del socialismo, anche quando non abbracciano direttamente la filosofia marxista-leninista. Europa, Asia e ora Africa e l’America sono continenti scossi dalle nuove idee. I paesi del campo socialista si sono sviluppati senza interruzione con tassi di crescita molto più alti di quelli dei paesi capitalisti, malgrado siano partiti in generale, da gradi di sviluppo piuttosto bassi e abbiano sopportato guerre di sterminio ed embarghi rigidi. In contrasto con la impetuosa crescita dei paesi del campo socialista, e con lo sviluppo, anche se decisamente a minor ritmo, della maggioranza dei paesi capitalisti, esiste il dato indubitabile del totale ristagno di una gran parte dei paesi detti sottosviluppati, che presentano, a volte, anche tassi di crescita economica inferiori a quelli della crescita demografica. Queste caratteristiche non sono dovute al caso. Rispondono strettamente alle esigenze della natura del sistema capitalista sviluppato e in piena espansione che sposta verso i paesi dipendenti le forme più illegali e meno mascherate dello sfruttamento. Dalla fine del secolo passato questa tendenza espansionista e violenta si è tradotta in innumerevoli aggressioni a distinti paesi dei continenti più arretrati, ma, fondamentalmente, si sta oggi traducendo nel controllo da parte delle potenze sviluppate della produzione e del commercio delle materie prime nei paesi dipendenti. In generale, si manifesta con la dipendenza di un paese verso un solo prodotto principale che, a sua volta, si dirige verso un mercato determinato nelle quantità limitate alle necessità dello stesso. La penetrazione dei capitali dei paesi sviluppati è la condizione essenziale per stabilire la dipendenza economica. Tale penetrazioni acquista forme diverse. Si presenta come un prestito a condizioni gravose, investimenti che assoggettano un paese in mano agli investitori, dipendenza tecnologica quasi assoluta del paese dipendente nei confronti del paese sviluppato, controllo del commercio estero da parte dei grandi monopoli internazionali e, all’ultimo estremo, l’utilizzazione della forza da parte della potenza economica per rafforzare le altre forme di sfruttamento. A volte questa penetrazione acquista forme più sottili attraverso l’utilizzo di organismi internazionali, finanziari, creditizi e di altro tipo. Il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Internazionale di Ricostruzione e Promozione, il GATT e, nelle nostra America, la Banca Interamericana di Sviluppo sono esempi di organismi internazionali posti al servizio delle grandi potenze capitaliste, fondamentalmente dell’imperialismo statunitense. Quelli si introducono nella politica economica estera e in tutte le forme finanziarie di relazioni interne tra i popoli. Il Fondo Monetario Internazionale è il cerbero del dollaro in campo capitalista. La Banca Internazionale di Ricostruzione e Promozione è lo strumento di penetrazione del capitale statunitense nel mondo sottosviluppato, e la Banca Interamericana di Sviluppo compie questo triste compito nel continente americano. Tutti questi organismi si reggono su regole e principi che si pretendono presentare come salvaguardia dell’equità e della reciprocità nelle relazioni economiche internazionali quando, in realtà, non sono nient’altro che feticci tra i quali si celano gli strumenti più sottili per la perpetrazione dell’arretratezza e dello sfruttamento. Il Fondo Monetario Internazionale, tutelando suppostamente la stabilità dei tipi di cambio e la liberalizzazione dei pagamenti internazionali, non fa altro che impedire le misure minime di difesa dei paesi sottosviluppati di fronte alla concorrenza e alla penetrazione di monopoli stranieri. Mentre impone i cosiddetti programmi di austerità e combatte le forme di pagamento necessarie per l’espansione del commercio tra paesi che soffrono una situazione critica nella loro bilancia dei pagamenti e severe discriminazioni nel commercio internazionale, tratta disperatamente di salvare il dollaro dalla sua precaria situazione, senza andare a fondo dei problemi strutturali che affliggono il sistema monetario internazionale e che ostacolano una più rapida espansione del commercio mondiale. Il GATT, dalla sua parte, mentre stabilisce uguali comportamenti e concessioni reciproche tra paesi sviluppati e sottosviluppati, contribuisce al mantenimento dello status quo; è utile ai primi, e il suo meccanismo non fornisce i mezzi necessari per l’eliminazione del protezionismo agricolo, la sovvenzione, i dazi e altri ostacoli che impediscono l’incremento delle esportazioni dei paesi dipendenti. Per di più ora che possiede il cosiddetto “programma d’azione” o in questi