IBN TUFAYL

 




La vita e le opere

Abu Bakr Muhammad Ibn 'Abd al-Malik Ibn Muhammad Ibn Muhammad Ibn Tufaylal-Qaysi è noto all’Occidente come Abubacer. Si è stimato che possa essere nato nel XII secolo d.C., sulla base del fatto che egli fosse sulla sessantina quando incontrò Ibn Rushd nel 564 ah/1169 d.C.. nato a Wadi Ash (Guadix) un paesino spagnolo situato a circa sessanta chilometri da Granata in direzione nord-est, morì in Marocco nel 1185 d.C.. Ibn Tufayl fu il secondo più importante filosofo di religione mussulmana in Occidente, dopo Ibn Bajja. Eccezion fatta per alcuni frammenti di poesia, l’unica sua opera rimasta è Havy Ibn Yaqzan (Il Figlio vivente del Vigilante). Il titolo e i nomi dei personaggi della sua opera sono presi in prestito da due dei trattati filosofici di Avicenna, Havy Ibn Yaqzan and Salaman e Absal, mentre la struttura è tratta da un antico racconto orientale: La storia dell’Idolo e di sua figlia Kingand. Il titolo dell’opera coincide con il nome del personaggio principale, Havy Ibn Yaqzan. Nell’introduzione e nella conclusione, l’autore si rivolge direttamente al lettore. In altre parti dell’opera utilizza un "velo sottile", una forma simbolica, per esprimere il suo pensiero filosofico.

Breve introduzione

Allievo di ibn Bagiah (noto ai latini come Avempace), Ibn Tufayl (Abubacer per i latini) è autore di un’importante romanzo filosofico intitolato, come un’opera di Avicenna, Il Figlio vivente del Vigilante. In esso, egli immagina un bambino (di nome Havy ibn Yaqzan) che vive in un’isola dove si nasce senza padre e senza madre; egli apprende a conoscere gli animali e la natura, a costruirsi strumenti e a scoprire via via l’esistenza dell’anima e di un Dio creatore, buono e sapiente, alla cui contemplazione egli giunge progressivamente. Verso i cinquant’anni, Havy ibn Yaqzan incontra un saggio allevato nella religione di un profeta (cioè Maometto) e giunto per questa via alle sue stesse conclusioni. In questa maniera, ibn Tufayl intende riconoscere una concordanza di fatto tra religione e filosofia: la ragione umana porta allo stesso punto a cui porta la religione rivelata, senza che sussistano conflitti tra le due. La via della ragione è quella filosofica del puro concetto; quella della religione rivelata è invece la versione diretta al popolo che non sa fare buon uso della ragione. Il romanzo sarà tradotto nel XVI secolo col titolo Il filosofo autodidatta e si è anche pensato che, in tale forma, esso abbia influenzato Daniel Defoe nella stesura del suo Robinson Crusoe.

 

