VINCENZO GIOBERTI

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La restaurazione non solo della religione in quanto tale, ma della religione cattolica come fulcro della civiltà e della filosofia ad essa connessa fu l'obiettivo perseguito da Vincenzo Gioberti (1801-1852), che a partire dal 1830 aderì con entusiasmo alle idee mazziniane. Nato a Torino, sacerdote e cappellano di corte dal 1826, nel 1833 fu arrestato e costretto ad andare in esilio prima a Parigi e poi a Bruxelles, dove visse insegnando filosofia e storia. Il fallimento dei moti mazziniani in Savoia e in Piemonte, nel 1833, lo indusse a maturare un diverso programma politico, il neoguelfismo, mirante alla costituzione di una confederazione degli stati italiani con a capo il papa. A Bruxelles Gioberti compose i suoi scritti filosofici più importanti: la Teorica del sovrannaturale (1838), l' Introduzione allo studio della filosofia (1840), le Considerazioni sopra le dottrine religiose di Vittorio Cousin (1840), Degli errori filosofici di Antonio Rosmini (1841 e, in edizione più ampia, 1843), la Lettera sulle dottrine filosofiche e politiche di M. de Lamennais (1841) in francese, Del bello (1841) e Del buono (1843). Nel 1843 pubblicò il suo scritto più celebre, Del primato morale e civile degli italiani, nel quale sono delineati i presupposti teorici del programma politico neoguelfo: Gioberti è convinto, come Mazzini, che l'Italia abbia una missione da portare a termine, ma, a differenza di quanto pensava Mazzini, Gioberti è convinto che questa missione sia di stampo religioso. Accusato dai gesuiti di subordinare la religione ai problemi politici del momento, Gioberti rispose con i Prolegomeni al Primato (1845) e il Gesuita moderno (1846-47). Scoppiati i moti del 1848, tornò in Piemonte, fu eletto deputato e per breve tempo fu a capo del governo piemontese, ma dopo la sconfitta di Novara, nel 1849, tornò a Parigi, dove sarebbe morto poco dopo, lasciando vari inediti, tra i quali la Protologia e la Filosofia della rivelazione . Gioberti fu educato dai padri dell'Oratorio alla prospettiva del sacerdozio e ordinato nel 1825. All'inizio condusse una vita ritirata, ma gradualmente acquisì sempre più interesse negli affari del suo paese e nelle nuove idee politiche come anche nella letteratura del giorno. Parzialmente influenzato da Mazzini, la libertà italiana divenne per lui lo scopo principale nella vita, la sua emancipazione, non solo dai signori stranieri, ma anche da concetti reputati alieni al suo genio e sprezzanti della sua autorità europea. Questa autorità era associata nella sua mente alla supremazia papale, anche se in un modo più romanzato che politico. Si deve ricordare tutto questo quando si considerano quasi tutti i suoi scritti e anche quando si critica la sua posizione, sia in relazione al partito clericale al governo – i gesuiti — che la politica di corte piemontese dopo l'incoronazione di Carlo Alberto nel 1831. Fu perciò notato dal re che lo nominò suo cappellano. La sua popolarità e l’influenza in campo privato, tuttavia, erano ragioni sufficienti per il partito della corona per costringerlo all’esilio; non era uno di loro e non poteva dipendervi. Sapendo questo, si ritirò dal suo incarico nel 1833, ma fu improvvisamente arrestato con l’accusa di complotto e, dopo quattro mesi di carcere, fu bandito senza processo. Gioberti andò prima a Parigi e, un anno dopo, a Bruxelles dove vi restò fino al 1845 per insegnare filosofia e assistere un amico nella direzione di una scuola privata. Nonostante ciò trovò il tempo di scrivere diverse opere di importanza filosofica con particolare riferimento al suo paese e alla sua posizione. Essendo stata dichiarata un'amnistia da Carlo Alberto nel 1846, Gioberti (che era di nuovo a Parigi) divenne libero di tornare in Italia, o meglio, nel Regno di Sardegna, ma si rifiutò di farlo fino alla fine del 1847. Al suo ritorno a Torino il 29 aprile 1848 fu ricevuto con il più grande entusiasmo. Rifiutò la dignità di senatore che Carlo Alberto gli aveva offerto, preferendo rappresentare la sua città natale nella Camera dei Deputati della quale fu presto eletto presidente. Entro la fine dello stesso anno fu formato un nuovo ministero capeggiato da Gioberti, ma con l’incoronazione di Vittorio Emanuele II nel Marzo del 1849 la sua vita attiva giunse alla fine. Per un breve periodo infatti ebbe un posto nel consiglio dei ministri, anche se senza portafoglio, ma un diverbio irriconciliabile non tardò a venire