HANS JONAS



"La responsabilità è la cura per un altro essere quando venga riconosciuta come dovere, diventando “apprensione” nel caso in cui venga minacciata la vulnerabilità di quell’essere. Ma la paura è già racchiusa potenzialmente nella questione originaria da cui ci si può immaginare scaturisca ogni responsabilità attiva: che cosa capiterà a quell’essere, se io non mi prendo cura di lui? Quanto piú oscura risulta la risposta, tanto piú nitidamente delineata è la responsabilità. Quanto piú lontano nel futuro, quanto piú distante dalle proprie gioie e dai propri dolori, quanto meno familiare è nel suo manifestarsi ciò che va temuto, tanto piú la chiarezza dell’immaginazione e la sensibilità emotiva debbono essere mobilitate a quello scopo" (Il principio responsabilità).






INDICE


BREVE INTRODUZIONE AL PENSIERO

LA FILOSOFIA

IL PRINCIPIO RESPONSABILITA'

APPROFONDIMENTO SU IL PRINCIPIO RESPONSABILITA'




BREVE INTRODUZIONE AL PENSIERO

HANS JONASNato in Germania nel 1903, dove compì gli studi, ebreo, fu costretto dal nazismo ad emigrare, prima in Inghilterra e poi, in Palestina e in USA, Hans Jonas, morto nel 1993, è autore di importanti opere filosofiche. Allievo di Heidegger, profondamente turbato dalla non opposizione del maestro al nazismo, iniziò a riflettere criticamente sulla filosofia esistenzialistica e su tutta la filosofia occidentale, per individuare i motivi culturali che avevano indotto persone di grande valore scientifico a non assumere atteggiamenti responsabili, in momenti storicamente cruciali. Per Jonas il pensiero occidentale è stato caratterizzato dalla separazione tra uomo e natura, separazione che può spiegare lo scarso interesse per il mondo che ci circonda. Jonas ritiene urgente la formulazione di una nuova teoria etica, in tempi come i nostri in cui le morali religiose sono in crisi e lo sviluppo delle scienze pone problemi di scelte totalmente nuove. Perché l'etica valga universalmente deve, per Jonas fondarsi metafisicamente; si deve individuare nella struttura stessa dell'essere un bene, un valore che consenta di colmare il divario tra essere e dover essere. L'uomo deve adoperarsi per negare il non-essere, agendo in favore della vita e delle generazioni future. Jonas non ritiene la scienza negativa in quanto tale, ma nelle sue applicazioni con effetti non prevedibili, si devono temere catastrofi dovute a mancanza di controllo umano. Proprio la paura per la distruzione del genere umano deve indurre gli uomini ad agire responsabilmente. Jonas coglie bene la questione di fondo dei nostri sistemi politici , in quanto le nostre democrazie teorizzano la politica in termini di diritti, che hanno una prospettiva universalistica, però poi la praticano in termini di utilità, e quindi in modo particolaristico, perché le utilità o sono sempre le utilità di un gruppo nazionale contrapposto agli altri oppure, all'interno di un gruppo, determinate categorie che dicono di voler difendere i propri interessi. Jonas si spinge addirittura a sostenere la prospettiva di una tirannia ben intenzionata, di un governo di custodi che costituisca un problematico ma praticabile esito del tentativo di coniugare insieme una prospettiva universalistica con il relativismo politico. La sua non vuol essere affatto un'apologia dei governi tirannici quanto cercare una soluzione compatibile con i governi liberali e democratici odierni: un governo capace di dare risposte, competenze tecniche sorvegliate e controllate da un progetto universalistico ai problemi che rischiano di travolgere non soltanto le istituzioni esistenti ma addirittura le condizioni di sopravvivenza del genere umano. L' uomo di Jonas è costruito sulla tradizione teologica ebraica: per un verso è un'immagine del Dio sofferente e che si prende cura, per l'altro è l'immagine di un Dio che ha rinunciato all'onnipotenza e che accetta per questo l'ambiguità. L'ambiguità è il dato fondamentale dell'uomo così concepito. Ambiguità vuol dire poter scegliere tra il bene ed il male, di essere buono o cattivo, voler eliminare questa ambiguità specifica significa per Jonas, eliminare la libertà dell'uomo. Questa antropologia dell'autolimitazione dell'uomo è polemica nei confronti delle moderne antropologie che sottolineano la centralità dell'uomo, o meglio il dominio dell'uomo sulla natura. Jonas pone al centro della sua posizione filosofica la questione della sopravvivenza , in base alle minacce specifiche che si affacciano all'orizzonte contemporaneo. Triplice è la natura del rischio: in primo luogo la catastrofe nucleare, in secondo luogo il collasso ecologico, in terzo luogo il rischio di una manipolazione genetica che può condurre ad una perdita dell'unità e dell'integrità del genere umano, attraverso la creazione di sottoclassi biologiche tra loro differenziate. Così il problema fondamentale diventa l'obbligo nei confronti delle generazioni future che non possono avanzare diritti, anche se Jonas ci ricorda che è vero che le generazioni future non possono sostenere i loro diritti ma è altresì vero che non possono corrispondere i loro doveri, e quindi la relazione di reciprocità è incompiuta. Spetta comunque a noi decidere per le generazioni future.

