Libri di Diego Fusaro

In una recente intervista apparsa su “il manifesto”, lo storico esponente della sinistra liberale Pierluigi Bersani – già fautore a suo tempo delle liberalizzazioni coatte – svolge una considerazione programmatica, che ci pare degna di essere commentata pur celermente: “abbiamo fatto cose disdicevoli, ma ora ripartiamo”. Queste le parole dell’esponente della sinistrash fucsia liberalprogressista. A dire il vero, la frase, se letta in trasparenza, suona quasi come una minaccia, che così può essere intesa: abbiamo fatto cose disdicevoli e ora siamo pronti a farne anche di peggiori. Nel tempo dell’alternanza senza alternativa e dell’omogeneità bipolare di una destra e di una sinistra che figurano come le due braccia del partito unico fintamente articolato del capitale, non dobbiamo dimenticare che la dominazione capitalistica, almeno dagli anni 90 ad oggi, è avvenuta ugualmente grazie alla destra e alla sinistra, in competizione tra loro per andare a prendere con zelo gli ordini dalla classe dominante transnazionale. Con tutta una serie di paradossi che credo siano sotto gli occhi di tutti: la sinistra ha istituito l’orrendo Jobs act, che ha precarizzato barbaramente il mondo del lavoro, e ora che si trova all’opposizione dice di volersi battere per abolirlo. La destra, che a suo tempo criticava in maniera aspra il Jobs act, ora che è al governo non dice più nulla intorno ad esso. Una sorta di gioco delle tre carte applicato alla politica, sempre più palesemente ridotta a semplice continuazione dell’economia capitalistica con altri mezzi. Già ricordavo che Bersani fu protagonista delle liberalizzazioni in Italia, ossia di un indirizzo che si iscrive perfettamente nel quadro dell’ordine neoliberale e della sua trasformazione dei diritti in merci e dei beni comuni in servizi privati. Degno di lode il fatto che Bersani ora prenda coscienza che la sua parte ha fatto “cose disdicevoli”: ma siamo convinti che continuerà a farle, poiché ha integralmente introiettato la visione capitalistica del mondo, in forza della quale non si dà altra realtà possibile se non quella del mercato innalzato a unica sorgente di senso (Mark Fisher lo ha appellato “realismo capitalista”). L’anticapitalismo della vecchia sinistra rossa della falce e del martello è stato spodestato dall’osceno ultracapitalismo della new left dell’arcobaleno, ormai divenuta semplice guardia fucsia dell’ordine dominante e del blocco oligarchico neoliberale. Che la destra sia organica al potere dominante non è una novitas: lo è invece che lo sia ormai pienamente anche la sinistra, che un tempo aveva rappresentato le istanze della trasformazione e dell’opposizione al potere dominante, al quale ormai è organica in misura non inferiore rispetto alla destra stessa. Come non mi stanco di evidenziare da tempo, destra e sinistra nel tempo del turbocapitalismo sono del tutto simili a due maggiordomi con il diverso colore della livrea ma egualmente piegati alla dominazione del padrone capitalistico, da cui prendono con solerzia gli ordini.