BOLTANSKI E BAUMAN

 

Il soggetto e il processo di individualizzazione nella società odierna.

 

 

A cura di Valentina Cordero

 

 

 

 

Il libro preso in considerazione, è “ nato dal turbamento, comune a molti osservatori, generato dalla coesistenza tra un degrado della situazione economica e sociale di un numero crescente di persone e un capitalismo in piena espansione e profondamente riorganizzato “.[1]

I due sociologi Boltanski e Chiapello si propongono il tentativo di ricostituire, attraverso questo libro imponente e ambizioso, la sequenza delle scelte che dal ’68 ad oggi ( data questa che è simbolica della crisi del capitalismo ) hanno fatto si che un sistema, sfidato da una rivolta senza precedenti, non solo si sia in qualche modo ripreso, ma anzi domini oggi il campo, come se non conoscesse rivali e fosse promotore e trionfante nei suoi nuovi valori di libertà, rete e rapidità. Situazione questa opposta agli anni ’60 : ad un capitalismo che era in crisi e la critica era al suo punto più alto si sostituisce, da due decenni, la via libera del capitalismo e la “ quiete “ della critica. Esso è caratterizzato da una nuova vitalità e si è appropriato dei valori della critica : la libertà, la valorizzazione dello spirito e l’autonomia ; concetti che sono passati nel campo capitalista e assorbiti da esso per sconfiggere i propri oppositori. Infatti, mentre il “ secondo capitalismo “, che va dalla crisi del ’29 alla crisi petrolifera del ’73 aveva assorbito la critica sociale, il “ terzo capitalismo “ ha inglobato i valori della critica artistica, quella che da Baudelaire in poi si oppone alla bruttezza e alla pesantezza del capitalismo.

I dispositivi critici disponibili non offrono per il momento alcuna alternativa di peso. Ciò che può solo essere visibile è l’indignazione, il lavoro unitario, la sofferenza spettacolarizzata e in particolare modo, varie azioni, come possono essere gli scioperi, che sono incentrate su cause specifiche, ma che mancano di modelli di analisi rinnovati. E’ una società che non riconosce più alcuna alternativa a se stessa. Plausibile è parlare di vera e propria mutazione sociale, e questo termine rivela tutto il suo aspetto deterministico, inteso come un prendere o lasciare e nel adattarsi o nel morire all’interno della società. Contro il fatalismo dominante gli autori sostengono che non ha senso né l’utopia di un ritorno a un passato idealizzato, né l’accompagnamento sovente entusiasta di trasformazioni tecnologiche economiche e sociali. L’unico spiraglio è costituito da un rilanciare la critica e, quindi, l’azione, intesa come rilancio dell’azione politica come una messa in forma e una messa in opera di una volontà collettiva sul modo di vivere. All’interno del quadro appena delineato è utile soffermarsi e analizzare un particolare aspetto dell’analisi dei due autori e cercare di vedere come esso possa essere sviluppato da un altro autore, il sociologo Z. Bauman in Modernità liquida.

Prendendo come riferimento temporale gli ultimi quindici anni, Boltanski e Chiapello accreditano molta importanza al fatto di potere osservare il fenomeno di un “ ritorno del soggetto “. Vediamo come prima cosa il fatto che con il termine soggetto gli autori non stanno ad indicare un soggetto della storia, inteso come facente parte di un processo storico, quindi, come una costruzione  teorica, bensì un soggetto inteso come singolo individuo, preso in sé. Considerato però, all’interno della sfera del nuovo spirito del capitalismo, questo soggetto è per gli autori il soggetto degli economisti : questo conduce a mettere in luce colui che si caratterizza per la volontà di sapersi rivolgere solo ai propri affari, e che agisce in modo determinato dal momento che si muove solo ed esclusivamente in direzione di ciò che porta ad un soddisfacimento del proprio interesse personale ; questo è incentivato, inoltre, da tutte quelle misure che gli autori definiscono come realiste, che vanno ad agire direttamente sul singolo individuo e che si fanno promotrici di un puro benessere materiale. Senza alcuna obiezione questo orientamento individuale è da intendersi come egoista, tanto da portare l’individuo ad essere inteso come una “ monade irrelata e unicamente preoccupata della propria autorealizzazione “. Questa forma di individuo appare incapace di quelle forme strumentali di legame e di relazionalità tese a garantire una convivenza pacifica .