e il suo trasferimento da Torino fu completato da un suo incarico in missione a Parigi, da cui non fece più ritorno. Rifiutò la pensione che gli era stata offerta e ogni promozione ecclesiastica, visse in povertà e passò il resto dei suoi giorni a Bruxelles, dove si trasferì dedicandosi all’ozio letterario. Morì improvvisamente di un colpo apoplettico il 26 ottobre 1852. Gli scritti di Gioberti sono più importanti della sua carriera politica; come le speculazioni di Rosmini-Serbati, contro cui scrisse, sono state definite l’ultima propaggine del pensiero medievale; anche il sistema di Gioberti, conosciuto come ontologismo, più nello specifico nelle sue più importanti opere iniziali, non è connessa con le moderne scuole di pensiero. Mostra un’armonia con la fede cattolica che spinse Victor Cousin a sostenere che la filosofia italiana era ancora fra i lacci della teologia e che Gioberti non era un filosofo. Il metodo per lui è uno strumento sintetico, soggettivo e psicologico. Ricostruisce, come afferma, l’ontologia e comincia con la formula ideale, per cui l’ Ens crea l’esistente ex nihilo. Dio è l’unico ente Ens; tutto il resto sono pure esistenze. Dio è l’origine di tutte le conoscenze umane (chiamate idee), che è una e diciamo che si rispecchia in Dio stesso. È intuita direttamente dalla ragione, ma per essere utile vi si deve riflettere e questo tramite i mezzi del linguaggio. Una conoscenza dell’ente e delle esistenze (concrete, non astratte) e le loro relazioni reciproche, sono necessarie per l’inizio della filosofia. Gioberti è da un certo punto di vista un platonico. Identifica la religione con la civiltà e nel suo trattato Del primato morale e civile degli Italiani giunge alla conclusione che la chiesa è l’asse su cui il benessere della vita umana si fonda. In questo afferma che l’idea della supremazia dell’Italia, apportata dalla restaurazione del papato come dominio morale, è fondata sulla religione sull’opinione pubblica; tale opera sarà la base teorica del neoguelfismo. Nelle sue ultime opere, Rinnovamento e Protologia si dice che abbia spostato il suo campo sull’influenza degli eventi. La sua prima opera, scritta quando aveva 37 anni, aveva una ragione personale per la sua esistenza. Un giovane compagno d’esilio e amico Paolo Pallia, avendo molti dubbi e sfortune per la realtà della rivelazione e della vita futura, lo ispirò alla stesura de La teorica del sovrannaturale (1838). Dopo questa, sono passati in rapida successione dei trattati filosofici. La Teorica è stata seguita dall’Introduzione allo studio della filosofia in tre volumi (1839-1840), dove afferma le ragioni per richiedere un nuovo metodo e una nuova terminologia. Qui riporta la dottrina per cui la religione è la diretta espressione dell’idea in questa vita ed è un unicum con la vera civiltà nella storia. La Civiltà è una tendenza alla perfezione mediata e condizionata, alla quale la religione è il completamento finale se portato a termine. È la fine del secondo ciclo espresso dalla seconda formula, l’ente redime gli esistenti. I saggi (inediti fino al 1846) su materie più leggere e più famose, Del bello e Del buono hanno seguito l’introduzione. Del primato morale e civile degl’Italiani e Prolegomeni sulla stessa e a breve trionfante esposizione dei Gesuiti, Il Gesuita moderno, ha senza dubbio accelerato il trasferimento di ruolo dalle mani religiose a quelle civili. È stata la popolarità di queste opere semi-politiche, aumentata da altri articoli politici occasionali e dal suo Rinnovamento civile d’Italia, che ha portato Gioberti ad essere acclamato con entusiasmo al ritorno nel suo paese natio. Tutte queste opere sono state perfettamente ortodosse e hanno contribuito ad attirare l’attenzione del clero liberale nel movimento che è sfociato sin dai suoi tempi nell’Unificazione italiana. I Gesuiti, tuttavia, si sono radunati attorno al Papa più fermamente dopo il suo ritorno a Roma e alla fine gli scritti di Gioberti furono messi all’indice. I resti delle sue opere, specialmente La filosofia della rivelazione e la Prolologia danno i suoi punti di vista maturi in molti punti. Tutti gli scritti giobertiani, tra cui quelli lasciati nei manoscritti, sono stati pubblicati da Giuseppe Massari (Torino, 1856-1861). Il Ministero dei beni culturali ha affidato la redazione dell'Edizione nazionale all'Istituto di Studi Filosofici "Enrico Castelli", presso l'Università La Sapienza di Roma.

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