giorni, per coincidenza sospetta, in cui incomincia il "round Kennedy". Per rafforzare la dominazione imperialista si è fatto ricorso alla creazione di aree preferenziali come forme di sfruttamento e controllo neocoloniale. Possiamo parlare di ciò con profonda conoscenza di causa, per aver sofferto sulla nostra carne i risultati degli accordi preferenziali cubani-statunitensi, che hanno legato le mani al nostro commercio, mettendolo a disposizione dei monopoli statunitensi. Niente di meglio per esporre quello che questi accordi preferenziali significarono per Cuba che citare il giudizio dato dall’ambasciatore degli Stati Uniti, Sumner Welles, al trattato di reciprocità commerciale, gestito nel 1933 e firmato nel 1934. ...Il Governo cubano a sua volta ci garantisce praticamente il monopolio del mercato cubano per le importazioni statunitensi con l’unica riserva che in vista del fatto che la Gran Bretagna era il principale cliente di Cuba per quella porzione di esportazione di zucchero che non va agli Stati Uniti, il Governo cubano desidererà concedere alcuni vantaggi a una limitata categoria di importazioni provenienti dalla Gran Bretagna. ...Finalmente, la negoziazione in questo momento dell’accordo commerciale reciproco con Cuba sulle linee prima indicate non solo riprenderà vita a Cuba, se non che ci darebbe il controllo pratico del mercato che siamo andati perdendo durante gli ultimi dieci anni, non solo per i nostri prodotti manifatturieri ma anche per le nostre esportazioni agricole, e in modo notevole in categorie come il grano, i grassi animali, prodotti di carne, riso e patate. (Telegramma dell’ambasciatore Welles al Segretario di Stato statunitense, inviato il 13 maggio 1933, e pubblicato nelle pagine 289-90, del volume V della pubblicazione Fareign Relations of the United States, corrispondente al 1933). I risultati del titolato trattato di reciprocità commerciale hanno confermato il giudizio dell’ambasciatore Welles. Il nostro paese doveva uscire con il suo prodotto fondamentale, lo zucchero, a raccogliere valuta per il mondo intero per stabilire l’equilibrio della bilancia con gli Stati Uniti, e le tariffe speciali imposte impedivano che i produttori di altri paesi europei o gli stessi produttori nazionali potessero competere con gli statunitensi. E’ sufficiente citare alcune cifre per provare questo ruolo che Cuba giocava nel cercare valuta in tutto il mondo per conto degli Stati Uniti. Nel periodo 1948-57, Cuba ebbe un persistente saldo commerciale negativo con gli Stati Uniti che ammontava in totale a 328.7 milioni di pesos, mentre nel resto del mondo la sua bilancia commerciale fu persistentemente favorevole arrivando ad un totale di 1,274 6 milioni. E la bilancia dei pagamenti nel periodo 1948-58 fu ancora più eloquente. Cuba ebbe una bilancia positiva, fuorché con gli Stati Uniti, di 543,9 milioni di pesos che perdette nelle mani del suo ricco vicino con il quale ebbe un saldo negativo di 952,1 milioni di pesos, cosa che provocò una riduzione del suo fondo in valuta di 408,2 milioni di pesos, pari ai dollari. La cosiddetta Alianza para el Progreso è un’altra dimostrazione evidente dei metodi fraudolenti usati dagli Stati Uniti per mantenere false speranza nei popoli, quando lo sfruttamento si fa più acuto. Quando il nostro Primo Ministro Fidel Castro a Buenos Aires nel 1959, segnalò una necessità minima addizionale di 3 miliardi di dollari annuali di entrate esterne per finanziare un ritmo di sviluppo che avrebbe realmente ridotto l’abissale differenza che separa l’America Latina dai paesi sviluppati, molti pensarono che la cifra era esorbitante. A Punta del Este, tuttavia, già si promettevano 2 miliardi di dollari all’anno. Oggi si riconosce che la sola perdita del deterioramento dei termini dell’interscambio nel 1961 (l’ultimo anno per noi disponibile) avrebbe richiesto per la sua compensazione un 30% annuale di più dell’ipotetico fondo promesso. E si dà la situazione paradossale, che mentre i prestiti non arrivano o arrivano destinati a progetti che in poco o niente contribuiscono allo sviluppo industriale della regione, si trasferiscono quantità numerose di valuta verso i paesi industrializzati, e questo significa che le ricchezze ottenute con il lavoro dei popoli che nella loro maggioranza vivono nell’arretratezza, nella fame e nella miseria, sono sfruttate dai circuiti capitalisti. Così, nel 1961, in accordo con le cifre della CEPAL, sono usciti dall’America Latina come voce di utili degli investimenti stranieri e di rimesse una cifra pari a 1,735 milioni di dollari e alla voce di pagamenti di debiti esteri a breve e medio periodo 1,456 milioni di