Sintesi di Esperienza ed educazione di Dewey

 

A cura di Mario Trombino

Premessa

Questo breve saggio è stato pubblicato nel 1938 e appartiene quindi all'ultima fase della produzione di Dewey. Non contiene idee nuove, né dal punto di vista filosofico che pedagogico. E' piuttosto la sintesi matura del pensiero dell'autore sul tema generale dell'educazione e delle "scuole nuove", di cui Dewey era stato attivo sostenitore nei decenni precedenti.

Lo scritto nasce dall'esigenza di rispondere alle critiche sempre più severe che contro le scuole nuove, e in generale le idee filosofiche e pedagogiche (e politiche: l'idea stessa di democrazia realizzata, di una scuola per tutti, formatrice di una società di eguali) che le sorreggevano erano state fatte a partire dalla crisi del 1929.

La tesi di fondo è che le linee ispiratrici delle scuole nuove sono corrette, ma sono necessarie modifiche nella realizzazione del programma. In Esperienza ed educazione Dewey contrappone in modo netto il proprio pensiero filosofico a quello dei "conservatori", che pensano ad un ritorno alla tradizione precedente alle scuole nuove, ma non risparmia critiche alla effettiva gestione di queste scuole.

E' poi significativo il fatto che Dewey consideri, in tutto lo scritto, le scuole nuove direttamente ispirate dalla concezione filosofica dell'esperienza: non parla di pedagogia, ma di filosofia dell'educazione. La dizione è senz'altro giustificata: tutto lo scritto (come del resto tutta l'opera di Dewey) è filosofica. Forse Dewey è davvero l'ultimo dei filosofi moderni in cui la pedagogia sia, in modo pieno, una disciplina filosofica.

Sintesi

Esperienza ed educazione è diviso in 8 brevi capitoli (soltanto il terzo, dedicato allo studio filosofico dell'esperienza, è più ampio). Vediamo quindi capitolo per capitolo.


1. Educazione tradizionale ed educazione progressiva

La tesi di fondo di questo capitolo è che va respinta la meccanica contrapposizione tra l'educazione tradizionale e l'educazione progressiva (cioè le scuole nuove). Si tratta sì di una differenza radicale:

Ma il problema vero è un altro: definiti i princìpi-guida per la scuola del futuro (e non potranno che essere quelli delle scuole nuove, e non quelli delle scuole tradizionali), il problema è tradurli in pratica in modo efficace. Ad esempio: la vecchia scuola era tutta centrata su una certa idea di organizzazione, gerarchica, centrata sull'autorità; la nuova scuola non dovrà respingere l'idea di organizzazione, ma dovrà porre il problema di come si possa costruire una buona ed efficiente organizzazione scolastica partendo non dal principio di autorità, ma dalla concreta esperienza, perché è attraverso quest'ultima che si impara. Il principio di fondo è infatti che "c'è un'intima e necessaria relazione fra il processo dell'esperienza effettiva e l'educazione". Ma se respingiamo l'idea che l'autorità debba essere imposta dall'esterno sugli allievi, come nella vecchia organizzazione scolastica, "il problema diventa quello di trovare i fattori del controllo nel seno dell'esperienza" [1].

Questo primo capitolo pone dunque il problema che sarà affrontato in tutto il saggio: non è sufficiente affermare il principio che l'educazione debba essere legata all'esperienza, respingendo il principio di autorità fine a se stesso al fine di una vera educazione alla libertà; infatti una educazione che dichiara di essere fondata sull'idea di libertà può essere tanto dogmatica quanto qualsiasi altra. E' infatti dogmatica ogni educazione che non sia basata su un esame critico dei propri fondamenti. E imporre il principio di libertà senza questo esame critico non è diverso che imporre qualsiasi altro principio.

2. Bisogno di una teoria dell'esperienza

In questo capitolo Dewey precisa perché è indispensabile una teoria dell'esperienza, cioè una riflessione filosofica a monte del principio pedagogico di fondo, l'idea che si apprende in rapporto all'esperienza. Questo approfondimento filosofico è indispensabile perché non tutte le esperienze sono educative. Al contrario, ve ne sono di fortemente diseducative. E' solo un certo tipo di esperienza che consente l'educazione.

La tesi è che vi sono due tipi di esperienze:

Da che cosa dipende questa differenza? Dalla qualità dell'esperienza che l'educatore propone. Non si tratta tanto del fatto che una esperienza sia nel momento in cui la si fa gradevole o meno; questo è relativamente secondario, perché vale solo per il momento. Il problema è l'effetto nel lungo periodo: è la sua influenza sulle esperienze ulteriori. In sintesi: "Il problema centrale di un'educazione basata sull'esperienza è quello di scegliere il tipo di esperienze presenti che vivranno fecondamente e creativamente nelle esperienze che seguiranno".

