IBN KHALDUN


La vita

IBN KHALDUNNel XIV secolo, l’Impero Almohade, che aveva realizzato l’unificazione del Maghreb, era scomparso da circa sessant’anni ed il periodo del suo splendore era ancora più antico. Le rivalità dinastiche fra grandi stati dividevano il nord Africa: in Marocco la dinastia Merinide, nell’attuale Algeria il regno di Tlemcen, Bougie e Constantine, città-stato che basavano le loro ricchezze sul commercio dell’oro e dell’avorio proveniente dal Sudan, e in Tunisia la dinastia Hasfide. In Occidente la Riconquista cristiana cercava di mettere fine al destino dell’Andalusia (Al - Andalus), quasi ridotta alla gloria di Granada, mentre l’Oriente arabo subiva la terribile invasione mongola di Timur Lang (meglio conosciuto come Tamerlano). L’unità dell’Occidente arabo-musulmano, divenuto il simbolo del suo splendore, apparteneva al passato. Il pensiero e l’arte in genere subirono una fase di stasi; il conservatorismo aveva prosciugato la riflessione teologico-dogmatica, raggelato la controversia giuridica, ridotto le scienze e le lettere. E’ in questi tempi di lacerazione che si colloca la figura di Ibn Khaldun; egli nacque a Tunisi da una famiglia andalusa d’origine araba (della regione dell’Hadramaut), da molto tempo insediata a Siviglia. La famiglia Khaldun era una delle tre più potenti della città di Siviglia e contava grandi letterati, alti funzionari e politici. Non aveva però, un prestigio solo politico, il padre di Ibn Khaldun per esempio, come alcuni suoi avi, ad un certo punto della vita, abbandonò la carriera politica per consacrarsi interamente agli studi di grammatica e di filologia e soprattutto per darsi alla meditazione mistica. Quando Ibn Khaldun nacque, la famiglia si era da qualche tempo trasferita a Tunisi, dove la corte pullulava di rinomati scienziati e dove egli poté dedicarsi a svariati ed approfonditi studi filosofici, teologi ed astronomici. Già in questi anni, pare che egli si rendesse conto di quanto fosse importante un nuovo sforzo di conoscenza da parte dell’Islam, ma la difficile situazione socio-storica e politica pesava ancora sull’esercizio della ragione e sembrava impedirlo. Nel 1348 scoppiò la peste in Africa, molti familiari e amici di Ibn Khaldun morirono. A Tunisi l’ecatombe fu particolarmente estesa. A quest’epidemia si aggiunse la carestia. Niente più tratteneva Ibn Khaldun a Tunisi che decise di raggiungere Abelli, uno dei più celebri filosofi dell’epoca e seguace dei filosofi razionalisti come Averroé ed Avicenna, a Fes, in Marocco. Dal 1350 al 1372 fu al servizio di parecchie dinastie del Maghreb o della Spagna con diversa fortuna; percorse una carriera politica ricca di avventure e di intrighi, prese di contatti ed arbitraggi, con la segreta ambizione di trovare un uomo potente che gli permettesse di giocare un degno ruolo all’interno della corte. E’ proprio in questi anni di servizio presso le varie corti che egli poté farsi un’idea dei giochi politici e sociali che reggono i meccanismi della storia. Nel 1372 si ritirò nella fortezza di Ibn Salama nella regione di Orano al confine tra Algeria e Tunisia. Là, quest’uomo diviso tra scienza e azione, dotato di un’intelligenza imbrigliata negli schemi della tradizione, si ritirò a vita privata e in quattro anni di lavoro pensò e preparò il lavoro che lo portò alla gloria: la "Muqaddima", ossia l’introduzione alla voluminosa storia universale: "Kitab al-‘Ibar" (1375-1379). Di ritorno a Tunisi, cominciò a dare dei corsi di storia suscitando l'entusiasmo degli studenti, ma l'ostilità dei gruppi conservatori fu forte. In questo periodo di inaridimento, infatti, si guardava in maniera negativa ad un pensiero "creatore" ed innovatore come quello di Ibn Khaldun. D’altra parte, la personalità stessa di quest’uomo non piaceva ai suoi colleghi. La reazione dei giuristi provocò la sua partenza definitiva. Al Cairo, ottenne la cattedra di diritto ed un incarico dal grande qadi malikita, la cui amicizia perderà e ritroverà a più riprese. Per quattordici anni, si dedicò ai suoi corsi, rivide la sua storia universale alla quale aggiunse, verso il 1395, un'appendice biografica: il Ta'rif, introduzione alla sua opera, comunicazione di una coscienza creatrice qualcosa di più di un’autobiografia. Nel 1400, incontrò il mongolo Timur Lang che, presto, avrebbe conquistato Damasco. E’ questo un dramma che non dovette stupirlo ma che concluse la curva della sua riflessione e della sua vita (1406).

