Libri di Diego Fusaro

Viene annunciata con giubilo in questi giorni la raggiunta intesa dell’OMS, organizzazione mondiale della sanità, per la gestione globale delle nuove pandemie. Ne danno notizia tutti i più letti e, soprattutto, più venduti quotidiani nazionali e internazionali, sui quali ovviamente non compare nemmeno per errore un’analisi critica: tutti si limitano all’unisono a celebrare la raggiunta intesa, come se fosse una grande conquista da celebrarsi unanimemente. Procedendo controcorrente, come al solito, desideriamo svolgere soltanto due considerazioni di ordine critico. Anzitutto, sui processi sempre più radicali di sovranazionalizzazione: per dirla in maniera schematica, la sovranazionalizzazione coincide con lo svuotamento di quel poco che resta di democratico negli Stati sovrani nazionali. I processi di sovranazionalizzazione, che siano quelli dell’Unione Europea o quelli dell’OMS, si basano immancabilmente sulla traslazione della decisione sovrana dai parlamenti nazionali, più o meno democratici a seconda dei casi, verso realtà sovranazionali che puntualmente non hanno nulla di democratico, figurando nella massima parte dei casi come strumenti della governance neoliberale e tecnocratica, gestita autocraticamente dai ceti dominanti. Insomma, la sovranazionalizzazione coincide con la decostruzione dei residui spazi di democrazia, decostruzione salutata dall’ordine discorsivo dominante come se fosse una grande conquista: e tale è sempre e solo per la plutocrazia neoliberale senza frontiere, che ovviamente riesce sempre a imporre le proprie mappe concettuali anche a chi in basso tutto l’interesse avrebbe a contestarle. La seconda considerazione che desideriamo svolgere riguarda l’essenza stessa della governance neoliberale in relazione alle questioni sanitarie: vi abbiamo insistito abbondantemente nel nostro studio “Golpe globale. Capitalismo terapeutico e grande reset”, libro nel quale abbiamo mostrato come l’emergenza, compresa quella sanitaria, venga utilizzata ad arte dalla classe dominante per propiziare un autoritarismo giustificato in nome dell’emergenza stessa e, insieme, un riformismo dall’alto che impone misure impopolari presentandole però come necessarie a governare l’emergenza stessa. Misure impopolari che, guarda caso, coincidono sempre con politiche di classe a beneficio dell’alto contro il basso, a beneficio dei signori e a nocumento dei servi, per usare la dicotomia di Hegel. Senza esagerazioni, calamità ed emergenze, crisi e sconquassi di varia natura figurano come una preziosa opportunità per i gruppi dominanti, che puntualmente mutano questi eventi catastrofici in strumenti di dominazione a beneficio del potere egemonico. Aveva indubbiamente ragione Foucault, allorché nel suo corso sulla nascita della biopolitica spiegava che la massima del neoliberismo si cristallizza nella formula vivre dangereusement, “vivere pericolosamente”: a tal punto che neoliberismo ed emergenza fanno sistema e si rovesciano dialetticamente l’uno nell’altra. In sintesi, le emergenze, da quella climatica a quella sanitaria, da quella finanziaria a quella terroristica, sono prodotte dall’ordine turbocapitalistico e, insieme, sono da esso artatamente impiegate in chiave governamentale, sempre per esprimerci con il vocabolario di Foucault, cioè figurano a tutti gli effetti come precisi metodi di governo che utilizzano l’emergenza come strategia per ottenere conquiste di classe spacciate ideologicamente come misure necessarie per reagire all’emergenza nel nome dell’interesse della sicurezza di tutti e di ciascuno. Bene fanno dunque le classi dominanti a cantare vittoria in relazione alla raggiunta intesa: le classi dominate, però, dovrebbero preoccuparsi e non poco, anziché giubilare con l’abete euforia propria dell’internato platonico della caverna.