Si chiamano gatekeepers quelli che, nel gran teatro di sua maestà il Capitale, recitano la parte degli oppositori. Degli oppositori di corte, s’intende: in quanto tali, portatori di un’opposizione coreografica e pilotata. Un metodo semplice e infallibile per stanare i gatekeepers, ossia gli oppositori funzionali al sistema dominante che pure fingono di contestare, è il seguente, in tre punti:

  1. Essi attaccano chi si oppone al sistema più che gli araldi del sistema stesso (basta guardare anche a volo d’aquila le loro bacheche). In altre parole, favoriscono la orizzontalizzazione del conflitto o, se si preferisce, la lotta di classe entro la medesima classe.
  2. Si oppongono fermamente all’unione del basso contro l’alto, contribuendo all’attuazione di un punto fermo dell’ordine dominante: la frammentazione dell’opposizione e l’impedimento di un fronte unitario anticapitalistico, democratico e socialista.
  3. Pretendono di essere gli eletti, in senso religioso (chiamati dall’alto) e non politico (votati dal basso). Il loro mito della purezza, sintomo di infantilismo politico e di neoliberismo interiore (competere sempre e comunque), li porta puntualmente non solo all’autoghettizzazione (con la loro volontà di escludere tutti si escludono da tutti), ma anche all’autocannibalizzazione interna: ogni volta ci sono impuri che vengono epurati dai più puri, che saranno poi epurati dagli ancora più puri. Finché ne resterà solo uno, che coinciderà con il suo stesso partito, dal quale tutti gli altri – dal primo all’ultimo – saranno stati epurati.
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