MARX E L'IMPORTANZA DELLA CULTURA

E' per una semplice ragione che, nel I° libro del Capitale, Marx esordisce con un'analisi di tipo fenomenologico (relativa alla merce): egli non si considerava come uno “storico” che vuol prendere in esame l'uomo nella sua globalità (cioè anche negli aspetti extra-economici), ma si considerava come un politico che andava a cercare nell'economia (ritenuta, a torto, la scienza oggettiva più vicina alla comprensione della realtà umana) quelle contraddizioni che, a causa del loro carattere antagonistico, il capitalismo non era in grado di risolvere e che, per questo motivo, rendevano inevitabile la transizione al socialismo.

Se Marx, nel Capitale, si fosse comportato come uno storico, avrebbe dovuto mettere al primo posto il capitolo XXIV, quello dedicato all'accumulazione originaria, che pretende di spiegare, senza però riuscirvi, l'origine storica della merce.

Si badi, Marx poteva anche usare l'analisi fenomenologica come pretesto per avviare un discorso di tipo storico. Il fatto è purtroppo che nel Capitale l'analisi storica è soltanto un'appendice di quella economica: è la cornice che abbellisce il quadro.

Paradossalmente, il Marx fondatore della “scienza storica” (che dovrebbe essere la scienza del processo della libertà umana) ha fatto nascere la merce dal determinismo economico, il quale, a sua volta, non è che il frutto della “psicologia delle parti”, cioè del “ruolo teatrale” che ogni attore economico è costretto a svolgere sulla scena della storia (che è soprattutto “economica”). In sostanza la genesi del capitalismo è strettamente legata alla categoria hegeliana della “necessità storica”, cui nessun protagonista storico può sottrarsi.

La storia, in Marx, è in funzione dell'economia, non dell'uomo; e l'economia, a sua volta, è in funzione di un'ideologia politica che cerca nella prassi economica la conferma dei propri postulati.

Infatti, nel cap. XXIV Marx non riesce a spiegare, se non in maniera fenomenica, il motivo (ontologico) per cui è nato il capitalismo. Esordendo con queste parole: “Abbiamo visto come il denaro si converte in capitale...”, Marx ammette d'essere partito da un'analisi economica della fenomenologia sociale, subordinando ad essa la ricerca delle “cause storiche” vere e proprie di tale fenomenologia.

In tal modo egli perde di vista l'aspetto culturale delle scelte socio-economiche, cioè finisce col sottovalutare i fattori cosiddetti “sovrastrutturali”, relativi alla coscienza, alla libertà, alle idee etico-religiose, filosofico-politiche che gli esseri umani normalmente hanno e che costituiscono un patrimonio non meno importante delle condizioni materiali d'esistenza.

Questi aspetti possono essere capiti solo in maniera “storica”, cioè affrontando integralmente la vita dell'uomo. Una volta fatto questo, la stessa economia si troverà ad essere oggetto di una diversa interpretazione. Non a caso, partendo immediatamente, nel cap. XXIV, dalla constatazione della fine del servaggio, Marx ha evitato di considerare il momento in cui il contadino, lottando contro il feudatario, si chiedeva se accettare la prassi borghese che s'andava affermando nelle città, oppure se costituire un'alternativa sia al sistema feudale in decadenza, sia all'economia borghese in fieri.

Cerchiamo di spiegarci. Nel cap. XXIV Marx afferma, in maniera molto precisa, che “l'espropriazione dei produttori agricoli, dei contadini, e il loro allontanamento dalle terre costituisce la base dell'intero processo [capitalistico]”. Ora, nel tentativo di spiegare la fondatezza di questa tesi, che di per sé è ineccepibile, Marx non fa che trasformare la classe dei contadini in un soggetto del tutto passivo, che subisce il processo di espropriazione senza poter reagire politicamente.

Marx infatti esordisce in questo capitolo senza neppure citare le lotte sociali e politiche che portarono all'abolizione della servitù della gleba, quelle lotte appunto che avrebbero potuto far nascere, volendo, una società di tipo non-capitalistico. Egli semplicemente si limita a considerare l'abolizione del servaggio come un dato storicamente acquisito, che non avrebbe potuto non fare gli interessi, in ultima istanza, della classe borghese.

In realtà Marx offre anche una propria spiegazione del fatto che il capitalismo sarebbe dovuto comunque nascere. L'emancipazione dei contadini -a suo giudizio- era avvenuta in maniera troppo “individuale” (Marx parla di “liberi contadini autonomi”), perché essa potesse reggere il confronto con la grande proprietà fondiaria o con i metodi capitalistici che la borghesia applicava in agricoltura.

Per Marx l'emancipazione era avvenuta in maniera prevalentemente economica (in Inghilterra), e quindi appunto in maniera individualistica, cioè nel senso che i contadini si erano assicurati il possesso di un certo lotto di terra “qualunque fosse l'insegna feudale -dice Marx- sotto la quale potesse celarsi la loro proprietà”.