dollari. Se a questo si aggiunge la perdita indiretta nel potere di acquisto delle esportazioni (o deterioramento dei termini dell’interscambio) che risale a 2,660 milioni di dollari nel 1961 e 400 milioni per la fuga di capitali, si ottiene un volume globale di oltre 6,200 milioni di dollari, cioè, più di tre Alianzas para el Progreso annuali. In tal modo che, se la situazione per il 1964 non è ancora ulteriormente peggiorata durante i tre mesi di sessione di questa conferenza, i paesi dell’America Latina incorporati alla Alianza para el Progreso perderanno direttamente o indirettamente quasi 1,600 milioni di dollari delle ricchezze create mediante il lavoro dei loro stessi popoli. Come contropartita gli annunciati fondi, durante l’anno sono potuti arrivare, con ottimismo, appena alla metà dei 2,000 milioni promessi. L’esperienza dell’America Latina per quanto riguarda i risultati reali di questo tipo di “aiuto”, che è considerato come il più sicuro e il migliore rimedio per migliorare le entrate estere, è triste. Questo deve essere di esempio per altre regioni e per il mondo sottosviluppato in generale. Oggi quella regione non solo è praticamente ferma nella sua crescita, ma anche si vede distrutta dall’inflazione e dalla disoccupazione e gira nel circolo vizioso dell’indebitamento estero, subendo tensioni che si risolvono, a volte, nella lotta armata. Cuba ha denunciato al momento opportuno questi fatti e ha anticipato i risultati, annunciando che rifiutava qualsiasi altra implicazione se non quella proveniente dal suo esempio e dal suo appoggio morale. Lo sviluppo degli avvenimenti ci conforta. La seconda Dichiarazione dell’Avana dimostra la sua validità storica. Tale complesso di fenomeni analizzato per l’America Latina, ma valido per tutto il mondo dipendente, ha come risultato quello di garantire alle potenze sviluppate il mantenimento delle condizioni di commercio che provocano il deterioramento dei termini di interscambio tra i paesi dipendenti e i paesi sviluppati. Tale aspetto, uno dei più evidenti e che non ha potuto essere coperto dalla macchina di propaganda capitalista, rappresenta una della tante ragioni di questa conferenza. Noi avevamo preparato un piccolo grafico, ma il recente discorso del signor segretario generale della Conferenza, con cifre tanto dettagliate, ci esonera dal presentare qui questo modestissimo contributo che non apporta alcuna novità, voleva solo mostrare qualche cifra. Molti paesi sottosviluppati, nell’analisi dei loro mali, arrivano a tale conclusione con basi apparentemente logiche: esprimono che se il deterioramento dei termini dell’interscambio è una realtà oggettiva e alla base della maggioranza dei problemi, dovuto alla riduzione dei prezzi delle materie prime che esportano e all’aumento dei prezzi dei prodotti manifatturieri che importano, tutto ciò nell’ambito del mercato mondiale, quando si realizzano le relazioni commerciali con i paesi socialisti sulla base dei prezzi vigenti in questi mercati, questi traggono benefici dallo stato di cose attuali, giacché sono in generale, esportatori di manifatture e importatori di materie prime. Noi dobbiamo rispondere con onestà e coraggio che è così; ma con la stessa onestà si deve riconoscere che non sono quei paesi che hanno provocato tale situazione (assorbono appena il 10% delle esportazioni dei prodotti primari dei paesi sottosviluppati verso il resto del mondo), e che, per circostanze storiche, si sono visiti obbligati a commerciare nelle condizioni esistenti nel mercato mondiale, prodotto del dominio imperialista sull’economia interna e i mercati esteri dei paesi dipendenti. Non sono queste le basi su cui i paesi socialisti stabiliscono il loro commercio nel lungo periodo con i paesi sottosviluppati. Ne esistono numerosi esempi, tra i quali in particolare, si trova Cuba. Quando è cambiato il nostro status sociale e le nostre relazioni con il campo socialista hanno raggiunto un altro grado di reciproca fiducia, senza smettere di essere sottosviluppati, abbiamo stabilito relazioni di nuovo tipo con i paesi di questo campo. La più alta espressione di queste relazioni sono gli accordi sul prezzo dello zucchero con l’Unione Sovietica, mediante i quali quella potenza sorella si impegna ad acquistare quantità crescenti del nostro prodotto principale a prezzi stabili ed equi già definiti fino al 1970. Non si deve dimenticare anche che esistono paesi sottosviluppati di differenti condizioni e che mantengono diverse politiche nei confronti del campo socialista. Ve ne sono alcuni, come Cuba, che hanno scelto il cammino del socialismo. Ve ne sono alcuni che hanno un relativo sviluppo capitalista