FEDERIGO ENRIQUES



A cura di Moses



 

ENRIQUESGrande studioso di geometria, di algebra e di storia della scienza, Federigo Enriques (1871-1946) si oppose fermamente alle interpretazioni convenzionalistiche  e formalistiche della matematica, mirando a una genesi psicologica delle teorie scientifiche. Non sono molti quelli che conoscono Enriques come filosofo, e quei pochi che lo ricordano sono forse gli appassionati di matematica, perché – insieme a Guido Castelnuovo e Francesco Saveri – egli fu uno degli artefici della cosiddetta "scuola geometrica italiana". Enriques insegnò nelle Università di Bologna e Roma. Negli anni '30 fu direttore della Sezione Matematica dell'Enciclopedia Italiana, quindi collaborò con Gentile. La sua mancanza di notorietà è strettamente legata al successo straripante dello “storicismo” di Benedetto Croce, dell'“attualismo” di Giovanni Gentile ed alla relativa scomparsa del positivismo dalla scena filosofica nazionale, solo in parte rimpiazzato dal pragmatismo. Il suo torto fu quello di richiamarsi energicamente e chiaramente al positivismo, il grande sconfitto dei tempi, di aver dichiarato che la scienza gli era apparsa "come via maestra della speculazione filosofica" e che "due grandi stelle brillavano nel nostro cielo: Darwin e Spencer. Di questi cercavamo e leggevamo le opere." (1) Ora, non è facile stabilire se la mancata fortuna di Enriques sia frutto di una miopia degli storici o di una eclissi reale, determinata da una mancanza di audience da parte del mondo intellettuale e della cosiddetta opinione pubblica colta, costituita da lettori di libri e riviste. Molto probabilmente le due spiegazioni vanno intrecciate, considerando che anche durante il regime fascista si continuò a pubblicare una rivista, "Scientia", che proprio al positivismo si richiamava e che qualche lettore doveva pur annoverare e che questo tipo di lettore non andava necessariamente iscritto tra gli oppositori al regime, costretti in qualche modo a darsi alla macchia.
Enriques dichiarò fin dall'inizio pubblicamente ch'egli rifuggiva la dialettica hegeliana insegnata dal professor Jaja e che essa "ripugnava alle nostre menti". Se pensiamo che quel professor Jaja altri non era che Donato Jaia, il professore che discusse la tesi di Gentile su Rosmini e Gioberti, abbiamo il quadro preciso della situazione. Ma anche qui, occorre non farsi ingannare dalle contrapposizioni amplificate ed assolutizzate da alcuni storici. In realtà, Gentile ed Enriques dialogarono, e mentre Gentile sembrò apprezzare l'idea di una storia del pensiero scientifico propugnata da Enriques, lo stesso rimproverò a Gentile la mancata attuazione completa della riforma della scuola, nella quale si era previsto l'inserimento della storia della scienza.

Enriques scrisse di suo pugno il programma, pubblicato anonimo, della "Rivista di scienza. Organo internazionale di sintesi scientifica", che cominciò ad uscire nel 1907 e che nel 1911 divenne semplicemente "Scientia". In esso si leggeva:

«L'organamento attuale della produzione scientifica trae la propria fisionomia dal fatto che i rapporti reali vengono circoscritti entro discipline diverse, le quali ognora più si disgiungono secondo gli oggetti a secondo i metodi di ricerca. I risultati di codesto sviluppo analitico della scienza furono celebrati fino a ieri come incondizionato progresso, imperocchè la tecnica differenziata e l'approfondita preparazione di coloro che coltivano un ordine di studi ben definito, recano in ogni campo del sapere acquisti importanti e sicuri. Ma a tali vantaggi si contrappongono altre esigenze che il particolarismo scientifico lascia insoddisfatte, ed alle quali si volge con maggiore intensità il pubblico contemporaneo.» (2)