3. Criteri dell'esperienza

E' il capitolo centrale del saggio, che definisce filosoficamente la nozione di esperienza. Il punto di partenza è dato dal fatto che ciò di cui stiamo parlando è l'educazione per tutti: serve una nozione di esperienza che fondi una educazione democratica, che consenta davvero, operativamente, di favorire lo sviluppo di una società democratica.

Tuttavia, perché preferiamo la democrazia e insistiamo tanto su un principio educativo efficace per tutti? La risposta di Dewey è nettissima: la ragione è che "gli ordinamenti sociali della democrazia promuovono una qualità superiore di esperienza umana, un'esperienza più largamente accessibile e possibile che non le forme di vita sociale non democratiche". E' questa qualità superiore l'obiettivo ultimo, ed è un obiettivo politico, su base filosofica (l'idea che la vita dell'uomo possa avere livelli qualitativi diversi in relazione a forme diverse di esperienza) [2].

Qual è dunque la visione filosofica dell'esperienza che dobbiamo utilizzare per la costruzione di un corretto concetto di educazione? Dobbiamo richiamare tre principi.

Naturalmente i due principi possono entrare in rotta di collisione: è perfettamente possibile che la crescita si blocchi a causa del fatto che la continuità ha determinato abitudini che bloccano, piuttosto che favorire, l'acquisizione di nuove esperienze.

Compito dell'educatore è fare in modo che questo non avvenga. E' sua responsabilità fare in modo che non avvenga, e Dewey si dichiara quindi contrario ad ogni spontaneismo pedagogico ed a favore di una organizzazione del lavoro che dia luogo ad una corretta programmazione delle esperienze. Naturalmente quanto detto sin qui vale anche per l'educatore: egli stesso deve continuamente imparare dall'esperienza ed è in nome della sua superiore esperienza che è capace di guidare i giovani, senza ledere la loro libertà. All'insegnante "spetta la responsabilità di creare le condizioni per un genere di esperienza presente che abbia un effetto favorevole sul futuro". Non va dimenticato il fatto che l'educazione è sempre anche una trasmissione di esperienze tra le generazioni, e che noi viviamo in un mondo che è stato profondamente modificato dagli uomini che ci hanno preceduto. La comprensione dell'esperienza deve dunque tenere conto del fatto che il presente può essere compreso, in funzione dell'azione, e quindi del futuro, soltanto se si comprende il passato che lo ha generato. Dewey si dimostra quindi contrario ad una educazione che dimentichi il passato, ma anche ad un'educazione rivolta a far rivivere il passato (come spesso accade nelle scuole tradizionali); è invece favorevole ad una educazione che, attraverso l'esperienza del presente, permetta di intenderlo attraverso il passato, orientando il giovane verso il futuro.

A questo proposito va allora enunciato un terzo principio.

La responsabilità dell'educatore è allora quella di creare situazioni di apprendimento che rispettino i principi di continuità e di crescita, legando insieme passato, presente e futuro. Coniugare nell'esperienza il soggetto e l'oggetto.

4. Controllo sociale

Nel quarto capitolo Dewey esamina, nel contesto delle condizioni definite nel capitolo precedente, la questione del controllo sociale. Nelle scuole tradizionali è esercitato dall'esterno, attraverso il principio di autorità. Operando didatticamente in modo da creare situazioni di apprendimenti quali quelle descritte, non si può più utilizzare l'autorità in modo tradizionale. Ma questo non significa affatto rinunciare al controllo e accettare il caos nelle scuole. Nella vita normale tutti i cittadini adulti vivono in condizioni di forte controllo sociale e non vedono affatto per questo limitata la loro libertà. Come è possibile questo? E' come quando si partecipa a un gioco: nessuno sente messa in discussione la propria libertà perché esistono delle regole. Queste fanno parte della realtà accettata da tutti, non sono imposte da qualcuno a qualcun altro. Così a scuola si tratta di creare situazioni in cui il controllo sia uno degli elementi della situazione stessa, e non sia imposto dall'alto. In alcuni momenti servirà anche questo, ma "l'insegnante riduce al minimo le occasioni in cui deve esercitare un'autorità personale. Quando è necessario (…) lo fa in nome dell'interesse del gruppo".

Il controllo è interno alla natura stessa del lavoro scolastico svolto come un'impresa collettiva. Di questa impresa l'insegnante ne è parte, e la sua libertà è in gioco come quella di tutti gli altri membri. Il piano del lavoro deve essere costruito in modo da rispettare la libertà di tutti rendendo accettabili da parte di tutti le regole necessarie al suo svolgimento.