e stanno iniziando l’esportazione di manufatti. Ve ne sono alcuni che hanno relazioni neocoloniali, e altri con una struttura quasi assolutamente feudale e altri che, sfortunatamente,non partecipano a conferenze di questo tipo, perché i paesi sviluppati non gli hanno concesso di partecipare, come il caso della Guyana Inglese, Puerto Rico e altri, nel nostro continente, in Africa e in Asia. Salvo nel primo di questi gruppi, la penetrazione dei capitali stranieri si è fatta sentire in un modo o nell’altro e le richieste che oggi si fanno ai paesi socialisti devono essere stabilite sulla base reale di quello che si dialoga, in alcuni casi, da paese sottosviluppato a paese sviluppato, ma, quasi sempre il dialogo si stabilisce da paese discriminato a paese discriminato. In molte opportunità, gli stessi paesi che reclamano un tratto preferenziale unilaterale ai paesi sviluppati, senza esclusione, considerando pertanto, in questo campo ai paesi socialisti, mettono trappole di ogni genere al commercio diretto con quelli stati, giacché esiste il pericolo che pretendono commerciare attraverso filiali nazionali delle potenze imperialiste che potrebbero ottenere in questo modo guadagni straordinari, grazie alla presentazione di un paese dato come sottosviluppato con diritto ad ottenere delle preferenze unilaterali. Se non vogliamo fare naufragare questa Conferenza, dobbiamo mantenerci rigidamente all’interno di questi principi. Come paese sottosviluppato, dobbiamo parlare della ragione che ci accompagna. Nel nostro caso particolare come paese socialista, possiamo parlare anche della discriminazione che si realizza contro di noi, non solo da parte di alcuni paesi capitalisti sviluppati, ma anche da parte di alcuni paesi sottosviluppati che rispondono coscientemente o incoscientemente agli interessi del capitale monopolista che ha assunto il controllo fondamentale della loro economia. Non crediamo che l’attuale relazione di prezzi nel mondo sia quella giusta, ma non è l’unica cosa ingiusta che esista. Esiste lo sfruttamento diretto di alcuni paesi verso altri, esiste la discriminazione tra paesi in relazione alle loro differenti strutture economiche, esiste, come già lo abbiamo indicato, la penetrazione dei capitali stranieri che arrivano a controllare l’economia di un paese a proprio vantaggio. Se siamo coerenti nel fare petizioni ai paesi socialisti sviluppati, dobbiamo anche annunciare la misure che prenderemo per far cessare la discriminazione e, almeno, le forme più vistose e pericolose della penetrazione imperialista. È nota la discriminazione che si è realizzata nel commercio da parte delle metropoli imperialiste verso i paesi socialisti allo scopo di impedirne lo sviluppo. A volte ha assunto le forme di un autentico embargo, che si mantiene in maniera quasi assoluta contro la Repubblica Democratica Tedesca, la Repubblica Popolare Cinese, la Repubblica Popolare Democratica di Corea, la Repubblica Democratica del Vietnam e la Repubblica di Cuba da parte dell’imperialismo statunitense. È noto a tutti come questa politica è fallita e come altri poteri che, al principio seguirono gli Stati Uniti, si vennero poco a poco a separare da questa potenza con la volontà di raggiungere i propri benefici. A questa altezza, il fallimento è più che mai evidente. Si sono anche verificate discriminazioni nel commercio dei paesi dipendenti e nei paesi socialisti con il proposito fondamentale di non far perdere ai monopoli la loro zona di sfruttamento e allo stesso tempo rafforzassero il blocco al campo socialista. Anche questa politica sta fallendo ed è opportuno riflettere se è logico continuare legati a interessi stranieri condannati storicamente o se è venuto il momento di rompere tutte le trappole al commercio e ampliare i mercati nell’area socialista. Si mantengono ancora le diverse forme di discriminazione che ostacolano il commercio e che permettono l’uso più conveniente per gli imperialisti di una serie di merci primarie nei confronti dei paesi produttori. E’ semplicemente ridicolo, nell’era atomica, classificare come materiale strategico e impedire il commercio di alcuni prodotti come il rame e altri minerali. Tuttavia, tale politica si è mantenuta e si mantiene tuttora. Si parla anche di supposte incompatibilità tra il monopolio statale di commercio estero e le forme di commercio adottate dai paesi capitalisti, e per questo si stabiliscono relazioni discriminatorie, quote ecc., manovre nelle quali il GATT ha giocato un ruolo preponderante sotto l’apparenza formale di lottare contro relazioni ingiuste. La discriminazione del commercio statale serve non solo come arma contro i paesi