Riassunto dell’opera

Nell’introduzione dell’opera l’autore illustra alcune delle dottrine dei suoi predecessori, al-Farabi, Avicenna, al-Ghazali e Ibn Bajja. Al-Farabi è oggetto di una forte critica per la presunta inconsistenza della sua visione della vita ultraterrena. Non compare invece nessuna critica di Avicenna: al contrario, viene detto che la sua saggezza orientale verrà esposta nel corso dell’opera. Le idee di Ibn Bajja sono definite incomplete, in quanto esse menzionano il più alto grado della speculazione ma non quello ad esso ancora superiore, cioè quello della "testimonianza" o esperienza mistica. Sebbene l’esperienza mistica in al-Gazhali non venga messa in dubbio, pare che nessuna delle sue opere sulla conoscenza mistica siano mai giunte fino a Ibn Tufayil. L’introduzione si propone di annunciare gli intenti dell’autore, il quale intende esporre l’elaborazione della saggezza orientale di Avicenna e mostrare quanto l’opera si differenzi rispetto a quella dei suoi predecessori. La storia di Havy Ibn Yaqzan si svolge su di un’isola situata nei pressi dell’equatore sulla quale non vi sono esseri umani: fu lì che il piccolo Havy, appena bambino, venne trovato. I filosofi erano del parere che il neonato Havy fosse nato sull’isola spontaneamente, nel momento in cui la miscela degli elementi aveva raggiunto un equilibrio tale da essere degna di ricevere un’anima umana dal mondo divino. I tradizionalisti credevano invece che fosse il figlio di una donna che aveva deciso di tener segreto il suo matrimonio con un parente, Yaqzan, al fratello, che regnava su di un’isola vicina e non aveva trovato un uomo all’altezza di sposare sua sorella. Dopo aver allattato con cura Havy, la donna lo aveva deposto in una scatola e quindi abbandonato alle acque, che lo portarono fino sulle sponde dell’isola deserta. Una cerva che aveva appena perso il suo piccolo e sentiva ancora prepotente l’istinto materno sentì il pianto di Havy. Lo allattò, lo protesse dai pericoli e si prese cura di lui fino a che essa non morì, quando Havy aveva raggiunto i sette anni d’età. Ormai aveva imparato ad imitare i versi degli altri animali ed aveva coperto alcune parti del corpo, avendo notato che negli animali quelle parti sono coperte da pelo o piume. La morte della cerva trasformò la vita di Havy da un’esistenza di dipendenza in una di esplorazione e scoperta. Nello sforzo di capire quale fosse la ragione della morte della cerva, che non riusciva ad individuare osservando il suo aspetto esteriore, la sezionò con pietre appuntite e canne secche. Notò che ogni organo del suo corpo aveva una sua peculiare finzione e che la cavità sinistra del cuore era vuota. Perciò concluse che la sorgente della vita doveva essersi trovata in quella cavità, che ora aveva abbandonato. Egli rifletté sulla natura di quella sostanza vitale, sul suo legame con il corpo, sulla sua fonte, sul luogo che aveva abbandonato, sul modo in cui lo aveva fatto e così via. Realizzò che non era il corpo, bensì la sua entità vitale a costituire la cerva e la fonte delle sue azioni. In seguito a questa scoperta, perse l’interesse per il corpo della cerva, cui egli ora guardava come ad un semplice strumento. Benché Havy non arrivasse a decifrare la natura di questa sostanza vitale, osservò che tutti gli altri cervi assomigliavano alla cerva morta. Da ciò dedusse che tutti i cervi fossero animati dalla stessa sostanza vitale che aveva guidato l’esistenza della sua madre adottiva. Dopo questa scoperta della vita, si imbatté in un fuoco. Osservò che, al contrario degli altri oggetti naturali, che si muovono dall’alto verso il basso, il fuoco si muoveva dal basso verso l’alto. Questo gli suggerì che l’essenza del fuoco dovesse essere diversa da quella degli altri oggetti di natura. Continuò ad investigare altri aspetti del mondo naturale: gli organi degli animali, il loro ordine, numero, dimensione e posizione, così come le qualità che gli animali, le piante e gli oggetti inanimati hanno in comune tra loro e quelle che invece sono peculiari degli uni o degli altri. Grazie ad un perseverante, assiduo ragionare riuscì ad afferrare i concetti di materia e forma, causa ed effetto, unità e molteplicità, così come altri concetti generali riguardanti la terra e i cieli. Una volta giunto alla conclusione che l’universo fosse uno a dispetto della molteplice varietà dei suoi oggetti, si volse a considerare se esso fosse eterno o creato. Attraverso un ragionamento estremamente sofisticato scoprì che né l’idea di eternità né quella di creazione sono immuni da obiezioni. Per quanto non potesse razionalmente decidere se l’universo fosse eterno o creato, concluse che esso dovesse avere un causa dalla quale rimane dipendente e che questa causa o essere necessario non ha natura fisica e oltre a ciò ha essenza, anche se non nel tempo. Concluse inoltre che la cosa in lui che conosceva questa causa doveva essere di natura non fisica. Quanto più lontana dai sensi era questa cosa non fisica in lui, tanto era più chiara la sua visione di questa causa, una visione tale da infondergli la gioia più alta. Sebbene le sensazioni ostacolassero la sua visione, si sentì obbligato ad imitare gli animali provando sensazioni per conservare la sua anima animale, che gli avrebbe consentito di imitare i corpi celesti. L’imitare corpi celesti muovendosi, ad esempio, in circolo, gli fornivano