 I due autori mirano a sottolineare come questo fenomeno porti inevitabilmente, non tanto ad una ulteriore evoluzione, quanto piuttosto ad una vera e propria decostruzione degli “ insiemi “, intendendo con questo termine classi sociali, partiti, sindacati etc… Questo è di grande rilevanza, proprio perché in esse risiedeva la fiducia e la capacità di molte persone di essere all’interno di una prospettiva collettiva di perseguire il bene comune, che ormai sta diventando sempre più “ opaco “. Si pensi, ad esempio, a quanto questo luoghi potessero offrire l’opportunità di incontrarsi fisicamente  e al rapportarsi sul condividere o meno opinioni e concezioni riguardanti determinati argomenti, che portavano ad una ampia gamma di partecipazione per le persone.

Lo stesso U. Beck il 3 Febbraio del 1999 parlava di “ categorie zombie “ e di “ istituzioni zombie “, che sono morte ma ancora viventi. Quali esempi di tale nuovo fenomeno egli cita la famiglia e dice :

 

« Chiedetevi cosa sia oggi in realtà una famiglia. Che significato ha ? Ovviamente ci sono i figli, i miei figli, i nostri figli. Ma finanche la genitura, asse portante della vita familiare, inizia a disinteressarsi in presenza del divorzio [ … ]. Nonni e nonne vengono coinvolti ed esclusi senza poter minimamente partecipare alle decisioni dei figli. Dal punto di vista dei loro nipoti, il ruolo dei nonni va determinato da decisioni e scelte individuali ».

 

Dunque, tutte queste configurazioni e modelli di dipendenza, finirono nel crogiolo per essere riformati ; e per quanto riguarda gli individui, si ritrovarono coinvolti in modelli che erano fermi e insanabili. I modelli di cui parlano Boltanski  e Chiapello su cui si poteva confermare e che si potevano scegliere quali stabili punti di orientamento e dai quali ci si poteva in seguito far tranquillamente guidare, che oggi sono sempre più rari. E’ come se venisse alimentato il “ declino dell’uomo pubblico “ di Sennet e Lasch. I suddetti luoghi ( o sistemi ), infatti, sono ad un livello di tale “ decomposizione “ da non offrire più nulla, se non una sorta di indifferenza scettica, di vera e propria perdita di volontà di confrontarsi con gli altri. Il senso di insicurezza deriva, quindi, dalla percezione di una perdita di controllo sugli eventi che genera sfiducia, abbandono e isolamento. Questa condizione è come se fosse una condizione permanente, anche perchè siamo tutti immersi in quella che U. Beck ha definito la “ società del rischio “. Assenza di regole o scarsa chiarezza di quelle esistenti, l’anomia, è la peggiore sorte che possa capitare a un uomo impegnato a espletare i compiti che la vita gli riserva[2].

Insicurezza e illimitatezza : in questi due aspetti, apparentemente contrapposti, ma in realtà intrinsecamente speculari, si possono efficacemente riassumere le “ patologie “ dell’individuo che si dibatte tra l’autoconservazione e una “ sconfinata “ auotorealizzazione nell’inquietante oblio della vita e del bene comune.

