DIOGENE DI APOLLONIA

A cura di Diego Fusaro


Diogene di Apollonia (da non confondersi con il "cinico" Diogene di Sinope), operativo nella seconda metà del V secolo a.C., è autore di un’opera intitolata Sulla natura (Peri fusewV) - che ebbe una certa circolazione anche in Atene - da cui traspare palesemente l’influenza subita dalle tesi di Anassimene e di Anassagora: ricollegandosi direttamente ad Anassimene, Diogene ritiene che l’aria sia l’ach in grado di spiegare l’intera realtà nella sua molteplicità. Come già per Anassimene, anche per Diogene l’argomento fondamentale in favore della sua tesi è dato dalla funzione vitale della respirazione: l’imprescindibile funzione da essa esercitata nella vita dell’uomo e degli animali vale anche a livello cosmico per il reale nel suo complesso. Se Diogene si limitasse a sostenere questa tesi, egli non sarebbe che uno Ionico giunto in ritardo – i temi dell’ materiale erano ormai tramontati da tempo – e per di più del tutto privo di originalità, giacchè nell’aria era già stato da Anassimene ravvisato il principio della realtà. Ma Diogene fa un passo avanti, ed è qui che emerge l’importanza del pensiero anassagoreo per la sua formazione: in particolare, Diogene ricollega il problema del principio materiale (di marca ionica) a quello dell’Intelligenza (NouV) ammessa da Anassagora come ordinatrice del cosmo; in particolare, Diogene sostiene che l’aria è l’Intelligenza di cui parlava Anassagora. Questi, tuttavia, - come nota Aristotele (Metafisica, I) – non si era spinto fino a riconoscere nell’Intelligenza la causa finale: Diogene, dal canto suo, dopo aver identificato l’aria di Anassimene con l’Intelligenza di Anassagora, arriva a dire che tale Intelligenza presiede all’ordinamento del cosmo in senso finalistico: l’aria/Intelligenza dispone le cose nel miglior modo possibile (aspetto assente in Anassagora), secondo una struttura teleologicamente organizzata. Diogene, pur essendo corifeo di posizioni monastiche di remota ascendenza ionica, non è insensibile al problema delle differenziazioni, un problema particolarmente sentito nel V secolo a.C., quando il mondo greco era venuto a contatto con culture e genti diversissime: a tal proposito, egli riconosce l’esistenza di infiniti mondi che nascono, muoiono e si riformano. L’attenzione per la differenza è poi attestata dal fatto che Diogene distingua con una certa precisione, per la prima volta nella storia, diverse zone climatiche, caratterizzate da una diversa qualità dell’aria. L’individuazione di differenti zone climatiche porta Diogene a quello che, con termine moderno, potremmo definire un autentico determinismo ambientale, tale per cui l’ambiente agisce in maniera determinante su tutto ciò che in esso si trova: in questo come negli altri infiniti mondi l’aria si presenta non già nello stesso modo, bensì con caratteristiche diverse. Ed è infatti a seconda del tipo di aria presente che si possono distinguere le zone climatiche; non solo: perfino i viventi si differenziano fra loro nella struttura anatomica a seconda della fascia climatica in cui vivono, cosicché essi sono necessariamente determinati dall’ambiente (o, meglio, dall’aria che in esso è presente). E poiché l’intelligenza di cui gli uomini dispongono non è che aria in una determinata qualità, Diogene può addirittura spiegare la differenza di intelligenza fra gli uomini in base alle fasce climatiche. Chi vive, ad esempio, in zone umide e dall’aria densa sarà meno vivace intellettualmente rispetto a chi vive in zone con aria secca, tale da stimolare il pensiero. Tuttavia Diogene non si spinge fin laddove si era spinto Empedocle, per il quale la percezione e l’intelligenza – in quanto dipendenti dal sangue – appartengono anche alle piante; dal canto suo, Diogene nega che le piante abbiano intelligenza, giacchè esse presentano una struttura piena e non cava, tale da non lasciare spazio all’aria e, dunque, all’intelligenza. Ciò attesta la coerenza metodologica di Diogene, oltre che la sua "economia di pensiero", che gli permette di spiegare con un unico principio la realtà nel suo articolato sviluppo. Un determinismo ambientale simile a quello professato da Diogene è reperibile anche nello scritto del corpus hippocraticum intitolato Arie acque luoghi. Aristotele ricorda la descrizione dell’apparato venoso dell’uomo fatta da Diogene e ricorda, inoltre, (De anima, I) come questi abbia sostenuto che perfino l’anima umana è costituita da aria. Dell’opera di Diogene non ci sono giunti che pochi frammenti (quasi tutti riportati da Simplicio nel suo commento alla Fisica di Aristotele): è interessante il fatto che lo scritto si aprisse con una riflessione metodologica sul proprio lavoro:

Chi incomincia un qualsivoglia discorso, mi sembra necessario che esibisca un inizio indiscusso e una spiegazione poi semplice e sobria. (Fr.1)

Il punto di partenza a cui Diogene fa riferimento deve essere tale da non andare incontro a possibili obiezioni e la trattazione stessa dev’essere semplice e a tutti comprensibile; il che testimonia un’attenzione rivolta alle esigenze del lettore che mai era stata prestata dai filosofi venuti prima. Il punto di partenza che Diogene ritiene inoppugnabile è l’antica tesi monastica dell’unicità del principio di natura materiale (nella fattispecie, l’aria):

Per dirla insieme, mi pare che tutte le cose risultino dall’alterazione della stessa cosa e sono la stessa cosa. E ciò è chiaro: infatti, se le cose che sono adesso in questo mondo, terra, acqua, aria e fuoco e tutte le altre, quante si vedono esistere in questo mondo, dunque, se una di queste fosse diversa dall’altra perché diversa per sua propria natura e non fosse lo stesso che si muta in molte forme e si altera, non si potrebbero affatto mescolare tra loro, né all’una [verrebbe dall’altra] utilità o rovina, né mai pianta potrebbe nascere dalla terra né animale né alcun altro essere se non fossero composte in maniera da essere lo stesso. Piuttosto tutte queste cose nascono ora in una forma ora in un’altra in quanto si alterano dallo stesso e in esso ritornano. (Fr.2)

Infatti non sarebbe possibile senza intelligenza una divisione tale che di ogni cosa la misura realizzi, e d’inverno e d’estate, e di notte e di giorno, e di piogge e di venti e di sereni: e tutte le altre cose, se uno vuole esaminarle, le troverà disposte nel miglior modo possibile. (Fr.3)

Ci sono inoltre anche questi indizi importanti. Gli uomini e le altre creature vivono respirando l’aria. Essa è per loro anima e pensiero, come si dimostrerà chiaramente in quest’opera, e se essa si allontana, l’uomo muore e il pensiero lo abbandona. (Fr.4)

Mi sembra sia dotato di intelligenza ciò che gli uomini chiamano aria, che tutti siano da esso governati e che tutto esso domini. Ciò stesso mi sembra che sia dio e giunga dovunque e tutto disponga e in tutto sia. E non c’è niente che non ne partecipi: però niente ne partecipa in maniera uguale, questo come quello, ma molti sono i modi e dell’aria e dell’intelligenza. Essa è poliforme, più calda e più fredda, più asciutta e più umida, più ferma o dotata di più rapido movimento: e vi sono in essa molte altre differenziazioni e un numero infinito di sapori e di odori. E di tutti i viventi l’anima è la stessa cosa, aria più calda di quella esterna in cui viviamo, ma molto più fredda di quella che sta presso il sole. Tuttavia questo calore non è uguale in nessun essere vivente (come neppure in un uomo rispetto all’altro) e differisce non molto, ma in modo che rimangano simili. Però nessuna delle cose che si differenziano può divenire perfettamente uguale all’altra, senza diventare la stessa. Poiché la differenziazione è multiforme, multiformi debbono essere anche gli esseri viventi e molti e, dato il grande numero delle differenziazioni, non simili l’uno all’altro né per forma né per condotta di vita né per intelligenza. Eppure tutti per la stessa cosa vivono e vedono e odono, e dalla stessa cosa tutti hanno intelligenza differente. (Fr.5)


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