Una simile dichiarazione è già indicativa: per Enriques lo spazio ed il ruolo della filosofia sono delineati come "sintesi" delle conoscenze scientifiche e non come autonoma speculazione, indipendente da ogni acquisizione scientifica. L'idealismo gentiliano contesta alle scienze il loro particolarismo e la loro astrattezza, l'atteggiamento filosofico di Enriques, consapevole tanto dei limiti quanto della forza delle scienze, anziché chiudersi in una condanna aprioristica di tali limiti, si volge decisamente a cercare una riunificazione sintetica dei saperi.
Enriques vide nel convenzionalismo di Duhem e Poincaré il rischio di privare le scienze di uno specifico valore conoscitivo, riducendole ad un puro "gioco". Il valore e il significato dell'impresa scientifica sono dunque i punti che attraversano tutta la sua riflessione. Già nel 1906 scriveva:

«Il fatto generale che l'esperienza si interpreta per mezzo di conoscenze anteriori, e di ogni fase del progresso scientifico è analogamente sottomessa ad una fase precedente, si accetta oggi [...] non più stabilendo una gerarchia assoluta delle scienze, ma riconoscendo il graduale sviluppo di ciascuna [...] Pertanto la Geometria, anziché essere ritenuta come necessariamente precedente alla Fisica, viene ad esserne considerata una parte, assorta ad un alto grado di perfezione in virtù della semplicità, della generalità e della relativa indipendenza dei rapporti in essa compresi.» (3)


Enriques non si propone tanto di criticare e contestare l'irrazionalismo e la presunta "bancarotta della scienza" annunciata con rullo di tamburi da Ferdinand Brunetière. Gli interessava rintracciare le premesse stesse dell'irrazionalismo nelle "esagerazioni barocche" della logica formale. La nascita della nuova geometria aveva, per Enriques, condotto all'errata convinzione dell'"arbitrarietà" della costruzione matematica. Egli vide un collegamento tra il pragmatismo matematico e quello filosofico, che Enriques associava al convenzionalismo e al machismo. Le interpretazioni estremistiche del pensiero di Poincaré da parte di Le Roy e quella di Peirce da parte di William James e Ferdinand Schiller avevano ingenerato la falsa convinzione che «il possesso della verità ricercato dalla scienza diviene una pura illusione: i risultati scientifici potranno tutt'al più fornire una tecnica utilitaria, una regola di azione nella vita.» (4)
Ma, lo stesso pragmatismo logico-matematico indica la via per evitare conseguenze simili nel momento in cui contesta il naturalismo matematico, cioé quella dottrina che riconosce l'esistenza di enti matematici indipendentemente dallo spirito umano. Per Enriques si tratta, dunque, di trovare un equilibrio tra l'empirismo radicale delle sensazioni e l'attività costruttiva dello spirito. La loro contrapposizione dà luogo ad una scissione erronea del "concetto pieno del reale", tra una componente passiva ed una attiva. Secondo Enriques, il dato puro e immediato è un'illusione. Scrive il nostro autore: «non c'è sensazione che non sia in pari tempo una reazione attiva del senziente allo stimolo e non involga quindi in qualche modo la sua attenzione e la sua volontà.» (5) Pertanto la realtà non è mai un dato puro, ma sempre qualcosa di costruito dall'attività razionale. Ciò che chiamiamo realtà è un rapporto invariante (termine estratto dalla matematica e riferito a un dato gruppo di "trasformazioni"). L'invariante era per Enriques una specie di rivelatore che mostrava l'attività della conoscenza al suo livello più elementare. Secondo Enriques, l'uomo è portato naturalmente alla ricerca di qualcosa di invariante nel movimento del reale. Si tratta dell'elemento che rimane costante malgrado le continue modificazioni che avvengono nella realtà ed esso può diventare l'oggetto di un concetto. Enriques allertava i suoi lettori di non confondere l'invariante con l'oggetto empirico rivelato dai sensi. L'invariante è l'oggetto matematico, cioè la costruzione razionale che segue la comprensione del reale proveniente dal senso comune degli individui umani. Ma, bisogna anche evitare di confondere l'invariante coi “noumeni” kantiani, giacché essi non sono ciò che si trova al di là dei fenomeni,dei limiti invalicabili alla conoscenza: gli invarianti giacciono, infatti, "all'interno dei fenomeni stessi".
È quindi da tale caratterizzazione della realtà e dalla scienza come costruzione che Enriques trova una dimensione storica dell'impresa conoscitiva. La scienza non sarà mai un sistema chiuso di proposizioni definitive sulla realtà, ma un progresso continuo.