E’ necessario che venga abbandonata ogni speranza di totalità futura come passata, per coloro che entrano nel mondo della modernità liquida, secondo l’espressione di Bauman. E’ giunto il tempo di annunciare la fine della caratterizzazione dell’essere umano come un essere sociale e che è definito dal proprio posto nella società : il principio della combinazione tra la definizione strategica dell’azione sociale non aumenta, e la difesa da parte dei vari “ atti sociali “, si può trovare all’interno degli individui stessi e non più nelle istituzioni. La comunità potrebbe quasi essere solo più considerata come un effimero prodotto della commedia dell’individualità in scena e non, invece, come rappresentante delle forze capaci di determinare l’identità umana. Questo è ciò che descrive Bauman, secondo il quale, oggi la modernità è da intendersi come frammentaria e individualizzata ; questo indica che è lasciata alla gestione dei singoli individui. E sebbene l’azione legislativa della società nel suo complesso, che persegue l’idea di miglioramento, non sia stata abbandonata totalmente, essa si è spostata verso l’autoaffermazione dell’individuo ; rappresentare i propri membri come individui è il marchio di fabbrica. Il concetto di individualizzazione sta proprio ad indicare la trasformazione dell’identità umana da una causa data in un suo compito e nell’additare ai singoli attori sociali la responsabilità sia di assolvere tale compito, sia delle conseguenze delle loro azioni. Infatti, il sociologo scrive di un mondo divenuto ormai irrimediabilmente “ liquido “, e questo sta ad indicare come, mentre nell’età moderna tutto era dato come una solida costruzione, ai nostri giorni, ogni aspetto della nostra vita può venire rimodellato artificialmente. Non solo, perchè nella prima fase della modernità, quella solida, vi era il tentativo di circoscrivere la posizione dell’individuo all’interno di leggi definenti la razionalità umana e inglobarla conseguentemente nel corpo dello Stato. Autonomia, quindi, “ de iure “. E’ proprio così, sottolinea Bauman, possiamo presupporre una qualche forma di società solo nella misura in cui si ha l’attività di individualizzazione, e presupporre gli individui visti alla luce della loro riformulazione e rinegoziazione della rete della società. L’individualizzazione è delineata come un destino e non una vera e propria scelta e, come Boltanski e Chipello sostengono, non è prevista la fuga o il semplice rifiuto di entrare a farvi parte.

 Ma non solo, perché sembra che gli autori parlino di un conflitto tra due enti : l’individuo e il cittadino. E di essi l’individuo costituisce proprio il maggior nemico del cittadino. Questo perché il termine cittadino si riferisce ad una persona che è incline a ricercare il proprio benessere, passando però attraverso il benessere della città; al contrario, invece, dell’individuo che non ha alcun interesse per la società e si dimostra, di conseguenza, diffidente. Basta, infatti, osservare come, partendo da quanto sostenuto inizialmente a proposito del ritorno del soggetto, ciascuno preferisce mirare al proprio interesse, perché qualsiasi cosa essi possono in qualche modo compiere nella società e qualsiasi vantaggio possono arrecare le loro azioni comuni, questa sorta di unione porrà sempre un limite alla loro libertà di potere perseguire il proprio affare.

 Sradicamento e lenta disintegrazione della nozione di cittadino. Si potrebbe pensare che in realtà le sole due cose che si possono attendere dal “ potere pubblico “ possono essere il rispetto dei diritti umani e avere la possibilità di seguire la propria strada “ in santa pace “ grazie alla vigilanza e alla sicurezza. Ma entrambe queste due cose vengono meno, e questo perché da una parte la vigilanza si è tramutata in una sorveglianza di beni e l’interesse generale si è tramutato in un puro e semplice egoismo. Il pubblico viene, dunque, colonizzato dal privato, e questo spazzando via tutto quanto non possa essere pienamente orientato verso il soddisfacimento individuale. Bauman, a questo proposito, chiama in causa una espressione di A. Schütz : “ la rilevanza topica “. Egli vuole sottolineare come l’individuo ha pochi motivi di accordare una “ rilevanza topica “ a qualunque cosa si opponga all’essere inglobata nell’ambito dell’interesse personale. Il soggetto non è solo smarrito e insicuro in questo quadro, ma è anche colonizzato da un carattere di onnipotenza.

