GIOVANNI (IAN) HUS

 

A cura di Lidia Lanza



Nato probabilmente nel 1369, Giovanni (Ian) Hus svolse la sua attività di predicatore e teologo negli anni del regno di Carlo I (1346-78), imperatore con il nome di Carlo IV, caratterizzati, in particolare a partire dal 1382 (anno in cui Anna, sorella del re, sposò Riccardo d’Inghilterra) da un intensificarsi dei contatti intellettuali, oltre che diplomatici, tra Boemia e Inghilterra. Importante centro politico dell’impero e in contatto, come tale, anche con la sede pontificia di Avignone, Praga diveniva anche, in quegli anni, sede arcivescovile e sede universitaria, e, pertanto, luogo di incontro e di scambio tra professori e studenti provenenti dalle altre università europee. Hus vi svolse la sua prima formazione: studente dal 1394, venne eletto decano della Facoltà delle Arti nel 1401; baccelliere in teologia nel 1404, fu nominato rettore nel 1409. Praga era anche teatro di un movimento di riforma religiosa, che si intensificò a partire dal 1378, anno del Grande Scisma, e trovò il suo centro propulsore nella cappella di Betlemme, di cui Hus divenne rettore (1402). Risale all’anno del baccellierato in teologia l’inizio del commento alle Sentenze di Pietro Lombardo. Nel 1405 redige i suoi commenti alla Bibbia, organizzati secondo una struttura che ai vari concetti fa seguire i passi biblici che li illustrano e un’interpretazione che tende a comporre gli eventuali derivanti dalla Scrittura. Hus manifesta la sua adesione alle teorie espresse da Wyclif sin dal commento alle Sentenze, opera in cui, accanto ad una dottrina teologica tradizionale, compaiono le proposizioni fondamentali del realismo propugnato da Wyclif, che Hus adotta contro l’orientamento terminista e nominalista che prevaleva alla facoltà teologica. I legami dottrinali tra i due non sono, tuttavia, univoci. Innanzitutto, Hus non possiede un sostrato metafisico analogo a quello sotteso alla riflessione di Wyclif. Quanto alla riflessione teologico-ecclesiologica, è possibile ravvisare alcune differenze tra i due pensatori. È il caso, per non citare che un esempio, della dottrina eucaristica: nonostante le accuse mossegli dalle autorità ecclesiastiche, la sua interpretazione in proposito resta, dal commento al IV libro alle Sentenze sino al De coena Domini, scritto quando era prigioniero a Costanza, nell’ambito dell’ortodossia. L’influsso di Wyclif sulla riflessione e l’opera di Hus è di ordine pratico più che teorico: è infatti nella sua attività di predicatore e di riformatore della chiesa boema che Hus manifesta a pieno il suo debito nei confronti delle idee espresse da Wyclif. Di questi egli condivide la denuncia dello stato in cui versava, in quegli anni, l’istituzione ecclesiastica, esponendosi in difesa delle tesi wycliffite condannate a Praga. La condivisione, pur non incondizionata, delle teorie e delle istanze riformatrici di Wyclif, unita alla intransigenza della sua opera riformatrice e alla veemenza delle sue prediche, pronunciate in lingua ceca, gli alienarono le simpatie del clero boemo e dell’università: alla scomunica comminata dall’arcivescovo di Praga contro quanti manifestano una condivisione delle idee di Wyclif (1409) segue la decisione dello stesso di mandare pubblicamente al rogo i libri di Wyclif, nel quale si riconosce la matrice delle idee dei riformatori e di Hus. Colpito da scomunica nel 1412, Hus è costretto a lasciare Praga. Avendo rifiutato di ritrattare le proprie posizioni, a suo giudizio conformi a quanto tràdito dalla Sacra Scrittura, è condannato come eretico al rogo (1415). La sua critica allo stato in cui versava in quegli anni l’istituzione ecclesiastica trova espressione in numerose opere, sia in ceco che in latino. Bersaglio della sua opera di polemista e, in maniera ancora più diretta e veemente, dei suoi sermoni, è la corruzione delle istituzioni ecclesiastiche: la pretesa che vuole l’operato del clero insindacabile da parte dei fedeli laici, da queste asserita, è rifiutata con decisione da Hus. Il trattato De ecclesia manifesta con estrema lucidità la dicotomia esistente tra la chiesa istituzionale e la comunità dei cristiani uniti dal vincolo della fede, la preghiera e l’osservanza dei precetti divini. Solo questa chiesa, che Hus, seguendo Wyclif, chiama universitas praedestinatorum, è santa e cattolica e riunisce nel corpo mistico di Cristo i veri credenti. In maniera più accentuata rispetto a Wyclif, Hus ritiene che solo la condotta e le azioni rivelano chi è parte della comunità dei predestinati: solo costoro possono essere a buon diritto considerati vescovi o pontefici. Quanti occupano indegnamente una carica, a qualunque grado della gerarchia appartengano – ivi compresa la suprema autorità di tale gerarchia, il pontefice – non possono essere considerati detentori legittimi della carica che detengono, né veri cristiani: è lecito e doveroso, in questi casi, disobbedire a costoro e deporli dalla carica che rivestono. Supporta tale considerazione la convinzione che l’autorità pontificia è un’istituzione umana, che Hus, così come Wycliff, vede come contingente e temporale, sottolineandone la storicità e, in ultima analisi, l’inessenzialità. La condanna al rogo come eretico ha contribuito ad alimentare l’immagine di Hus eroe della rivolta boema, nella quale ampio spazio avevano rivendicazioni di carattere nazionale; nonostante le repressioni e le dissensioni tra le varie correnti, il movimento hussita si consolida, sino a giungere all’elezione a re di Boemia di un suo esponente, Giorgio Podedraj.

 

 

 


INDIETRO