«Il concetto costruito dalla scienza - scrive Enriques - rappresenta i fatti in modo approssimato; perciò nella sua determinazione entra - è vero - un elemento arbitrario ed una scelta economica; ma l'arbitrio è contenuto nei limiti dell'approssimazione segnata dalle esperienze e per riguardo al progresso della costruzione scientifica deve essere ritenuto non già convenzione ma ipotesi, cioè disposizione preordinata d'esperienza futura. Così nel rapporto scientifico tra ipotesi ed esperienza si ritrova in forma più ampia il rapporto invariante tra atto volontario e sensazione, che costituisce il significato comune di realtà.» (6)


Per questo, Enriques non ha difficoltà nel riconoscere che i risultati della ricerca scientifica possano essere giudicati "relativi", ma ciò non deve portare a scetticismo o irrazionalismo: «la scienza è un processo di approssimazioni successive che prolunga indefinitamente le sue radici nelle induzioni inconsce della vita comune, e spinge sempre più in alto i suoi rami, toccando ad un sapere ognora più vasto,più certo e più preciso.» (7) Per questo motivo, Enriques invoca un nuovo razionalismo, che ora definisce come pragmatismo infinito, criticando in particolare W. James e F. Schiller, ma che altrove troviamo presentato come positivismo critico. Il pragmatismo di James e Schiller, infatti, "fissa il significato della verità teorica, scegliendo le conseguenze pratiche, in ordine al [singolo] soggetto", mentre il pragmatismo criticamente inteso concepisce "la verità [come] funzione di tutti i soggetti possibili e ritrova così il suo valore razionale umano, che è la sua obiettività”.
Enriques rimane, dunque, all'interno di una posizione positivistica, pur ponendosi in una prospettiva critica.

«La filosofia positiva di Auguste Comte - scrive ne Il significato della storia nel pensiero scientifico - ha creduto di poter trovare nella scienza qualcosa di fisso, ritenendo caduche le idee o le teorie costruite secondo le tendenze subiettive, e guardando di là di queste ai fatti che esse contengono. Un fatto, che implichi il riconoscimento di un oggetto o di un rapporto, in un certo ordine di approssimazione, sembra invero sottrarsi al cambiamento delle idee, ritrovandosi sempre lo stesso attraverso le diverse rappresentazioni o spiegazioni tecniche che possiamo darne.
Ma questa dottrina, presa alla lettera, toglierebbe ogni valore alla scienza, riducendola a semplice collezione di ricette. Perché anche quelli che, a buon diritto, chiamiamo "fatti", ricevono il loro significato proprio dalle idee secondo le quali vengono interpretati. Si parli, per esempio di un fatto astronomico: la scoperta di un pianeta. Che cosa vuol dire, se non che un certo corpo, già forse osservato nei cieli, viene ricollegato al nostro Sole, intorno a cui dovrà muoversi secondo le leggi della gravitazione newtoniana? Si dica invece di un fatto chimico, la scoperta di un elemento. Questa nulla significa per chi non abbia presente la classificazione della materia, cioè la distinzione fra corpi composti ed indecomposti, meglio il sistema periodico di Mendeleieff, in cui gli elementi semplici trovano il loro posto. Così, similmente in ogni campo dello scibile. Un fatto non è mai l'incontro bruto di certi dati sensibili, bensì il collegamento di più dati di un certo ordine, dominato da un'idea: la sua affermazione implica sempre di riconoscere dati obiettivi e subiettivi, separabili fino ad un certo punto, ma non mai in senso assoluto.» (8)

