PASQUALE GALLUPPI

A cura di Diego Fusaro


Nato, come Hegel, nel 1770 da nobile famiglia a Tropea, in Calabria, Pasquale Galluppi visse una vita raccolta di studi, lontana dalle vicende politiche del paese. Tuttavia non esitò ad aderire alla causa liberale quando, durante i moti degli anni '20, abbracciò la riforma costituzionale dello Stato e protestò vivamente, in seguito, contro l'intervento repressivo degli Austriaci. Riaccostatosi nel 1830 alla monarchia borbonica, per via delle speranze che allora accese negli animi l'avvento al trono del giovane Ferdinando II, fu dall'anno successivo titolare della cattedra di logica e di metafisica nell'Università di Napoli. Terminò la propria esistenza nel 1846. Tra i suoi scritti meritano di essere ricordati il "Saggio filosofico sulla critica della conoscenza" (1819-32), gli "Elementi di filosofia" (1820-1826), le "Lettere filosofiche sulle vicende della filosofia relativamente ai princìpi delle conoscenze umane da Cartesio sino a Kant" (1827) e "La filosofia della volontà" (1832-40). Il merito maggiore di Galluppi risiede nell'avere, con gli "Elementi di filosofia" ma, soprattutto, con le "Lettere filosofiche", introdotto nel nostro paese lo studio e la conoscenza della nuova filosofia europea, soprattutto quella kantiana: le "Lettere filosofiche" furono a ragion veduta definite il primo saggio in Italia di una storia della filosofia moderna, mentre gli "Elementi di filosofia" ebbero una larghissima diffusione nelle scuole. Le sue meditazioni sulla filosofia kantiana, però, di cui larga traccia è nel "Saggio filosofico sulla critica della conoscenza", non potevano non risolversi anche in influenza di tale filosofia sulla formazione stessa del suo pensiero. E infatti, Galluppi comincia con l'essere, secondo la tradizione culturale ancora dominante ai suoi tempi, in cui vigeva l'empirismo illuministico, in particolare il sensismo formulato da Condillac. Ma ben presto Galluppi se ne discosta, rimproverando al sensismo di approdare, con le sue ultime considerazioni, allo scetticismo: di essere, cioè, un vano gioco di elementi soggettivi, incapace per questo motivo di dare al sapere un fondamento di oggettività. Ecco perché egli oppone a quel sensismo un suo sensismo personale, che è, per così dire, profondamente rivoluzionato nella sua essenza dalla presenza di un'esigenza critica, senza che se ne accorga pienamente. Il processo conoscitivo, osserva Galluppi, non è o non consiste nella pura e semplice sensazione: bensì, bisogna distinguere in esso dalla sensazione una coscienza della sensazione, che è qualcosa di più, almeno in quanto può considerarsi come sensazione della sensazione, ovvero come un senso più potenziato e riflesso. Attraverso questa distinzione, Galluppi si innalza alla distinzione, di sapore kantiano, tra la materia del conoscere, data da mere sensazioni, e la forma del conoscere, propria del soggetto conoscente e consistente nel ricevere sensazioni e nell'ordinarle e rielaborarle secondo leggi sue. Sembra dunque che la riflessione galluppiana slitti verso il kantismo e la sua concezione della sintesi a priori. Senonchè è proprio il valore della sintesi a priori che sfugge a Galluppi: egli è convinto che anche Kant resti, come gli altri sensisti, chiuso nel soggettivismo delle forme del senso e dell'intelletto; e quindi, secondo Galluppi, pure Kant scivola nello scetticismo, alla pari di tutti gli altri sensisti. Per non aver colto il valore della sintesi a priori, Galluppi è, in un certo senso, risospinto su posizioni lockeane; proprio in virtù del suo avvicinamento alle tesi di Locke, egli è indotto a porre la coscienza della sensazione (che per Kant non è più sensazione, ma pensiero) sul piano stesso della pura sensazione, attribuendo questa al senso esterno e quella al senso interno. Gli pare di aver superato per questa via il soggettivismo