Integrazione interculturale ed educazione

 

Di Antonietta Pistone

 

 

 

La società contemporanea del postmoderno si connota e contraddistingue come era della globalizzazione. Il nostro è un mondo nel quale gli scambi avvengono tra miriadi di informazioni diverse diffuse su scala planetaria attraverso la rete del web. Ciò che si scambia sono informazioni contro denaro. Se nella società industriale il fine dello scambio era il capitale, oggi è l’informazione ricevuta in tempo reale. Non esiste al mondo un punto che si possa definire come polo gerarchico preminente da cui partono le notizie, perché internet permette a chiunque di essere in ogni momento in qualunque parte del globo. Dal punto di vista educativo e politico si pone il problema della integrazione culturale delle differenti razze. Ma per far coesistere tradizioni e civiltà assolutamente diverse le une dalle altre è indispensabile pensare anche la differenza intercorrente tra le varie idee di uomo che da sempre hanno dominato la scena della storia del mondo. Oggi si parla di sviluppo integrale della persona umana, ripercorrendo a ritroso il cammino del filosofo francese Maritain, il quale riferisce ad una concezione globale dell’uomo, cattolicamente inteso come unità inscindibile di anima e corpo. In effetti, la tradizione filosofica classica dell’antica Grecia, con Socrate, Platone e Aristotele, propende per un uomo dominato dalla ragione e dall’intelletto. L’intellettualismo etico non è altro che l’espressione di questa limitata concezione umana, che interpreta l’agire morale come esclusiva conseguenza della scienza e della conoscenza. Tanto da far dire agli antichi che felice è l’uomo virtuoso e saggio, perché costui, conoscendo il Bene, compirà automaticamente il Bene. In tale posizione deterministica dell’etica antica è del tutto assente la nozione di volontà nell’agire morale. E l’uomo greco è fittiziamente libero, dal momento che gli manca la possibilità effettiva di esercitare la sua libertà di scelta tra le due alternative morali possibili: il Bene e il Male. La morale cattolica rovescia completamente il paradigma dell’intellettualismo etico filosofico. Con il messaggio evangelico e la predicazione di Cristo l’uomo nuovo acquista la sua piena e concreta libertà di scelta tra le due alternative etiche del Bene  e del Male. Conosco il Bene, tuttavia compio il Male - dice Agostino nelle Confessioni. A voler significare la grandezza tutta umana della caduta e del peccato che si misura con la scelta etica, consapevole e responsabile, ponderata e fortemente voluta. La libertà, nel pensiero cattolico, si esercita attraverso la volontà di agire ed operare per il Bene. La volontà, poi, si forma attraverso l’intenzione retta che permette all’uomo di collimare, nella sua vita, con le scelte eticamente compiute. L’uomo nuovo è unità inscindibile di corpo e anima. Il corpo è tempio dello spirito. La materialità della persona non viene mortificata e avvilita come avveniva per gli antichi. Se per Platone il corpo è sinonimo di peccaminoso, per il cattolico l’uomo non è pensabile se non attraverso il corpo. Queste differenti concezioni della persona umana sono alla base di pedagogie che compiono scelte educative completamente dissimili le une dalle altre. Per gli antichi ciò che andava educata era essenzialmente la ragione. Solo con Aristotele si comincia a scorgere nel sinolo, unità di materia e forma, una pedagogia che sia rivolta a tutto l’uomo. Ma persiste ancora l’intellettualismo, che svaluta la scelta morale compiuta per buona volontà. Con il cattolicesimo, e con la morale della chiesa ortodossa, l’uomo è totalità globale di spirito e materia corporea. Pertanto l’azione pedagogica deve esplicarsi di necessità su tutta la persona, e l’educazione diviene formazione integrale, che è trasmissione di contenuti e di patrimonio culturale, ma al contempo creazione di valori, vero bagaglio per l’esistenza quotidiana. La Chiesa ortodossa d’Oriente si divide nello scisma con la Chiesa cattolica d’Occidente quando a capo della chiesa occidentale viene posto il Papa, vicario di Cristo e depositario del potere temporale dello stato e di quello spirituale delle anime dei fedeli. Ciò che la Chiesa ortodossa contesta alla Chiesa cattolica è il dogma