Il pensiero

Il primo passo di Ibn Khaldun fu di ordine epistemologico: assegnare alla storia un posto nell'organizzazione della conoscenza. D’altra parte, definendo il suo oggetto come se fosse la realtà vissuta dagli uomini, egli fissò i limiti e i modi di un'indagine atta a definire l'intelligibilità storica; ma bandì razionalmente un disegno fondato su ogni speculazione filosofica e la ricerca di una finalità. La riflessione sulla materia storica, i suoi fenomeni, le leggi d’evoluzione, non includono notizie di problematica filosofica. Ristretto nei limiti concettuali della sua epoca, il suo disegno si poneva come esplicativo di una realtà socioculturale. Grazie ai suoi tanti anni di esperienza presso le corti maghrebine ed andaluse, Ibn Khaldun comprese che esistono dei rapporti di causalità che reggono la realtà. Cosi, nacque in lui la concezione di una scienza nuova, quella del 'umran, studio di una socievolezza naturale, della comunità, che permette di comprendere il meccanismo dei comportamenti storici, ma, soprattutto, astrae la singolarità dei fatti per ricollocarli nella totalità che li contiene. Questo procedimento razionale, se esclude ogni esame della natura umana, sembra deviare anche da ogni ricorso ad un fondamento religioso. Il comportamento socio-politico del gruppo, come è descritto nella Muqaddima, è analizzato con la premessa della nascita di un ‘asabiyya, coesione di sangue, identità di interessi e di comportamenti che fonda un gruppo, il quale cerca di imporre la sua sovranità (mulk). In questo momento entra in gioco un altro fattore di civiltà: la religione, sovrastruttura sottomessa alle determinazioni di base (geografiche, socioeconomiche, ecc.) ed alle loro sollecitazioni. Ad ogni fase dell'evoluzione sociale corrisponde un tipo di comportamento religioso, dunque, la religione si inserisce in una situazione dove ha una funzione di ordine politico. Questo è ciò che sottende il movimento di un'asabiyya verso il mulk, di qui l’importanza del da'wa, propaganda ideologica che permette al clan, al tempo stesso, di manifestare il suo potere e di affermare il carattere ideale della sua consacrazione. Ibn Khaldun considerava la religione senza pretendere di ritrovare nella storia qualche grande disegno di Dio o un piano misterioso di cui provare a decifrare il progetto costrittivo. Egli, quindi, notava che il sentimento religioso si snatura e si scioglie nello stesso momento in cui si allentano i legami di solidarietà dell’asabiyya. Dalla premessa dell’asabiyya e della concezione del gruppo Ibn Khaldun passò ad esaminare le diversità tra città e campagna, tra sedentari e beduini, tra berberi ed arabi. Proprio quest’ultimo argomento ha creato non pochi problemi e facili speculazioni da parte di chi continua a sottolineare le diversità tra queste due etnie che sono presenti in nord Africa. Alcuni passi in cui egli parla della conquista araba come di una catastrofe o delle differenze tra nomadi e sedentari, arabi e berberi, sono stati male interpretati per interesse, da teorici del colonialismo come il Gautier; ma si tratta di affermazioni non veritiere e del tutto interessate. Dando al suo pensiero questa dimensione che elevava la storia al rango di una scienza, Ibn Khaldun non poteva mancare di sottolineare con forza le esigenze scientifiche della conoscenza storica. Egli fu un critico severo nei confronti dei suoi predecessori, denunciando i loro errori, la loro ignoranza, la parzialità e, soprattutto, l’incapacità a sottomettere i fatti al giudizio della ragione. In questo senso fu davvero innovativo. Nonostante le premesse teoriche della Muqaddima, però, la sua "Storia Universale" è stata duramente criticata, poiché contravviene ai principi esposti nell’introduzione. In effetti, l’autore sembra adottare lo stesso procedimento della storiografia araba: una cronologia imprecisa o sbagliata, giustapposizioni di versioni differenti, totale assenza di sintesi, analisi molto elementare delle cause e dei comportamenti. D’altro canto Ibn Khaldun è stato molto preciso sulla storia maghrebina e sui meccanismi che regolavano i rapporti sociali ed etnici. E’ in ogni caso indiscutibile che abbia gettato le basi per lo studio scientifico della storia e soprattutto della sociologia. L’Europa ha scoperto questa interessante figura di studioso ed uomo politico nel XIX secolo, negandogli inizialmente la grande influenza ed il pensiero geniale. Egli fu tra l’altro accusato da molti critici di "machiavellismo", "duplicità", mancanza di senso morale o di patriottismo. Niente è meno giusto. In effetti, è un abuso il voler trasporre nell’ambito maghrebino del XIV secolo delle nozioni di patriottismo che appariranno, almeno in Europa, molto più tardi. Per Ibn Khaldun la causa del sovrano di Fes o quella di Tlemcen non possedevano alcun contenuto ideologico particolare. Egli usava la stessa abilità in tutte le situazioni e al servizio di chiunque fosse.


INDIETRO