socialisti, ma viene anche utilizzata per impedire che i paesi sottosviluppati adottino una delle misure più urgenti per realizzare il loro potere di negoziazione sul mercato internazionale o controarrestante l’azione dei monopoli. La sospensione degli aiuti economici da parte degli organismi internazionali a quei paesi che adottano il sistema socialista di governo è un’altra variante dello stesso tema. L’attacco del Fondo Monetario Internazionale agli accordi bilaterali di pagamento con i paesi socialisti e l’imposizione ai suoi membri più deboli di una politica contraria a questa forma di relazione tra i popoli, è stato il nostro pane quotidiano negli ultimi anni. Come abbiamo già detto, l’imposizione di tutte queste misure discriminatorie ha la doppia intenzione di bloccare il campo socialista e rafforzare lo sfruttamento dei paesi sottosviluppati. Come è certo che i prezzi attuali sono ingiusti, lo sono anche quelli che sono condizionati dalla limitazione monopolista dei mercati e dallo stabilirsi di relazioni politiche che fanno della libera concorrenza una parola con un significato unilaterale, libera concorrenza per i monopoli, volpi libere contro galline libere. Se si aprissero i vasti e crescenti mercati del campo socialista, anche senza considerare gli accordi che possono derivare da questa conferenza, questi contribuirebbero all’aumento dei prezzi delle materie prime. Il mondo ha fame, ma non ha denaro per comprare il cibo e paradossalmente, nel mondo sottosviluppato, nel mondo della fame, si scoraggiano possibili espansioni della produzione di alimenti per mantenere stabili i prezzi, cioé per poter mangiare. Èla legge inesorabile della filosofia del saccheggio che deve cessare come norma di relazione tra i popoli. Esiste, inoltre, la possibilità che alcuni paesi sottosviluppati esportino manufatti ai paesi capitalisti e, incluso, che si facciano accordi a lungo termine per raggiungere il migliore sfruttamento delle ricchezze naturali di alcuni popoli e la specializzazione in determinati rami industriali che gli permettano di partecipare al commercio del mondo come paesi produttori di manufatti. Tutto ciò si potrebbe completare mediante l’assegnazione di crediti a lungo termine per lo sviluppo di industrie o rami industriali di cui parlammo, ma bisogna sempre considerare che vi sono certe misure nelle relazioni tra i paesi socialisti e i paesi sottosviluppati che non possono essere prese unilateralmente. Accade uno strano paradosso: mentre le Nazioni Unite prevedono nei loro bollettini tendenze deficitarie nel commercio estero dei paesi sottosviluppati e il segretario generale della Conferenza, il dottor Prebish, pone l’accento sui pericoli che racchiude il mantenimento di questo stato di cose, si parla al contrario della possibilità, e, in alcuni casi, come quello dei materiali chiamati strategici, delle necessità di discriminare certi stati per la loro appartenenza al campo dei paesi socialisti. Tutte queste anomalie possono verificarsi dal fatto certo che i paesi sottosviluppati, nella tappa attuale dell’umanità, sono il campo di battaglia di tendenze economiche che abbracciano diversi periodi della storia; in alcuni esiste il feudalesimo; in altri le borghesie nascenti, ancora deboli, devono affrontare la doppia pressione imperialista e del proletariato, che lotta per una più equa distribuzione delle entrate. In questa congiuntura, alcune borghesie nazionali hanno conservato la loro indipendenza o hanno incontrato una certa forma di azione comune con il proletariato; ma altre hanno fatto causa comune con l’imperialismo, si sono convertite in loro appendici, in loro agenti, e hanno trasmesso questa qualità ai governi che le rappresentano. È bene avvertire che questo tipo di dipendenza, usata con abilità, può mettere in pericolo il raggiungimento di seri risultati nella conferenza, ma anche i vantaggi che questi governi ottengano oggi come prezzo della mancanza di unione, saranno pagati enormemente di più domani quando dovranno affrontare soli, subendo anche l’ostilità dei loro stessi popoli, l’ondata imperialista che non ha altra legge se non quella del massimo guadagno. Abbiamo fatto un’analisi sommaria delle cause e delle conseguenze delle contraddizioni tra il campo socialista e il campo imperialista e tra il campo dei paesi sfruttati e i paesi sfruttatori. Vi sono due chiari pericoli per la pace nel mondo. Ma bisogna anche segnalare che il crescente aumento produttivo di alcuni paesi capitalisti e la loro inevitabile espansione verso la ricerca di nuovi mercati, ha condizionato cambi nella correlazione di forze tra gli stessi e tensioni che devono essere