La contrazione dello spazio, l’accelerazione del tempo, tutte le smisurate possibilità offerte da una tecnologia scissa da ogni altro fine che non sia quello della propria riproduzione autolegittimante, e le chances di un mercato carico di promesse, conferiscono di fatto nuovo spessore e consistenza all’illimitatezza e alla sue pretese di onnipotenza. Si configura, possiamo sostenere, come un “ turista “ in un mondo, che è per lui come una fabbrica di attrazioni passeggere e effimeri godimenti. La metafora che utilizza Bauman è proprio quella del “ mondo pieno di possibilità come un buffet ricolmo di prelibatezze che fanno venire l’acquolina in bocca “[3]. E vivere in un mondo siffatto appare senza ombra di dubbio come una cosa eccitante[4]. Ma tutte queste possibilità devono restare infinite, quindi, devono restare liquide e non pietrificarsi in una realtà perenne.

A questo proposito, Bauman cita Z. Melosik e T. Szkudlorek che si soffermano su questo concetto nel loro studio sulla identità. Secondo la loro concezione, vivere in mezzo ad un numero infinito ( in maniera però apparente ) di opportunità provoca il “ dolce sapore della libertà “ di diventare chiunque. Questo dolce sapore però nasconde un retrogusto amaro, nel senso che niente è stato in qualche modo raggiunto e tutto è ancora di là da venire. Il fatto che quel “ diventare “ intende assicurare le condizioni di “ essere qualcuno “ segnala in realtà la fine di questo processo, nel senso di “ una volta raggiunto il tuo fine non sei più libero e una volta che sei diventato qualcuno, non sei più te stesso “.

 Il desiderio per Bauman, diventa un obiettivo fine a se stesso, che è incontestato e incontenibile. E l’attività attraverso la quale questo desiderio si esplica è lo shopping. Con questo però Bauman non intende riferirsi il semplice frequentatore dei “ centri di consumo “, ma a qualsiasi momento inerente la vita quotidiana. E’ la ricerca infinita di migliori esempi e ricette di vita : è un mezzo necessario per guadagnarci da vivere, per ottenere un tipo di immagine che ci piacerebbe avere, e i modi per fare credere agli altri che siamo ciò che appariamo, fare nuove amicizie e liberarsi di quelle vecchie, attirare l’attenzione e sfuggire all’occhio indagatore e via dicendo. Il semplice e puro soddisfacimento dei bisogni tende, dunque, per Bauman ad assumere una nuova configurazione, quella del desiderio, che appare volatile ed effimero e che certamente è avulso dai bisogni.

Ma quello ma che lo colpisce di più, è il fatto che questo desiderio non è fondato sulla sua semplice regolamentazione, bensì sulla liberazione di capricciose fantasie. Quest’ultimo è da considerarsi come l’oggetto della nuova indispensabile sostituzione, data dal fatto che il bisogno era sempre stato l’essenza della solidità, in quanto inflessibile, ma ora sembra quasi essere sostituito da una forma di esso più fluida, correlata ai mutevoli e plastici sogni dell’autenticità. Il prezzo da pagare, risiede nella instabilità e transitorietà dei legami. L’unica vera libertà all’interno della modernità liquida, potrebbe essere forse quella del movimento dei capitali e delle èlite globali, a scapito della moltitudine, alla quale è riservata la sedentarietà e la dannazione a rimanere ancorati a un luogo. L’essere in qualche modo ancorati e immobili è un concetto che è da riscontrarsi anche in Boltanski e Chiapello, quando ritengono, infatti, a pag. 637 che a proposito della concorrenza coloro che ne escono vincitori sono senza alcun dubbio ì più forti, cioè i più mobili.