dell’infallibilità dei Papi, ai quali oppone la figura molto più ridimensionata del Patriarca di Costantinopoli. La spiritualità ortodossa è dinamismo, interiorità ed ecumenismo. Il peccato è una mutilazione della vita che è stata donata da Dio. Il digiuno abitua a controllare il corpo e permette di comprendere che esistono al mondo dei valori dello spirito che sono molto più importanti di quelli puramente materiali. Il digiuno è, così, inteso come nutrimento dell’anima, ed avvicina a Dio attraverso il recupero di alcune virtù, che invece il peccato allontana: la tolleranza, la serenità, il rispetto degli altri e della loro diversità, la generosità, l’altruismo, l’umiltà, la modestia. L’uomo deve riconoscere il bisogno di Dio e dell’Assoluto che rappresenta. Avvicinarsi a Dio, umile e perfetto, rende l’uomo simile al proprio creatore. La chiesa ha il compito di richiamare alla memoria quanto di buono si è perduto e abbandonato col peccato. Il sabato è giorno sacro dedicato al riposo. L’amore resta il fondamento dell’uomo e della Chiesa stessa. Anche per i cattolici l’amore è il fondamento della morale e del diritto, che trova i suoi presupposti ontologici in Dio. Essendo l’uomo fatto ad immagine e somiglianza di Dio stesso. “L’amore promette infinità, eternità-una realtà più grande e totalmente altra rispetto alla quotidianità del nostro esistere…”, esordisce Papa Benedetto nella sua prima enciclica “Deus caritas est”. Costruire a scuola valori veri per un’integrazione interculturale che avvicini uomini e civiltà profondamente differenti, e formare quell’identità europea che tutti sognano come un traguardo possibile per il futuro, implica impegno e coerenza da parte del corpo docente. Noi insegnanti abbiamo l’obbligo di promuovere una cultura che si riconosca in valori della e per la collettività. Il filosofo ebreo Lévinas in “Totalità e infinito” del 1961 cita la fenomenologia del volto dell’altro, sostenendo la positività  dell’incontro con la diversità, superabile attraverso il dialogo costruttivo e pacifico. Se i nazisti avessero avuto il coraggio di guardare negli occhi gli ebrei, probabilmente non ci sarebbe stato alcun olocausto. Hannah Arendt ne’ “La banalità del male” del 1963 spiega come le peggiori nefandezze della storia  siano state causate da esseri insignificanti, servi e schiavi del potere istituzionale, ridotti a burattini senza fili nelle mani dei potenti. Se non vogliamo che si ripeta lo scempio dell’uomo bestia di cui parla Nietzsche, che si trasforma nell’assassino di Dio, uccidendolo per grettezza e per ignoranza, precipitando nel nichilismo dei valori, dobbiamo aver fede nella scuola in quanto istituzione dotata di un compito assai gravoso nei confronti della società. L’educazione è liberazione delle coscienze dalla schiavitù dell’ignoranza e della forza bruta, emancipazione e riscatto dell’individuo, che si integra sempre più proficuamente con il contesto sociale di cui fa parte, secondo l’originale interpretazione del pedagogista americano Dewey. Le ragioni del cuore, quelle che le religioni dell’oriente ortodosso ci raccomandano, sono oggi da riscoprire con forza. Anche attraverso una nuova etica dei valori della comunicazione e dell’agire comunicante, come sostiene Habermas. Un  futuro di pace è possibile solo dove attecchisca una cultura del dialogo e del confronto reciproco tra le civiltà. Nessuna contrapposizione violenta può risultare vincente. L’educazione che auspichiamo, per essere integrale, deve rivolgersi a tutta la persona, e rivalutare quegli aspetti dell’intelligenza emotiva ed affettiva che hanno diritto ad essere coinvolti pienamente nel processo di formazione globale. La nostra società contemporanea rischia di diventare asettica e asfittica nella sua ossessione per la tecnologia e la razionalità scientifica. L’uomo ha un cuore che si sviluppa insieme con la sua mente. Dimenticare le ragioni del cuore, diceva Pascal, equivale a ridurre la persona a mera espressione matematica e geometrica della sua stessa esistenza. E noi certamente, in quanto docenti ed educatori, questo non lo vogliamo.

Antonietta Pistone

Docente di storia e filosofia

Articolo comparso sul Provinciale di Foggia, anno XVIII-n.5, maggio  2006


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