La fecondazione assistita
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Il cosmo è un palcoscenico e la vita è un passaggio sulla scena di questo palco: entri, guardi ed esci. Il cosmo è mutamento, la vita è opinione che si adegua. (Democrito)



A cura di Pasquale Antonio Riccio


 

L’espressione “Fecondazione assistita” indica le procedure capaci di permettere e favorire la fecondazione di una cellula uovo di una donna da parte di spermatozoi maschili nel caso in cui essa non avvenga in modo naturale.

Una data da ricordare è sicuramente il 25/7/1978: nasce Louise Brown la prima bambina concepita in provetta con la tecnica denominata “fecondazione artificiale”.

Le tecniche di fecondazione assistita possono dividersi in due tipi principali:

 

1)     Fecondazione assistita in vivo: le modalità utilizzate per questo tipo di fecondazione sono l’inseminazione artificiale e la cosiddetta GIFT.

L’inseminazione artificiale prevede, al di là delle differenze metodologiche, l’iniezione degli spermatozoi ( del partner se è omologa, di un donatore se è eterologa ), nelle vie genitali della donna.

La GIFT, invece, avviene attraverso il trasferimento intratubarico dei gameti: si iniettano cioè, all’interno delle tube femminili sia gli spermatozoi ( del marito o di un donatore ) che le cellule uovo ( della donna stessa o di una donatrice ).

 

2)     Fecondazione assistita in vitro: con questo tipo di fecondazione si cambia il luogo dell’inizio della formazione delle prime cellule embrionali che non avviene più all’interno della donna, ma in provetta. La principale tecnica utilizzata la cosiddetta F.I.V.E.T. ( fecondazione in vitro ed embrio-transfer ). È un procedimento complesso ed invasivo ( soprattutto per il corpo femminile ) che si svolge in due fasi: l’incontro dei gameti (le cellule riproduttive maschili e femminili) in provetta ( F.I.V. ) ed il successivo trasferimento degli embrioni che si sono formati nell’utero ( E.T. ).

Le ovaie della donna sono sottoposte al trattamento di agenti farmacologici ed a vari cicli di controlli e terapie generalmente quotidiane. Dopo 34-36 ore, in anestesia generale, viene effettuata l’aspirazione degli oociti (i gameti femminili o cellule uovo). Entro 18 ore può avvenire il processo di fecondazione che si compie all’interno di provette. Gli embrioni selezionati ( di solito due o tre ) sono quindi trasferiti nell’utero femminile ( o nelle tube di Falloppio ).

 

“Le questioni aperte”

 

La “fecondazione in vivo” omologa (i gameti appartengono ad entrambi i partner), sembra comportare esclusivamente problemi legati all’intrusione medica nell’intimità del rapporto di coppia, ed alla manipolazione del corpo ( soprattutto femminile ).

Quella eterologa (i gameti appartengono a dei donatori), invece, solleva questioni molto più complesse, soprattutto di natura giuridica.

Alcuni degli interrogativi che si potrebbero porre riguardano la paternità (nel caso il donatore sia un uomo) o la maternità (nel caso il donatore sia una donna) di un bambino: che diritti ha il donatore nei confronti del bambino? Ha diritto il bambino a conoscere il padre biologico? Sono tenuti il padre, la madre ed il bambino a conoscere l’identità dei donatori, in virtù anche del fatto che il nascituro avrà il corredo genetico del genitore biologico?

Riguardo questa domanda è opportuno ricordare che la scienza medica non è ancora in grado di escludere con certezza se un gamete maschile o femminile possa essere portatore di una qualche forma di patologia: le tecniche di oggi potrebbero essere capaci di individuare o escludere solo alcuni tipi di malattia.

Tuttavia, il fatto che la fecondazione in vivo lasci l’atto del concepimento della vita umana all’interno del grembo materno, evita un complesso numero di problematiche proprie della fecondazione in vitro.

La fecondazione in vitro richiama alla mente motivi faustiani: questa tecnica, come i versi del poeta tedesco Goethe, sembra rispondere alla volontà di appropriazione dell’origine, spostando i luoghi del concepimento tra laboratori e provette, aprendo le possibilità di intervento e manipolazione sull’origine stessa della vita.

Inoltre, da non trascurare è il problema di quella che è stata definita la “medicalizzazione della vita”: l’autonomia del singolo, la sua stessa possibilità di agire, sembrano cedere il posto alle scelte del “tecnico della vita”, un uomo anch’egli, ma investito di una sacra autorità che gli permette di gestire e controllare opportunità e modalità esistenziali di altri esseri umani.

Ciò comporta l’entrata in gioco del fattore medico all’interno del rapporto di coppia, la scelta, delegata a canoni presupposti scientifici, tra la vita, la morte e la crioconservazione (congelamento) degli embrioni.

