JÜRGEN HABERMAS


TEORIA DELL'AGIRE COMUNICATIVO



Influenzato dalla distinzione di Popper dei tre mondi (mondo degli oggetti fisici, mondo degli stati mentali, mondo dei contenuti di pensiero), anche Habermas distingue tre diversi mondi: 1) il mondo oggettivo degli eventi; 2) il mondo sociale delle norme; 3) il mondo soggettivo dei dialoganti. A ciascuno di questi tre mondi corrisponderebbe una specifica modalità d’azione: al mondo oggettivo corrisponde l’“agire teleologico” (che mira cioè a raggiungere certi scopi prefissati), al quale corrisponde la verità proposizionale. Al mondo sociale delle norme corrisponde l’agire regolato da norme, a cui a sua volta corrisponde la giustezza normativa. Si ha poi l’agire drammaturgico quando si ha un attore che si autorappresenta dinanzi agli altri come se fosse sulla scena teatrale (ad esempio, il pugile o il poliziotto): a questa forma di agire corrisponde la veridicità soggettiva.
La partizione habermasiana riprende, in certa misura (in molti punti mutandola), quella compiuta a suo tempo da Weber in Economia e società, opera in cui individuava anch’egli quattro tipologie dell’agire (agire razionale rispetto allo scopo, agire razionale rispetto al valore, agire affettivo, agire tradizionale). L’
agire strategico (detto anche “teleologico” o “strumentale”) di cui parla Habermas è, per molti aspetti, una riproposizione dell’“agire razionale rispetto allo scopo” di Weber; alla base di esso v’è il presupposto secondo cui noi agiamo in vista di scopi ben determinati (perciò è anche detto “agire teleologico”), adottando una certa strategia. Ciò significa che a dirigere tale agire sono il calcolo dell’utile e dello scopo finale, un calcolo che è però chiamato a tener conto del fatto che il soggetto agente non è solo e sotto una campana di vetro, ma si trova invece ad agire in presenza di altri individui che agiscono come lui con razionalità strumentale e che dunque, perseguendo scopi simili o addirittura uguali, possono entrare in conflitto con lui. Significativamente Habermas dice che si ha agire strategico “se prendiamo le mosse da almeno due soggetti agenti, agenti in modo finalizzato, che realizzano i loro scopi mediante l’orientamento e l’influenza sulle decisioni di altri attori”. Secondo questa definizione, Robinson Crusue che, da solo sull’isola, agisce razionalmente rispetto allo scopo, non sta agendo strategicamente, giacché è il solo attore; si potrà dire che egli intraprende un agire strategico solo quando incontra Venerdì (e dunque gli attori sono due), anche se il rapporto di interazione tra i due si risolve rapidamente in quella che, per dirla con Hegel, potremmo definire come una “dialettica servo/signore”.
Se le norme dell’agire strategico sono – per dirla con Kant – “imperativi ipotetici” (se vuoi ottenere il potere, allora devi ricorrere alla forza e alla frode), nell’
agire regolato da norme le norme in questione possono essere accostate all’“imperativo categorico” kantiano. Infatti, si riconosce sì l’esistenza di una dimensione in cui vige la frode, ma si ritiene anche che, accanto ad essa, ve ne sia un’altra, coincidente con il mondo dell’agire morale e del dovere. Così – rileva Habermas – l’agire strategico fa riferimento ad un solo mondo, ossia a quello degli stati di fatto e degli eventi, al wittgensteiniano mondo del “tutto ciò che accade”; al contrario, nell’agire regolato da norme, l’immaginario dell’attore si è sdoppiato e, oltre al mondo reale configuratesi come un coacervo di fatti, riesce a vederne un altro, il mondo dei fini e dei valori. Scrive Habermas: “il concetto di agire regolato da norme presuppone relazioni tra un attore e due mondi: al mondo oggettivo degli stati di fatto esistenti, si aggiunge il mondo sociale […] dell’agire regolato da norme”. Scrive ancora Habermas: “come il senso del mondo oggettivo può essere spiegato in riferimento all’esistenza di stati di fatto, così il mondo sociale può essere spiegato in riferimento all’esistenza di norme”. Il terzo tipo di agire individuato dal filosofo tedesco è l’agire drammaturgico: stando a questa terza forma, gli individui agiscono ai fini di un’autorealizzazione simbolica, quasi come se si mettessero in scena e recitassero con grande enfasi. Tale tipo di agire è così connotato da Habermas: “dal punto di vista dell’agire drammaturgico, intendiamo un’interazione sociale come un incontro nel quale i partecipanti costituiscono gli uni per gli altri un pubblico visibile e si rappresentano reciprocamente qualcosa”. È particolarmente importante la nozione di pubblico, che pure era in certa misura presente sia nell’agire strategico sia in quello regolato da norme. Nel caso dell’agire drammaturgico, il pubblico acquisisce la fondamentale valenza di essere costitutivo di quell’agire stesso, che si svolge fine a se stesso (si può parlare, in questa prospettiva, di “agire per l’agire”); si tratta, evidentemente, di un agire espressivo in cui rientra l’arte stessa. È la forma di agire in cui meglio sono racchiuse e custodite le componenti sentimentali dell’azione umana (le passioni, le volizioni, le pulsioni, ecc). Infine, il quarto tipo di agire – quello su cui Habermas costruisce la propria opera – è l’agire comunicativo, prevalentemente rivolto all’intesa: si tratta di un agire in cui entra in gioco la dimensione linguistica, rientrante tra le caratteristiche che distinguono l’uomo dalle bestie: “si riferisce all’interazione di almeno due soggetti capaci di linguaggio e di azione che (con mezzi verbali o extraverbali) stabiliscono una relazione interpersonale”.

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