5. La natura della libertà

E' un capitolo molto breve in cui si chiarisce che cosa si debba intendere con la parola libertà: Dewey precisa che intende riferirsi in particolare alla libertà dell'intelligenza, "vale a dire la libertà di osservare e di giudicare". Il termine libertà è quindi connesso alla nozione di crescita, come ampliamento delle capacità di fare esperienze di qualità elevata.

Tuttavia anche la libertà esteriore è importante ai fini dell'educazione, intanto perché crea le condizioni esterne per fare esperienze positive, ma anche perché la vecchia idea greca che l'educazione debba riguardare il corpo e la mente deve essere tenuta in grande considerazione. E la libertà esteriore che riguarda il corpo, sempre nel contesto del controllo sociale definito nel capitolo precedente, è una delle condizioni per la completezza dell'esperienza di qualità.

6. Il significato del proposito

In questo breve capitolo Dewey esamina in quale direzione l'educatore debba muoversi per educare il giovane alla padronanza di se stesso - padronanza che genera libertà, visto che la dipendenza dai propri impulsi rende l'uomo tanto poco libero quanto la dipendenza dalla volontà altrui. Centrale è la nozione di proposito.

Il proposito è la visione di un fine, ed è quindi un'operazione intellettuale "piuttosto complessa" che si distingue nettamente dal semplice istinto o dall'impulso all'azione: implica infatti un piano. Dewey sottolinea che "il problema cruciale dell'educazione è quello di ottenere che l'azione non segua immediatamente il desiderio, ma sia preceduta dall'osservazione e dal giudizio". Questa idea è del tutto coerente con la definizione di libertà intellettuale del capitolo precedente e di esperienze che favoriscono, e non bloccano, la crescita..

7. Organizzazione progressiva della materia di studio

Quest'ultimo capitolo - l'ottavo è in pratica una breve conclusione - è dedicato alla questione delle materie di studio. Per Dewey le materie sono ambiti in cui si organizzano le esperienze. Devono quindi essere trattate sempre in modo da avere come base l'esperienza. Le materie stesse sono il sedimento delle esperienze passate e devono essere trattate in modo da consentire "di imparare a conoscere il passato come un mezzo per intendere il presente", in vista di quella capacità di giudizio e di proposito di cui al capitolo precedente.

Devono essere poste in maniera problematica (riflessione sull'esperienza) perché "i problemi sono lo stimolo a pensare". Dewey prende esempio dallo studio delle materie scientifiche, per le quali difende il metodo sperimentale.

8. L'esperienza, mezzo e fine dell'educazione

E' una breve sintesi, in una pagina, dei concetti del volume, che si conclude con la seguente tesi: "Il punto essenziale (…) è il problema di cosa si deve fare perché il nostro fare meriti il nome di educazione. (…) Il problema fondamentale concerne la natura dell'educazione senza aggettivi".

Note

1) Va osservato che il problema è già in Rousseau, con cui Dewey è implicitamente in dialogo: nell'Emilio si sostiene che l'allievo non deve imparare dal maestro - cioè da un altro uomo con cui per forza di cose di instaura un rapporto di autorità, ed entra quindi in gioco la libertà dell'allievo - ma dalla natura stessa, e quindi dall'esperienza. Come fare, è il problema della filosofia dell'educazione a livello teorico, della didattica a livello operativo.

2) Qui non vi si accenna minimamente, ma questa concezione filosofica risale ai romantici ed al giovane Hegel in particolare (fino alla Fenomenologia). Ai tempi di Dewey era sostenuta da ambienti molto diversi: è concezione che si trova nell'idealismo italiano (Croce e Gentile: quest'ultimo, per ragioni analoghe a quelle per cui Dewey preferisce la democrazia, ritiene si debba preferire il fascismo), nelle filosofie francesi della vita (ad esempio in Bergson), nel pragmatismo americano di James, e così via.

3) Dal punto di vista filosofico (nel testo però non se ne fa cenno) questa nozione di continuità deriva dallo studio delle relazioni soggetto-oggetto della tradizione tedesca, da Kant ad Hegel, rilette nella chiave del pragmatismo propria di Dewey: l'uomo apprende nel confronto con la natura e gli uomini, modificando l'ambiente, soltanto quando intende le esperienze come problemi da affrontare ed elabora tentativi di soluzione. La tesi non è lontana da quella di Popper (che la conoscenza sia fondata su congetture e confutazioni) e si basa su una analoga concezione dell'evoluzione: la mente umana sarebbe il frutto della evoluzione della specie in rapporto all'ambiente, che sulla base di questa evoluzione viene a sua volta modificato.



INDIETRO