sia dei sensisti sia di Kant: ma, come abbiamo accennato, la conoscenza che Galluppi ha del pensiero kantiano è ancora imperfetta e risente della limitazione dovuta al fatto che all'epoca l'opera kantiana era in Italia nota solo indirettamente (in esposizioni francesi e in una versione latina). La coscienza che ho di qualunque sensazione, dice Galluppi, è coscienza immediata, a un tempo, del me e dell'altro da me, del non-me. Attraverso le modificazioni che il non-me produce sul me ho, vale a dire, la certezza dell'esistenza di una realtà oggettiva distinta dal soggetto. Ne deriva che conoscere significa analizzare, distinguere dal me le modificazioni che il me ha subito in rapporto con non-me. E, insieme, significa comporre in sintesi, nell'unità del me, del soggetto, l'articolarsi stesso di tali modificazioni. Il conoscere consiste, allora, nel procedimento insieme analitico e sintetico della coscienza: nel senso che condizione di ogni analisi e radice, ad un tempo, di ogni sintesi è, appunto, la coscienza, il me. Ora, le idee fondamentali mediante le quali il soggetto sintetizza le sensazioni che riceve dal mondo esterno, con cui ordina cioè e compone i dati dell'esperienza, sono per Galluppi quattro: sono le idee di sostanza, di causa, di identità e di differenza. Esse, in realtà, adempiono alla medesima funzione cui adempiono, nel criticismo kantiano, le forme a priori (categorie) dell'intelletto, anche se con una rilevante differenza: che per Kant le categorie (anche quelle di sostanza e di causa) sono pure funzioni dell'Io, sono funzioni sintetizzatrici dell'esoerienza meramente ideali, per cui risulta problematico il loro rapporto con la realtà in sé, con la realtà oggettiva delle cose; o, addirittura, si corre il rischio di giungere a negare l'esistenza stessa di tale realtà in sé (come in effetti è avvenuto con gli idealisti). Per Galluppi, invece, sintesi puramente ideali (esclusive cioè del soggetto) sono quelle che la coscienza compie mediante le idee d'identità e di differenza, mentre sintesi reali (ovvero oggettive, tratte immediatamente dai dati stessi dell'esperienza e da essi condizionate) sono quelle che la coscienza compie mediante le idee di sostanza e di causa: e con l'aver riaffermato la validità oggettiva delle idee di causa e di sostanza, Galluppi trova anche agevole riaffermare, in polemica con Kant, le tradizionali prove dell'esistenza di Dio (tratte dalla nozione di causa prima); l'essere mutabile del me, dice Galluppi, non può non rinviare, come a sua causa, all'essere immutabile, che è Dio. " vi prego di porre attenzione alle seguenti dottrine, da me altrove stabilite: 1) La coscienza è un motivo infallibile de' nostri giudizj; 2) Questa coscienza ci mostra l'io come una sostanza, ed una sostanza semplice; 3) Il principio: non vi ha effetto senza una causa, ha un valore reale ed assoluto; 4) Da questo principio segue, che l'esistenza di un essere assolutamente necessario, immutabile, e creatore del me, e di tutto il finito, è incontrastabile ". Galluppi fonda la sua dottrina morale sulla coscienza del dovere e sulla consapevolezza della libertà del volere: e in questo non si distacca molto dal Kant della "Critica della ragion pratica". Attraverso la distinzione tra sintesi reali e sintesi puramente ideali, sembra a Galluppi di aver evitato il soggettivismo in cui è invece, a suo avviso, caduto Kant e di avere, come conseguenza, conferito al sapere un saldo fondamento di oggettività. Ma, in realtà, egli stesso resta nell'ambito del deprecato soggettivismo, perchèle idee di sostanza e di causa non sono, in definitiva, che idee della mente, di cui la validità oggettiva è asserita ma non provata. Questo, almeno, è il rimprovero che gli muoverà ben presto Rosmini, assorbito dalla ricerca di un più saldo fondamento del sapere.

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