Viceversa in Italia -dice sempre Marx in nota- “il servo della gleba viene affrancato prima di essersi assicurato un diritto di prescrizione sulla terra. Perciò la sua emancipazione lo rende immediatamente proletario”. Anche qui però -come si può notare- Marx non spiega il motivo del processo di emancipazione del servo della gleba italiano, cioè il motivo per cui ad un certo punto si sia lottato per avere un diritto politico (la libertà) e non anche o non solo un diritto economico (la proprietà). Sembra addirittura che l'emancipazione dal servaggio sia stata concessa ai contadini dall'alto.

Marx, in sostanza, lascia intendere che l'emancipazione dal servaggio avvenne senza particolari conflitti di classe, in quanto i grandi proprietari (feudali) erano riusciti a conservare integralmente la proprietà delle loro terre. Essi non potevano avere paura dei contadini autonomi, in quanto sapevano che non avrebbero potuto essere rovinati dalla loro concorrenza.

Non può certo sfuggire a uno storico il fatto che qui i contadini autonomi vengono presentati senza alcuna personalità sociale e culturale, senza interessi di classe, senza alcuna ideologia politica. Essi subiscono passivamente l'espropriazione delle terre, proprio perché non hanno gli strumenti necessari per opporvisi. Al massimo si accontentano di poter continuare a utilizzare le terre comunali per il pascolo, il legname ecc. Il che non ha senso.

Marx spiega anche che il motivo principale della loro espropriazione fu determinato dal fatto che, essendosi rovinata con le guerre feudali (specie con la trentennale Guerra delle Due Rose [1455-1485]), la nobiltà non poteva far fronte alle nuove esigenze di vita della società borghese che in città si stava sviluppando. (Da notare che in questo passaggio di Marx la società borghese è “già nata”).

In particolare, ciò che convinse i nobili a espropriare i contadini fu l'espandersi della manifattura laniera fiamminga e il conseguente rincaro della lana. Di qui la necessità di trasformare le terre arabili in pascoli.

Ora, questo modo di presentare le cose è tutto meno che storico: 1) perché sembra sia stato sufficiente un semplice fattore congiunturale (l'aumento del costo della lana) per provocare un fenomeno sociale di una drammaticità inaudita e dalle conseguenze incalcolabili; 2) perché di fronte a tale fattore i nobili, che fino a quel momento sembravano strutturalmente legati alla mentalità feudale, si riscoprono improvvisamente dei veri e propri capitalisti; 3) perché i contadini vengono ancora una volta dipinti come soggetti passivi: prima sembrava che avessero ottenuto l'emancipazione gratuitamente, ora sembra che accettino l'espropriazione come una necessità del destino.

Qui non solo Marx manifesta dei profondi pregiudizi nei confronti della classe contadina, non solo compie un'analisi parziale del tipo di gestione della proprietà agricola, ma -quel che più importa- non fa assolutamente capire quali siano stati i meccanismi culturali che hanno indotto la nobiltà a diventare “borghese”.

Peraltro, nella sua analisi, il fattore congiunturale non è neppure endogeno, cioè nazionale, ma proveniente dalla piccola regione dei Paesi Bassi. Paradossalmente, la borghesia inglese, che è stata l'artefice principale della rivoluzione industriale, è del tutto assente in questo processo di espropriazione a carico dei contadini. Si ha cioè l'impressione che il capitalismo sia nato dalla semplice quanto improvvisa trasformazione del nobile in borghese.

Per concludere, certamente meglio degli economisti borghesi Marx ha capito il meccanismo di funzionamento del capitalismo, e ha senza dubbio saputo dargli una collocazione spazio-temporale molto precisa. Ma pur avendo capito questo dal punto di vista economico, egli non si è mai preoccupato -come invece ha fatto Groethuysen- di dare una spiegazione del motivo culturale per cui, ad un certo momento, è nata la civiltà borghese. Tutti i fenomeni culturali sono per Marx un epifenomeno dell'economia.

Ecco perché il concetto di “accumulazione originaria” è servito soltanto per confermare un processo già in atto e non per mettere sul tappeto le possibili varianti in cui il processo storico si sarebbe potuto sviluppare. Marx parte sempre da un dato di fatto: il capitalismo, e nell'analisi storica egli va soltanto a ricercare quelle condizioni necessarie che l'hanno reso inevitabile e che ne rendono non meno inevitabile il superamento.

Suo grande merito è stato quello di averci fatto capire che il capitalismo industriale ha delle origini storiche ben precise, che cioè non è un fenomeno “naturale”, e che, come tutti i fenomeni storici, è destinato ad essere superato, ma non ci ha fatto capire il motivo per cui, ad un certo punto, gli uomini hanno scelto questa formazione sociale e non un'altra.

E, non facendoci capire questo, non poteva poi spiegarci il motivo per cui gli uomini, pur in presenza delle condizioni oggettive di superamento del capitalismo, soggettivamente non lottano per una transizione al socialismo.

Né poteva offrire precise indicazioni circa il modo di condurre una lotta politica anticapitalistica, anche quando, oggettivamente, le condizioni del superamento del capitalismo non sono così evidenti come un economista rivoluzionario vorrebbe.

Enrico Galavotti galarico@inwind.it http://www.homolaicus.com/