Secondo Bauman, partendo da ciò, si può arrivare a sostenere che in questa sorta di “ tenaglia “ tra chi è libero di muoversi e chi è confinato negli spazi circoscritti della nuova vita, vige un paradosso, che è apologia del potere che gli individui hanno nell’autodeterminare il proprio progetto di vita a costituire la Weltanschaung dominante nella società individualizzata. Si apre un abisso tra l’individualità come “ pratica di autoaffermazione “ e la limitata capacità di controllare il contesto sociale in cui questa autodeterminazione del proprio progetto di vita dovrebbe trovare il suo sfociare in un a condanna a morte delle soluzioni delle contraddizioni sistemiche. Infatti, di fronte alla libertà di movimento e la sedentarietà, la politica è ridotta ad una pura amministrazione dell’esistente, che significa dimostrare al capitale che è libero di andar via quando vuole. Il principio di individuazione, operante nel capitalismo flessibile, o nella modernità liquida, è inscritto, cioè è “ ingabbiato “ all’interno di contraddizioni sistemiche. Per Bauman, la massima esemplificazione di questa ambivalenza assunta dalla retorica dell’individualità è dovuta al declino del lavoro, detto in altri termini dell’ascesa della precarietà a sistema delle relazioni tra il capitale e il lavoro, il cui conflitto ha costituito e tutt’ora costituisce la contraddizione sistemica per eccellenza.

Tornando però al discorso del consumo, si può, afferma Bauman, sostenere come lo “ shopping “ deve essere considerato come una specie di rituale diurno volto a esorcizzare le orribili apparizioni dell’incertezza e dell’insicurezza notturne. Un rituale quotidiano, dunque. Bauman però vuole aggiungere come, ciò che conta di più e che permette il perpetuarsi di questa continua volontà di soddisfare i bisogni è proprio la varietà degli esorcismi. E fino quando quest’ultima resta in vita i “ fantasmi “ ( insicurezza ), così li chiama lui, restano in vita. In una società di consumatori individualizzati, tutto quanto è necessario fare con il sistema del “ fai da te “.

Partendo da questo, egli riprende una espressione di A. Camus, secondo il quale, le persone sono inclini a soffrire proprio perché sono incapaci di possedere appieno il mondo. L’aspetto forse innovativo rispetto a Boltanski e Chiapello risiede nel fatto che Bauman, certamente parte dalla constatazione come abbiamo già visto della volontà dell’interesse del singolo che porta però all’isolamento ; ma in questo mondo senza legami e senza confini, e che sembra, dunque esigere l’oblio delle radici e l’ascetica cancellazione delle differenze, il soggetto reagisce cercando la propria identità negli immediati dintorni di appartenenze tradizionali e familiari : nel tessuto circoscritto di quella che potrebbe essere definita nella comunità di affini, di una Gemeinschaft rassicurante.

 Con questo si vuole, quindi, mettere in luce il “ ritorno della comunità “ ; la comunità ci manca, sostiene Bauman, e questo è dovuto al fatto che oggi si manifesta il bisogno identitario. Bisogna però avere cautela nel considerare bene in che senso può egli parlare di comunità. Infatti, è come se alle spinte fredde e livellanti della Geselschaft globale, solo in qualche modo superficialmente unificate, si potesse rispondere con l’affermazione perentoria di identità forti e compatte, arroccate nel circuito chiuso di una Gemeinschaft esclusiva, garante di un reciproco e assiomatico riconoscimento.