visioni continue ma impure, perché l’attenzione in questo tipo di imitazione è ancora rivolta all’io. Con la conoscenza dell’essere necessario, Havy tentò di imitare gli attributi positivi dell’essere; con un tentativo di trascendere il mondo fisico, cercò di imitarne quelli negativi. L’imitazione dell’essere necessario per l’essere necessario, ovvero l’imitazione totalmente gratuita, implicava che Havy non prestasse attenzione all’io. Tale pratica gli consentì di attingere ad una visione pura. Non era soltanto l’io o l’essenza di Havy ad essere dimenticato in quello stato, ma la stessa sorte toccava a tutto ciò che non fosse l’essere necessario. Nessuna visione umana, nessun ascolto e nessun discorso potevano raggiungere quello stato, poiché esso si pone al di là, oltre il mondo della natura e dell’esperienza sensibile. Pertanto non può essere fornita nessuna descrizione dell’essere necessario, ma solo semplici segni, come Avicenna sostiene in Annotazioni e ammonimenti. Chi cerca una spiegazione di quello stato è simile a colui che cerca "il gusto dei colori in quanto colori". Le verifiche richiedono esperienza diretta. Utilizzando il linguaggio degli uomini, che è descritto come uno strumento inadeguato, per suggerire la verità di cui si dice Havy abbia fatto esperienza, si afferma dell’essere necessario che esso pervade l’universo così come la luce del sole pervade il mondo fisico. Cercando di esprimere l’inesprimibile, l’autore racconta che Havy comprese in quello stato che tutto è uno, infatti l’unità e la molteplicità, come altri contrari, esistono soltanto per la percezione sensibile. La tendenza panteistica neoplatonica è in questo punto evidente (fare riferimento a Essere necessario; Neoplatonismo). Su di un’isola vicina un gruppo di persone, tra le quali il re, Salaman, praticavano una religione ancora salda, che forniva alla gente simboli, non verità. Absal, un amico di Salaman, osservava i rituali di questa religione, ma, al contrario degli altri che si attenevano al suo significato letterale, egli indagò in profondità sulle sue verità nascoste. Inclinando per natura alla solitudine, che era in accordo con alcuni passi della Scritture, Absal si trasferì sull’isola su cui viveva Havy. Quando lo incontrò provò spavento, mentre Havy gli fece chiaramente intendere di non avere cattive intenzione. Absal allora insegnò ad Havy il linguaggio umano indicandogli gli oggetti e pronunciando le parole corrispondenti. Con l’acquisizione del linguaggio, Havy fu in grado di spiegare ad Absal il suo progresso nella conoscenza. All’udire ciò, Absal realizzò che ciò di cui Havy aveva fatto esperienza erano le realtà descritte dalla sua propria religione: Dio, gli angeli, i libri santi, i profeti, la vita oltre la morte e così via. Quando Absal descrisse le verità così come riportate dalla sua religione, anche Havy trovò che queste verità ben si accordassero con quanto aveva vissuto. Havy comunque non riusciva ancora a capire perché la religione di Absal si servisse di simboli e mostrasse indulgenza riguardo alle cose materiali. Havy si era dimostrato interessato a visitare l’isola vicina al fine di spiegare alla popolazione la verità pura. Absal, che conosceva la natura della gente, lo accompagnò riluttante. Quando di rivolse al gruppo di persone più intelligenti dell’isola, queste gli portarono rispetto fino a quando non provò ad andare oltre il significato letterale delle Scritture. Ma a quel punto cominciarono ad evitarlo, ciascuno distolto dalla verità dall’attività commerciale. Havy comprese allora che simili persone non erano in grado di cogliere direttamente la verità e che la religione è necessaria per la stabilità sociale e la sicurezza della società in cui vivono. Stabilità sociale e protezione, tuttavia, non sono in nessun modo garanti di certa felicità nella vita ultraterrena. Soltanto la cura del divino, che è rara tra gente di quel tipo, può dare una tale garanzia. Al contrario, la preoccupazione per le cose di questo mondo in cui indulge la maggioranza delle persone non conduce che all’oscurità o all’inferno. Benché le verità della ragione e la religione rivelata coincidano, la maggior parte di quanti aderiscono alla religione lo fanno per guadagnarsi successi terreni e pertanto non raggiungono che un’eterna miseria. Avendo realizzato che un tentativo di illuminare quegli individui incapaci di attingere la visione della verità pura avrebbe solamente sortito l’effetto di destabilizzarli senza prepararli alla felicità, Havy chiese alla gente di continuare a praticare la loro religione, limitandosi a metterli in guardia contro l’indulgenza per le cose del mondo. Havy e Absal fecero quindi ritorno sull’isola deserta per praticare il loro misticismo nella solitudine. Ibn Tufatl conclude la sua opera descrivendola come un qualcosa che "contiene una parte di discorso mai trovata in un libro né ascoltata in un’ordinaria conversazione". Come va interpretata questa affermazione alla luce di quanto dichiarato nell’introduzione, ovvero che l’opera consisteva in un’elaborazione della saggezza orientale di Avicenna? Forse la risposta può essere rintracciata nell’enfasi di Ibn Tufayl nella novità di un certo tipo di "discorso" o "conversazione", piuttosto che nella novità del suo contenuto. Se così fosse, l’originalità del lavoro sembrerebbe risiedere unicamente nella sua forma.


INDIETRO