Rispetto al positivismo dell'Ottocento occorre superare l'idea di razionalità da esso canonizzata, e formularne una nuova. Essa può essere conseguita solo proponendo una coraggiosa unione di razionalismo e storicismo, ovvero facendo interagire le strutture formali della razionalità astratta con la dimensione storica del pensiero umano. Ciò pone evidentemente non pochi problemi. A cominciare dal fatto che una razionalità critica non può più essere confinata in un sfera astratta di simboli, sintassi logica e formalizzazioni. Essa può superare gli orizzonti del mondo ipotetico deduttivo costruito da Hilbert e misurarsi con altre idee e diverse prospettive, senza rinunciare alla propria funzione.
D'altra parte, l'apertura allo storicismo non deve in alcun modo costituire una rinuncia a difendere il valore conoscitivo dell'impresa scientifica e le possibilità umane di conoscere orgogliosamente rivendicate e mostrate da Kant. Ma i ricercatori, a loro volta, devono guardarsi dal rinchiudersi in una torre d'avorio, nella ristrettezza che lo stesso Enriques definisce la condizione di "chi sta sull'isola di Laputa", ben lontana dalle dinamiche sociale e dalle tensioni del mondo.
Scrivere la storia delle scienze può dunque offrire l'opportunità di comprendere i valori conoscitivi insiti nel loro svolgersi, e allo stesso tempo, evidenziare il fatto che le matematiche non sono qualcosa di scheletrico, quindi di "morto" strumento, ma hanno carattere "vivente", e "Enriques l'aveva inteso con la metafora dell'altalena avanzata nei Problemi della scienza, in quanto evidenzia la formazione e la costante trasformazione dei concetti".
(9) Tale metafora va vista nel suo contesto, che qui riportiamo per intero:

«Non vi è dubbio che la Scienza miri ad una conoscenza sempre più oggettiva. In ogni momento della sua elaborazione, essa lascia quindi fuori dalle sue esposizioni dogmatiche gli elementi che, nella conoscenza acquisita, appaiono subiettivi. Ma l'eliminazione del subiettivo dovrà essere spinta ancora innanzi in uno studio più avanzato, nel quale la correzione dell'errore che vi attiene, sia proceduta più oltre. E d'altra quegli elementi subiettivi, scartati come residui dall'eliminazione precedente, daranno qualcosa di obiettivo, vagliati con una nuova critica
Così il processo costruttivo della Scienza può paragonarsi al moto di un'altalena, che colui che vi è sopra tenti di spingere avanti il più alto possibile; ad ogni spinta in avanti corrisponde una oscillazione per cui diviene più pronunziato anche il movimento all'indietro, e ciò rende sempre più efficace la spinta. La Scienza riguardata nel suo aspetto genetico non sale soltanto ad una obiettività sempre maggiore, ma per contrasto spinge a vette più eccelse la subiettività delle rappresentazioni, che sono il suo modo di conquista.» (10)