Le varie “ lealtà primordiali “ diventano come veicoli di pulsioni arcaiche, che si coagulano nella difesa delle apparenze etniche e nazionali. Questo fenomeno, secondo Bauman, non è possibile liquidarlo solo come manifestazione repressiva al di fuori dell’Occidente ( fondamentalismi ), in zone del mondo in cui il diritto e la dignità umana sono ancora pervasi da oscurità. Ma il ritorno della comunità in forme violente ed esclusive, l’emergere cioè di una sorta di com’unitarismo tribale è un fenomeno che investe il fuori, ma anche il dentro dell’Occidente : si potrebbe presupporre che il noi tende a configurarsi come un “ pronome pericoloso “ , ad assumere forme autodifensive e protezionistiche di aggregazione, che sono spesso sostenute e rafforzate dall’esclusione dell’altro ( lo straniero, l’estraneo… ). Le comunità della paura, di cui parla Bauman, tendono a sottolineare il carattere segregazionista, e le comunità di pericolo a cui allude Beck, fondate sulla pura condivisione dell’ansia, sono solo una delle evidenti conferme di questo fenomeno. Siamo, dunque, di fronte alla desolante alternativa tra una perdita d’identità e un suo ritorno regressivo, e tra una assenza di legame e una sua rinascita in forme violente e distruttive. E’ come se il processo stesso di globalizzazione avesse molto più successo nell’aggiungere nuovo vigore all’inimicizia e alla conflittualità intercomunitaria che nel promuovere una coesistenza della comunità pacifica.

Ciò che colpisce di più, a questo proposito, è il fatto che davanti a questo scenario la critica ha smesso di mettersi in discussione : questo è quanto lo stesso Boltanski e Chiapello scrivono nel poscritto, secondo il quale è, appunto, necessario rilanciare la critica. E’ come se in qualche modo la nostra società fosse esente dal dovere di esaminare e dimostrare la validità dei suoi assunti taciti ed espliciti. Con questo però, tutti e tre gli autori non vogliono condurci a pensare che il pensiero critico stesso sia stato del tutto soppresso, e neanche ha reso i propri membri reticenti nel dargli voce. Al contrario la nostra società che, come è già stato esposto è una società di liberi individui, ha reso la critica e con essa la disaffezione verso ciò che è l’esplicitazione di tale sentimento, parte del tempo stesso inevitabile e obbligatoria della vita di ogni suo singolo.

Siamo esseri riflessivi che siamo in grado di ponderare ogni minima mossa e siamo in qualche modo raramente soddisfatti dei risultati che producono e sempre pronti a correggerli. La nostra riflessione però, non è mai abbastanza ampia da abbracciare i meccanismi complessi che collegano le nostre mosse ai risultati ottenuti e ne decidono le conseguenze. E’ plausibile sostenere che abbiamo forse una maggiore predisposizione critica e che forse siamo un po’ più audaci e intransigenti nella nostra critica rispetto ai nostri antenati, ma essa è incapace di incidere sulle nostre scelte inerenti la politica della vita.

Da una parte abbiamo, dunque, una società senza precedenti con maggiore libertà, dall’altra parte una impotenza senza precedenti. Secondo Bauman, la cosa importante è capire come è la società contemporanea, che ha dato un nuovo senso alla ricettività della critica : essa viene descritta paragonandola al modello dei camping per roulotte, in cui gli ospiti vanno e vengono. Nessuno di essi porta attenzione al modo in cui esso è gestito, perché a ciascuno sia garantito il necessario. Il loro soggiorno è breve e quello che chiedono è di essere lasciati in santa pace e non essere disturbati. In cambio di questo essi non contestano l’autorità dei responsabili e il prezzo. Nel caso in cui si sentano defraudati e ritengano che determinate promesse siano venute meno, possono reclamare il rimborso, ma quello che non faranno è mettere in discussione e rinegoziare la filosofia manageriale del posto e assumersi loro la responsabilità di dirigerlo. Il camping, in ogni caso, dopo la loro partenza rimarrà esattamente come era prima del loro arrivo.

Nonostante la società sia ricettiva alla critica, così come lo sono i responsabili del camping, essa si dimostra però essere assolutamente sorda alla critica. Bauman parla di un senso nuovo dato alla critica ; per capire ciò basta osservare alla differenza che intercorre con la modernità solida. Quest’ultima, infatti, appare come pesante, solida, compatta e sistematica ( quella liquida è leggera, fluida, capillare e organizzata come una rete ) e aveva una tendenza al totalitarismo.

