GILLES DELEUZE

A cura di Diego Fusaro



LA PRATICA FILOSOFICA

Negli anni Ottanta, con il venire meno delle fortune del poststrutturalismo, la diffusione del postmodernismo e della decostruzione (due tendenze maturate dagli stessi presupposti delle prime teorizzazioni deleuziane) e con l'emergere di quella che fu definita la "svolta ermeneutica" del pensiero contemporaneo, si conclude provvisoriamente la collaborazione con Guattari, e Deleuze ritorna agli interessi logici ed estetici che avevano animato i suoi primi scritti. La logica anti-metafìsica e anti-dialettica delineata in "Differenza e ripetizione" viene ora applicata al cinema , e all'opera del pittore Francis Bacon. Deleuze scrive anche un saggio su "Foucault" (1986), morto nel 1984, e uno su Leibniz ("La piega", 1988). Nel 1991 riprende la collaborazione con l'amico Guattari, gravemente malato, e pubblica "Che cos'è la filosofia?", una messa a punto di quella visione della pratica filosofica che è alla base delle sue opere, e che veniva già fissata nei tratti essenziali in "Conversazioni", del 1977, scritto con la compagna Claire Parnet. L'idea iniziale è la definizione di filosofìa come " arte di formare, di inventare, di fabbricare concetti ". Di qui conseguono due linee problematiche: anzitutto si tratta di spiegare perché questa sola definizione è quella giusta, perché la filosofìa non sarebbe riducibile alla riflessione, o alla discussione democratica (secondo la formula di Apel e Habermas); alla "conoscenza di sé", o alla "meraviglia". Quindi si tratta di chiarire che cosa sono e come si comportano i concetti e qual è la prassi (non il "metodo", ma la tecnh , l'arte) che ne governa la creazione. Infine, si tratta di specificare qual è la differenza tra l'operare della scienza e quello della filosofia, tra l'operare della filosofia e quello dell'arte. La riflessione è certamente un'attività filosofica, ma ciascuna altra prassi comporta un momento di riflessione, e certo l'arte e la scienza non hanno bisogno della filosofia per riflettere sul loro lavoro. Quanto alla meraviglia e alla conoscenza di sé, si tratta di definizioni vaghe, che non colgono la specificità dell'oggetto, o che mirano a totalizzare la filosofia, facendone un sapere primo e plenipotenziario. Inoltre, e infine, la filosofia non è riducibile alla libera discussione democratica, perché, come mostra la prassi greca, socratica (primo paradigmatico esempio di filosofia come arte della polis, al modo apeliano e habermasiano), la pubblica discussione è in realtà un'agonistica del concetto, ossia: vengono proposte "creazioni" concettuali rivali, che si misurano l'una contro l'altra. Quanto alla natura dei concetti, in "Che cos'è la filosofia?", viene tratteggiata un'immagine precisa della concettualità , che può essere così sintetizzata: a) c'è un caos di sfondo e di partenza, l'infinito caos in cui è immerso il pensiero; b) la filosofia sopraggiunge per generare un ordine e un orientamento nel caos, e a questo scopo i concetti svolgono il ruolo di altrettante articolazioni, figure o configurazioni; e; i concetti non vagano sconnessi, ma si collocano su un certo "piano di immanenza", un "taglio" nel flusso del caos che può variare, e che da diverse modalità, usi e intonazioni ai concetti (per esempio nel kantismo il piano di immanenza è il trascendentale, nell'heideggerismo è l'essere tempo-linguaggio, nell'esistenzialismo è l'esistenza del singolo, nella fenomenologia è il mondo degli Erlebnisse, nell'ermeneutica è la tradizione, ecc.); d) i concetti hanno una storia e una vita: come tutte le cose create, e le creature viventi, scrivono Deleuze e Guattari, i concetti sono "autopoietici", continuamente formano se stessi, e come tutte le cose create sono molteplici, complessi, autoreferenziali. L'ultima opera di Deleuze, morto suicida nel 1995, è una raccolta di saggi prevalentemente di argomento letterario, dal titolo "Critique et clinique" (1993), dove tra l'altro assimila l'ontologia heideggeriana a certe idee teorizzate dallo scrittore protosurrealista Alfred Jarry.

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