tenute in conto per la tutela della pace mondiale. Ricordatevi che i due ultimi conflitti mondiali scoppiarono per gli scontri tra le potenze sviluppate che non incontravano una soluzione diversa dell’uso della forza. E’ sotto gli occhi di tutti una serie di fenomeni che dimostrano l’acutizzarsi crescente di questa lotta. Ciò può portare pericoli reali per la pace nel mondo in un futuro, ma risulta ache molto pericoloso per lo sviluppo armonico di questa conferenza: vi è una chiara distribuzione delle sfere d’influenze tra gli Stati Uniti e altre potenze capitaliste sviluppate che abbracciano i continenti in stato di arretratezza e in alcuni casi perfino l’Europa. Se queste influenze hanno la forza di poter convertire il campo dei paesi sfruttati nello scenario di battaglie in cui i contendenti lottino a favore dei benefici delle potenze imperialiste, la Conferenza naufragherà. Cuba ritiene, così come dichiara nella relazione congiunta dei paesi sottosviluppati, che i problemi del commercio del nostro paese sono ben conosciuti e che quello che si richiede è l’adozione di principi chiari e un comportamento corretto che porti allo stabilirsi di una nuova era nel mondo. Ritiene anche che la dichiarazione dei principi presentata dall’URSS e da altri paesi socialisti, costituisce una base corretta per iniziare il dialogo e l’appoggia pienamente. Egualmente, il nostro paese appoggia quelle misure esposte nella riunione di esperti di Brasilia che si traduce nell’applicazione dei principi che propugniamo e che di seguito esponiamo. Cuba fa una premessa: non dobbiamo venire a implorare aiuti, dobbiamo esigere giustizia, ma non la giustizia soggetta a fallaci interpretazioni che a volte abbiamo visto trionfare nelle riunioni degli organismi internazionali; una giustizia che, forse, i popoli non sanno definire in termini giuridici ma il cui anelito sgorga dal fondo di spiriti oppressi da generazioni di sfruttamento. Cuba afferma che deve sorgere da questa Conferenza una definizione del commercio internazionale come strumento idoneo per il più rapido sviluppo economico dei popoli sottosviluppati e discriminati e che questa definizione deve portare con sé tutte le discriminazioni e differenze anche quelle che emanano dal supposto trattamento egualitario. Il trattamento deve essere giusto, e giusto, in questo caso, non equivale a uguale. L’equità è la disuguaglianza necessaria perché i popoli sfruttati raggiungano un livello di vita accettabile. Dobbiamo definire in questa sede le basi per la fondazione di una nuova divisione internazionale del lavoro, mediante il pieno sfruttamento di tutte le risorse naturali di un paese, elevando progressivamente il suo grado di elaborazione fino alle più complicate forme della manifattura. Ugualmente, la nuova divisione del lavoro dovrà essere raggiunta attraverso la restituzione dei mercati per i prodotti tradizionali di esportazione dei paesi sottosviluppati che sono stati sottratti loro per mezzo di misure artificiali di protezione e stimolo alla produzione dei paesi sviluppati e con una giusta partecipazione ai futuri aumenti del consumo. Questa Conferenza dovrà indicare forme concrete di regolamentazione sull’uso delle eccedenze dei prodotti prioritari, impedendo che si trasformino in una forma di sussidio all’esportazione dei paesi sviluppati a scapito delle esportazioni tradizionali dei paesi sottosviluppati o in uno strumento di penetrazione del capitale straniero in un paese sottosviluppato. Risulta inconcepibile che i paesi sottosviluppati che soffrono le enormi perdite del deterioramento dei termini dell’interscambio, che attraverso un salasso permanentemente delle rimesse di utilità hanno ammortizzato enormemente il valore degli investimenti delle potenze imperialiste, debbano affrontare il carico crescente dell’indebitamento e dell’ammortamento, mentre si disconoscono le loro più giuste domande. La delegazione di Cuba propone che, fino a quando i prezzi dei prodotti che esportano i paesi sottosviluppati non abbiano un livello che consenta loro di recuperare le perdite sofferte negli ultimi dieci anni, si sospendano tutti i pagamenti sulla base di dividendi, interessi e ammortamenti. Deve essere ben chiaro il pericolo che racchiudono per il commercio e la pace del mondo gli investimenti di capitale straniero che dominano l’economia di qualsiasi paese, il deterioramento dei termini dell’interscambio, il controllo dei mercati da parte di un paese verso un altro, le relazioni discriminatorie, o l’uso della forza come strumento di convincimento. Questa Conferenza deve lasciare chiaramente stabilito il diritto di tutti i popoli a una assoluta