 

« La società totalitaria fatta di un’omogeneità onnicomprensiva, compulsava e coatta spuntava costantemente e minacciosamente all’orizzonte, come sua destinazione finale, come una bomba a tempo mai completamente disinnescata o un fantasma mai completamente esorcizzato. Quella modernità era un nemico giurato della contingenza, della varietà, dell’ambivalenza, dell’indocilità e dell’idiosincasia, tutte anomalie cui aveva giurato guerra , e tutti si aspettavano che le prime vittime della crociata sarebbero state la libertà e l’autonomia individuale »[5].

 

Si possono ricordare alcune icone di questa modernità : la fabbrica fordista, caratterizzata dal ridurre  le attività umane a movimenti standardizzati e programmati meccanicamente, tanto da escludere l’impiego delle facoltà mentali e qualsiasi iniziativa individuale ; la burocrazia, affine al modello di Weber in cui l’identità e i vari legami umani venivano lasciati all’ ingresso per fare si che solo l’ordine e lo statuto avessero preminenzaa rispetto ai membri ; il modello del Panopticon adottato da M. Foucault come metafora chiave del potere moderno in cui gli abitanti erano incatenati al loro posto e confinati entro mura invalicabili e sorvegliati ; il Grande fratello, che è sempre pronto a premiare o a punire e il Konzlager, luogo in cui i limiti della malleabilità umana venivano testati con alcuni esami di laboratorio.

In retrospettiva, la teoria critica mirava a neutralizzare l’inclinazione totalitaria. Dunque, era necessario difendere l’autonomia dell’uomo, la libertà di scelta e l’autoaffermazione e il diritto di essere diversi. La società odierna ha in comune con quella solida il fatto di essere sempre immersa in una sorta di continua modernizzazione : volontà di fare piazza pulita in nome di un progetto migliore e sperare in un futura maggiore capacità di fare meglio le stesse cose, riguardo alla produttività e alla competitività, quasi come se essere moderni significasse essere in testa a se stessi.

La modernità odierna si distacca però per due elementi :

 

-         il primo è determinato dal crollo dell’illusione protomoderna. Con questo si deve intendere la convinzione che il nostro procedere lungo una determinata strada porterà ad un fine, un telos correlato ad uno stato di perfezione da raggiungere, di equilibrio e di soddisfacimento ;

 

-         il secondo aspetto è quello della deregolamentazione e privatizzazione dei compiti e dei doveri, come è già stato spiegato.

 

Ciò che è necessario fare è “ spianare la strada “  a una società autenticamente autonoma, è quella tra assunzione di responsabilità e ricerca di un riparo che permetta agli individui di scaricarsi delle proprie responsabilità. Ma quello che deve fare la sociologia, riferendosi ad una antica tradizione ippocratica, secondo la quale la vera medicina parte dal riconoscimento di una malattia invisibile, è la rivelazione delle cause strutturali che i segni e la manifestazioni apparenti rivelano solo attraverso una loro distorsione.

Occorre analizzare i vari patimenti caratteristici dell’ordine sociale che ha ridotto la miseria, moltiplicando gli spazi sociali offrendo condizioni favorevoli per la crescita senza precedenti di ogni sorta di piccole miserie. La società comincia ad essere malata allorché cessa di mettersi in discussione, e questo ostacola la coscienza dell’autonomia e promuove l’illusione dell’eteronimia.

Rimettersi in discussione significa, quindi, compiere un passo verso la cura, anche perché rimanere fermi e sostenere che non è possibile intravedere alcuna alternativa significa complicità. E questo non “ volere vedere “ altro corrisponde ad una forte integrante della miseria umana e una causa primaria del suo perpetuarsi.

 

 



[1] L. Boltanski, È. Chiapello,  Le nouvel esprit du capitalisme , Gallimard, Mayenne, 2007

[2] Bauman,  Modernità liquida , Ed. Laterza, Bari, 2007, pag. 9

[3] Ivi, pag. 62

[4] Ivi, pag. 61

[5] Ivi, pag. 15



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