Enriques fu consapevole del rischio di uno psicologismo, con tutto quanto vi è di arbitrario e insidioso in simile approccio, e quindi fu naturalmente condotto a proporre un'immagine della storia del pensiero umano "modellata su un'immagine della fisica" (Paolo Rossi - Federigo Enriques storico della scienza, in -a cura di O. Pompeo Faracovi - Federigo Enriques: approssimazione e verità - Belforte 1982) Ma, a sua volta, la fisica stessa è fondata "sulle esigenze della mente", e l'epistemologia tende a risolversi in psicologia. Le 'idee fondamentali' in quanto 'contengono il germe di ogni estensione o progresso della conoscenza' hanno un 'contenuto più ricco' di quello che può risultare dalla logica. Per questo, Enriques vide nel neoempirismo logico "lo spettro di una nuova scolastica". «I congressi parigini del 1935 e del 1937, in cui tra i relatori affiancati ad Enriques figurano pensatori come Carnap, Reichenbach, Schlick, Neurath, Frank, o, tra i francesi, Lautman e Cavaillès, testimoniano dello iato che si è creato tra l'approccio logico-linguistico dei neoempiristi e quello genetico di Enriques.» (11)
Nella relazione presentata all'Accademia dei Lincei del 6 febbraio 1938, Enriques approfondì questo iato sviluppando una ulteriore riflessione sul rapporto tra scienza e storia della scienza. Esso, per essere correttamente impostato, richiede che si debbano verificare due fondamentali concezioni: 1) la scienza non deve essere legata ad un criterio assoluto di verità. 2) la storicità non può che essere intrinseca al processo costitutivo della scienza.
«Ad esse - scrive Sava - va poi aggiunta la tematica dell'errore, che è visto non solo come costitutivo dell'indagine scientifica ma anche come modalità inscindibile dell'esercizio della razionalità. Infatti nella fallibilità si può scorgere che ha perso la connotazione della purezza illuministica perché si è completamente calata nella storia.
Interpretare le conoscenze scientifiche come verità assolute implica una visione antistorica della scienza, tale da rendere possibile esclusivamente una catalogazione di nomi e di date a cui riferire le varie scoperte scientifiche, tralasciando tutta la serie di tentativi e di errori che hanno accompagnato gli sviluppi della ricerca o, al massimo, ritenendoli degni della considerazione dello psicologo più che di quella dello scienziato. Sostenere il carattere approssimativo della scienza e la possibilità dell'estensione e della correzione progressiva dei suoi risultati significa, al contrario, ammettere il carattere relativo ed eminentemente umano del sapere. » (12)
Infatti Enriques scriveva: «Non c'è dunque una verità che si manifesti a noi come qualcosa di compiuto e d'esatto, esente da errori, ma soltanto verità parziali, indissolubilmente connesse all'errore, che costituiscono gradi di approssimazione; e così teorie suscettibili ognora di essere integrate in altre più ampie e precise, senza che possa mai segnarsi un termine al loro perfezionamento.» (13)
Sava mette correttamente in evidenza che in questo tipo di approccio genetico ed umanistico, Enriques rintracciò le fonti della scienza "in settori che a prima vista, sembrerebbero assai lontani, come l'arte o la religione: la ricognizione storica attesta, infatti, che la scienza rinascimentale è nata sulla riflessione e dalla rinnovata religiosità pitagorica dei neoplatonici." Ciò mette in chiaro la dimensione spirituale dell'impresa scientifica, frutto di un'attività dello spirito, e non come semplice scoperta passiva della realtà esterna. Ecco, in sostanza, dove Enriques e Gentile non paiono così distanti e contrapposti, anche se Enriques tutto sembrava tranne che un nazionalista. Infatti, rileva ancora Sava, sottolineare l'importanza della scienza per la cultura nazionale non vuol dire chiudersi in angusti confini territoriali, ma pensare piuttosto all'ideale di una cultura unitaria attraverso il confronto con tutte le culture.

 

 


(1) F. Enriques - I motivi della filosofia di Eugenio Rignano - ora in F.Enriques - Per la scienza. Scritti editi e inediti - a cura di R. Simili / Bibliopolis 2000
(2) Era la Presentazione della "Rivista di scienza. Organo internazionale di sintesi scientifica" La rivista era stata fondata da G. Bruni, A. Dionisi, A.Giardina, E. Rignano e F. Enriques. La direzione della rivista fu condivisa da Enriques e Rignano fino al 1915. Rignano la diresse da solo fino al 1930, anno della morte. Da quel momento la direzione fu assunta dallo stesso Enriques.
(3) F. Enriques - Problemi della scienza - Zanichelli - 2 ediz. 1910
(4) F. Enriques - Scienza e razionalismo - Zanichelli 1912
(5) F. Enriques - ivi
(6) F. Enriques - ivi
(7) F. Enriques - ivi
(8) F. Enriques - Il significato della storia nel pensiero scientifico - Zanichelli 1936
(9) M. Castellana - Federigo Enriques e il metodo storico in filosofia della scienza - saggio contenuto nella ristampa di Il significato della storia nel pensiero scientifico - a cura di Mario Castellana e Arcangelo Rossi - BARBIERI EDITORE 2004
(10) F. Enriques - Problemi della scienza - Zanichelli - 2 ediz. 1910
(11) B. Sassoli - Struttura e dinamica delle teorie scientifiche nell'epistemologia italiana e francese - in Introduzione alla filosofia della scienza - a cura di Giulio Giorello - Bompiani 1994
(12) G. Sava - F. E. "Sintesi scientifica" e storia della scienza - saggio contenuto nella ristampa di Il significato della storia nel pensiero scientifico - a cura di Mario Castellana e Arcangelo Rossi - BARBIERI EDITORE 2004
(13) F. Enriques - Importanza della storia del pensiero scientifico nella cultura nazionale - in "Scientia", XXXII, vol.LXIII, n. CCCXI-3, 1938

 


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