libertà di commercio e la proibizione a tutti i paesi firmatari dell’accordo, che da quella scaturisca, di restringerlo in qualsiasi forma, direttamente o indirettamente. Dovrà essere stabilito chiaramente il diritto di tutti i paesi alla libera contrattazione del suo carico marittimo e aereo e al libero transito nel mondo senza ostacoli di alcun tipo. Deve essere condannata l’applicazione dello stimolo di misure di carattere economico utilizzate da uno stato per forzare la libertà sovrana dell’altro e ottenere da questo vantaggi di qualsiasi natura per il collasso della sua economia. Per quanto sopra esposto è necessario il totale esercizio del principio di autodeterminazione affermato dalla Carta delle Nazioni Unite e la riaffermazione del diritto degli stati all’utilizzo delle proprie risorse, a dotarsi di una forma di organizzazione politica ed economica più conveniente e scegliere le proprie strade di sviluppo e specializzazione dell’attività economica, senza diventare per questi motivi oggetto di rappresaglia di nessun tipo. La Conferenza deve adottare misure per promuovere la creazione di organismi finanzieri, creditizi e impositivi, le cui norme si basino sull’uguaglianza senza restrizioni, nella giustizia e nell’uguaglianza e che sostituiscano gli attuali organismi obsoleti dal punto di vista funzionale, e condannabili dal punto di vista del loro concreto obiettivo. Al fine di garantire il totale utilizzo delle risorse di un popolo da parte dello stesso popolo, è necessario condannare l’esistenza di basi straniere, la permanenza, transitoria o meno, di truppe stranieri in un paese senza il suo consenso, e il mantenimento del regime coloniale da parte di alcune potenze capitaliste sviluppate. Per il raggiungimento di tali risultati, è necessario che la Conferenza giunga ad un accordo, e predisponga saldamente le basi per la costituzione di un’organizzazione internazionale di commercio, retta dal principio di uguaglianza e universalità dei suoi membri, e che abbia la sufficiente autorità per prendere decisioni che debbano essere rispettate da tutti i paesi firmatari, cancellando la pratica di mantenere lontani da questi paesi che hanno ottenuto il via libera dopo la creazione delle Nazioni Unite, e il cui sistema sociale non piaccia a determinate potenti del mondo. Solamente la costituzione di un organismo di questo tipo che soppianti gli attuali organismi che servono da sostegno allo status quo e alla discriminazione, e non formule di compromesso che servono semplicemente a farci incontrare periodicamente per parlare di quello che già conosciamo fino alla noia, è quello che può garantire il compimento di nuove norme nelle relazioni internazionali e il raggiungimento della sicurezza economica che si persegue. Per questi risultati in tutti i punti pertinenti devono essere esattamente stabiliti i tempi per la riuscita delle misure stabilite. Questi sono, signori delegati, i punti più importanti che la delegazione cubana voleva condividere con voi.. Dobbiamo segnalare che molte delle idee che oggi vengono espresse da organismi internazionali, come la precisa analisi della situazione attuale dei paesi in via di sviluppo, presentata dal segretario generale della Conferenza, il signor Prebish, e per le iniziative approvate da altri stati (commercio con i paesi socialisti, ottenimento di crediti degli stessi, la necessità di riforme sociali prioritarie per lo sviluppo economico ecc....) , furono esposte e messe in pratica da Cuba durante i cinque anni del governo rivoluzionario. Ed ebbero come conseguenza di trasformarla in una vittima di condanne ingiuste e di aggressioni economiche e militari approvate da alcuni dei paesi che oggi la appoggiano. È sufficiente ricordare le critiche e le condanne ricevute dal nostro paese per aver stabilito relazioni di interscambio e collaborazione con paesi al di fuori del nostro emisfero e ancora oggi in queste stesse ore l’esclusione di fatto dal gruppo regionale latinoamericano che si riunisce sotto gli auspici della Carta di Alta Gracia, cioè, della O.E.A., da cui Cuba è stata esclusa. Abbiamo trattato i punti fondamentali sul commercio estero, la necessità di cambi nella politica estera dei paesi sviluppati nei confronti di quelli sottosviluppati e la necessità della ristrutturazione di tutti gli organismi internazionali di credito, finanziamento e altri; è necessario ribadire che non sono ancora condizioni sufficienti per garantire uno sviluppo economico, e che si richiedono altre misure che Cuba, paese sottosviluppato, ha messo in pratica. Come minimo è necessario stabilire il controllo del cambio, impedendo le rimesse di fondi stranieri