BERGSON, LO SLANCIO VITALE
[L’evoluzione creatrice]
È necessario comparare la vita ad uno slancio, perché nessun’altra immagine, tratta dal mondo fisico, vale a esprimerne con altrettanta approssimazione l’essenza. Tale è la mia vita interiore e tale è pure la vita in generale. Se, nel suo contatto con la materia, la vita è paragonabile a un impulso o a uno slancio, considerata in se stessa, essa è un’immensità di virtualità, un compenetrarsi reciproco di migliaia di tendenze: le quali, tuttavia, saranno ” migliaia ” solo quando verranno rese esteriori le une alle altre, ossia spazializzate. Allo stesso modo, di un sentimento poetico esprimentesi in strofe, in versi, in parole distinte, si può dire che esso conteneva in sé tale molteplicità di elementi particolari, e che tuttavia, chi l’ha prodotto è stata la materialità del linguaggio. Ma attraverso le parole, i versi, le strofe, circola l’ispirazione indivisibile che costituisce l’unità del poema […]
Il finalismo radicale è altrettanto inaccettabile. Nella sua forma estrema la dottrina della finalità riposa sul postulato che le cose e gli esseri non facciano che attuare un piano prestabilito. Qui, come nell’ipotesi meccanicistica, tutto è dato. E perciò il finalismo così inteso non è che un meccanicismo rovesciato. Esso muove dallo stesso postulato del meccanicismo, con questa sola differenza: che, nella corsa delle nostre intelligenze finite lungo la successione apparente delle cose, esso pone davanti a noi, anziché dietro, la luce con cui pretende di guidarci. All’impulso del passato esso sostituisce un’attrazione dell’avvenire: ma la successione resta ugualmente, come la cosa stessa, una mera apparenza.
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"Bisogna riservarsi una retrobottega tutta nostra, del tutto indipendente, nella quale stabilire la nostra vera libertà, il nostro principale ritiro e la nostra solitudine. Là noi dobbiamo trattenerci abitualmente con noi stessi, e tanto privatamente che nessuna conversazione o comunicazione con altri vi trovi luogo; ivi discorrere e ridere come se fossimo senza moglie, senza figli e senza sostanze, senza seguito e senza servitori, affinché, quando verrà il momento di perderli, non ci riesca nuovo il farne a meno. Abbiamo un'anima capace di ripiegarsi in se stessa: può farsi compagnia, ha i mezzi per assalire e per difendere, per ricevere e per donare; non dobbiamo temere di marcire d'ozio noioso in questa solitudine".
(M. de Montaigne, "Saggi")
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