 

“Il problema degli embrioni”

 

Particolare attenzione merita la questione relativa agli embrioni prodotti dalla tecnica di fecondazione artificiale in vitro.

La domanda fondamentale è: è possibile attribuire all’embrione umano lo status di “persona” ( e quindi preservarlo da qualsiasi manipolazione)?

Ci si chiede se sia giusto riconoscere all’embrione umano i diritti  propri degli individui sviluppati, primo fra tutti il diritto inequivocabile alla vita.

Il concetto di “persona” presenta esso stesso delle difficoltà inerenti alla sua stessa definizione, difficoltà non da poco. Sono, infatti, diversi gli intendimenti di tale concetto e per molti versi gli uni opposti radicalmente agli altri.

Nel dibattito odierno sullo status da attribuire all’embrione si affermano due ipotesi contrapposte:

-         La posizione, sostenuta principalmente dal Cattolicesimo, che attribuisce all’embrione lo stato giuridico di persona sin dalla formazione delle sue prime cellule basandosi sulla sacralità della vita.

-         La posizione convenzionalmente definita laica (ma non mancano tra i suoi sostenitori diversi religiosi ), che ritiene l’embrione al suo stato iniziale come un agglomerato di cellule privo di caratteristiche tali (ad esempio l’autocoscienza) da poterlo riconoscere come persona. Tuttavia i sostenitori di questa ipotesi hanno stabilito convenzionalmente un limite massimo di 14 giorni per poter intervenire sull’embrione. Intorno al 13-14 giorno compare la cosiddetta “stria primitiva”, segno di una primitiva diversificazione specialistica delle cellule che compongono l’embrione. Prima di tale periodo le cellule staminali embrionali sono definite “totipotenti” cioè capaci di potersi sviluppare in qualsiasi tipo di tessuto.

Questi due atteggiamenti si confrontano, spesso anche con toni aspri, in virtù del fatto che i sostenitori della seconda posizione ritengono la prima una sorta di freno allo sviluppo scientifico: una volta non riconosciuto l’embrione come persona sarebbe possibile, sulla base di alcuni studi scientifici, attraverso lo studio delle cellule staminali totipotenti trovare una cura per le malattie oggi incurabili. Alcuni scienziati ipotizzano, infatti, di poter controllare lo sviluppo di queste cellule verso una determinata e voluta specializzazione.

I propugnatori della personalità dell’embrione ribattono che gli studi in questo versante sono del tutto incerti facendo anche notare l’altissima propensione a mutarsi in cellule cancerogene delle cellule staminali totipotenti. Principalmente, inoltre, la loro avversione è dovuta anche al fatto che lo studio di queste cellule comporta la soppressione dell’embrione  stesso al momento del loro prelievo.

Risulta chiara la totale incompatibilità con una visione personalistica dell’embrione.

È opportuno ricordare che, oltre alle cellule staminali embrionali, esistono altri due tipi di staminali sui quali è comunque rivolta la ricerca scientifica:

-         le cellule staminali presenti nel sangue del cordone ombelicale;

-         le cellule staminali fetali che sono ricavate da aborti.

Lo studio di queste cellule potrebbe, comunque, per ammissione dell’intera comunità scientifica, risolvere i medesimi problemi che la ricerca sulle cellule staminali embrionali si propone di superare.

La sperimentazione su quest’ultime non esaurisce il campo di ricerca avente come oggetto gli embrioni.

Le moderne tecnologie, accompagnate dalle conoscenze in materia di corredo genetico che esse stesse hanno consentito, rendono possibile prevedere in anticipo alcune eventuali malattie che, l’embrione una volta divenuto adulto, potrà sviluppare.

Ciò introduce l’interrogativo se sia giusto o meno intervenire sul suo patrimonio genetico in modo da modificarlo ed eliminare il rischio di tali possibili patologie.

Inoltre seri problemi sorgerebbero quando, con la conoscenza del patrimonio genetico di un individuo, inizierebbero a farsi strada strane tentazioni, come quella di scegliere le caratteristiche fisiche del nascituro, o magari creare ad hoc un individuo con i desiderati tratti somatici.

Questa prospettiva inficerebbe non poco il rispetto della libertà dell’individuo e della sua libera autodeterminazione: partendo, ad esempio, dall’eliminare progressivamente patologie come  la sindrome di Down, poiché l’individuo che ne è affetto non potrebbe condurre una vita consona alla categoria sociale di appartenenza, si potrebbe arrivare al programmare gli “esseri perfetti” per la società.

Gli uomini diverrebbero le creazioni di altri uomini e verrebbero così privati della loro libertà di esseri nati da coincidenze naturali e non precostituite e conseguentemente anche della loro libertà sociale, essendo, in ogni caso, il frutto di scelte dettate dalle preferenze sociali dominanti ossi di criteri eugenetici.






La filosofia e i suoi eroi