FEDONE

 

 

A cura di Marco Machiorletti

 

 

 

 

 

Fedone di Elide, degli Eupatridi, fu catturato insieme con la caduta della sua patria e venne costretto a stare in una casa di malaffare. Egli riuscì ad allacciare i contatti con Socrate, e, dietro incitamento di quest’ultimo, Alcibiade, Critone e i loro amici lo riscattarono. Da allora, nuovamente libero, cominciò a dedicarsi alla filosofia. Fedone scrisse dialoghi, fra cui Zopiro e Simone. Diogene Laerzio nelle sue Vite dei filosofi menzionò anche altri titoli, però disse espressamente che alcuni non li ritenevano autentici.

Il nostro filosofo, a cui Platone dedicò l’omonimo dialogo, fondò una scuola nella nativa Elide.

Le testimonianze indicano che egli seguì due direzioni nella sua speculazione.

Il sillografo Timone lo accomuna a Euclide di Megara e sembrerebbe considerarlo, come Euclide stesso, un erista-dialettico.

Da altre fonti, in modo più determinato, risulta invece che Fedone si sia occupato prevalentemente di etica.

Nel suo Zopiro egli sosteneva che il logos (il logos socratico) non trova alcun ostacolo nella natura dell’uomo, nel senso che esso è in grado di dominare anche i caratteri più ribelli e i temperamenti più passionali.

Zopiro era un «fisiognomista»; egli riteneva di saper ricavare dalle fisionomie degli uomini il loro carattere morale. Basandosi sui tratti del volto di Socrate, egli sentenziò che il filosofo doveva essere un vizioso, suscitando la generale ilarità; ma fu proprio Socrate a difendere Zopiro, spiegando che tale egli era stato veramente, prima che il suo logos filosofico lo trasformasse.

Una conferma che tale fosse la tesi di fondo sostenuta da Fedone si trova anche in una lettera dell’imperatore Giuliano:

 

“Fedone riteneva che non ci fosse nulla di incurabile per la filosofia, e che in virtù di essa tutti potessero distaccarsi da tutti i generi di vita, da tutte le abitudini, da tutte le passioni e da tutte le cose di questo genere. Ora, se la filosofia avesse potere soltanto sugli uomini ben nati e ben educati, non ci sarebbe niente di straordinario in essa: ma che essa sappia portare verso la luce uomini che giacevano in siffatto stato [allusione allo stato di abiezione in cui era caduto Fedone], mi pare veramente essere prodigioso” (Giuliano, Epistola, 82, 445).

 

È evidente che Fedone approfondì un punto della filosofia socratica di cui aveva direttamente sperimentato l’efficacia. Infatti, come abbiamo visto, il logos di Socrate era stato capace di liberarlo dalla bassezza in cui era caduto restando prigioniero in una casa di malaffare.

La scuola di Elide ebbe breve durata.

A Fedone successe Plisteno, nativo di quella stessa città, il quale non impresse alcuno sviluppo alla Scuola che di fatto si esaurì.

In effetti, già una generazione più tardi, Menedemo e Asclepiade trasferirono la Scuola da Elide a Eretria.




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