o limitandole in grado considerevole; il controllo del commercio estero da parte dello stato, la riforma agraria; il recupero da parte della nazione di tutte le risorse naturali; la promozione dell’insegnamento tecnico e altre misure di riordinamento interno imprescindibile per iniziare il cammino di uno sviluppo accelerato. Cuba non segnala tra le misure imprescindibili che lo stato acquisisca in suo potere tutti i mezzi di produzione, per rispetto alla volontà dei governi qui rappresentati; ma stima che tale misura contribuirebbe a risolvere i gravi problemi che si dibattono, con maggiore efficacia e rapidità. E gli imperialisti rimangono con le braccia incrociate? No. Il sistema da loro praticato è la causa dei nostri mali; cercheranno di occultare le cause con ingannevoli allegati, di cui sono maestri. Cercheranno di sottomettere la Conferenza e disunire il campo dei paesi sfruttati offrendo briciole. Con tutti i mezzi cercheranno di mantenere la vitalità dei vecchi organismi internazionali asserviti anch’essi ai loro fini con l’offerta di riforme superficiali. Faranno in modo che la Conferenza giunga a un punto senza uscita e che si sospenda o si sposti. Cercheranno che perda d’importanza rispetto ad altri eventi da essi convocati, o che si arrivi alla fine senza alcuna definizione concreta. Non accetteranno un nuovo organismo internazionale di commercio, minacceranno di boicottarlo e probabilmente lo faranno, cercheranno di dimostrare che l’attuale divisione internazionale del lavoro è vantaggiosa per tutti, qualificando l’industrializzazione come pericolosa e smisurata. E per ultimo aggiungeranno che la colpa del sottosviluppo è dei paesi sottosviluppati. A ciò possiamo rispondere che, in un certo senso, hanno ragione e che l’avranno sempre di più se non saremo capaci di unirci lealmente e decisamente per presentare il fronte unico dei discriminati e sfruttati. Le domante che vogliamo fare a questa assemblea sono le seguenti: saremo capaci di realizzare il compito che la storia ci ha assegnato? Avranno i paesi capitalisti sviluppati la perspicacia politica per concedere le richieste minime? Se le misure qui indicate non possono essere adottare da questa Conferenza e si registrerà ancora una volta un documento ibrido, zeppo di discorsi vaghi, pieno di formule scappatoie; se non si eliminano le barriere economiche e politiche che impediscono tanto il commercio tra tutte le regioni del mondo come anche la collaborazione internazionale, i paesi sottosviluppati continueranno ad avere di fronte a loro situazioni economiche ogni volta più difficili e la tensione del mondo potrà aumentare pericolosamente. In qualsiasi momento potrà sorgere la scintilla di un conflitto mondiale provocato dall’ambizione di qualche paese imperialista di distruggere il campo dei paesi socialisti, o per insanabile contraddizione, tra gli stessi paesi capitalisti in un futuro non molto lontano. Ma, inoltre, crescerà ogni giorno con maggiore forza il sentimento di ribellione dei popoli soggetti a distinti livelli di sfruttamento e si solleveranno in armi per conquistare con la forza i diritti che il semplice esercizio della ragione non gli ha permesso di ottenere. Così succede oggi con i popoli della cosiddetta Guinea Portoghese e di Angola, che lottano per liberarsi del giogo coloniale, e con il popolo di Vietnam del Sud che, con le armi in mano, è pronto a scrollarsi di dosso lo giogo dell’imperialismo e i suoi burattini. Sappiate che Cuba appoggia e applaude questi popoli che hanno detto “basta!” allo sfruttamento dopo aver esaurito tutte le possibilità di una soluzione pacifica, e che alla loro magnifica dimostrazione di ribellione va la sua solidarietà militante. Espressi i punti fondamentali sui quali si basa la nostra analisi della situazione attuale, espresse le raccomandazioni che consideriamo pertinenti a questa Conferenza e anche i nostri giudizi sul futuro, riguardo all’impossibilità di ottenere qualche miglioramento nelle relazioni commerciali tra i paesi, per uno strumento idoneo per alleviare la tensione e contribuire allo sviluppo, vogliamo testimoniare che la nostra speranza è che si possa raggiungere il dialogo costruttivo di cui parlavamo. E il nostro sforzo è indirizzato ad ottenere questo dialogo per tutti. A spingere per l’unità di tutti i paesi sottosviluppati del mondo per offrire un fronte compatto, qui vanno i nostri sforzi. Nel successo di questa Conferenza sono riposte anche le nostre speranze e le uniremo cordialmente a quelle dei poveri del mondo, e a quelle dei paesi del campo socialista, mettendo tutte le nostre scarse forze al servizio del suo trionfo.

INDIETRO