LA FILOSOFIA

Nasce a Monchengladbach nel 1903 e studia filosofia in diversi atenei tedeschi (Friburgo, Berlino, Heidelberg, Marburgo), sotto la guida di Martin Heidegger e Rudolf Bultmann i suoi interessi si orientano su questioni religiose, in particolare il cristianesimo antico e la filosofia ellenistica, che analizza utilizzando schemi di ermeneutica heideggeriana. Nel 1928 discute la sua tesi di dottorato Augustin und das paulinische Freiheitproblem . Nel suo pensiero possiamo distinguere tre tappe:

a) studi giovanili a carattere filosofico- religioso;

b) studi di filosofia della natura (secondo dopoguerra);

c) studi di etica (tarda maturità).

a) L'opera che caratterizza principalmente il primo periodo è Gnosis und spatantiker Geist , uno studio tuttora fondamentale sullo gnosticismo, alla quale Jonas lavorò per quasi trent'anni. La genesi di tale lavoro è legata ad una relazione tenuta al seminario teologico di Bultmann, ma il primo volume esce solo nel 1934 e il secondo vedrà la luce venti anni dopo. In un saggio del 1952 Gnosticism and modern Nihilism Jonas ha spiegato come l'interesse per il pensiero gnostico derivi dalla problematica nichilistica dell'esistenzialismo, la condizione specifica dell'uomo gnostico è quella propria di chi ha consapevolezza dell' "essere-gettato", cioè di vivere in un mondo in cui ci si sente estraniati. Di mezzo tra i due volumi che compongono il suo lavoro sullo gnosticismo ci sono gli anni difficili della persecuzione nazista (sua madre morì ad Auschwitz), dell'emigrazione in Inghilterra e in Palestina, dell'arruolamento come volontario dell'esercito inglese nelle file del Jewish Brigade Group, della II Guerra mondiale (fu anche sul fronte italiano). Nel 1949 Jonas si stabilisce in Canada, sei anni più tardi si trasferisce negli Stati Uniti. Il fondamento del nichilismo antico e contemporaneo è il dualismo uomo/mondo, natura/spirito, e la seconda fase delle ricerche di Jonas concerne proprio gli studi sulla natura che rimandano sempre al riferimento heideggeriano. L'autore di Essere e tempo aveva indagato la natura dell'essere lasciando inesplorato l'essere della natura, su questo campo si muove ora la riflessione di Jonas i cui approfondimenti più significativi sono contenuti nella raccolta del 1966 The Phenomenon of Life. Towards a philosophical Biology . Lo studioso tedesco di contro il dualismo idealismo/meccanicismo propone di restaurare l'unità psicofisica dell'organismo biologico. Il percorso filosofico di Jonas ha il suo punto di arrivo conclusivo nella fondazione di una macroetica per la civiltà tecnologica e nell'analisi dei problemi di bioetica che ne sono il corollario. Con Das Prinzip Verantwortung ( Il principio responsabilità ) del 1979 Jonas sviluppa la tematica della vita sul piano dell'azione pratica avendo di mira un'etica globale per il mondo attuale. È un'opera ancora al centro del dibattito filosofico contemporaneo per l'attualità di alcune tesi concernenti la portata delle trasformazioni tecnologiche, la responsabilità verso le generazioni future, la critica dell'utopismo marxista ma anche per l'arretratezza e l'inattualità di alcune posizioni e in particolare l'impianto concettuale "quasi - aristotelico" fatto rilevare da Apel, il ritorno alla metafisica (nella concezione etica jonasiana c'è una significativa ispirazione teologica), la ripresa di problemi quali il rapporto spirito-corpo, finalità-causalità, essere-dover essere. Nel 1985 Jonas ha fatto seguire a Das Prinzip Verantowortung il volume di etica applicata, concernente soprattutto tematiche di bioetica, Technick, Medizin un Ethik. Zur Praxis des Prinzips verantwortung ( Etica, medicina e tecnica. Sulla prassi del principio responsabilità ). Hans Jonas muore a New York nel 1993. La conoscenza in Italia di Hans Jonas tra i non specialisti è relativamente recente, basti dire che Il principio responsabilità. Un'etica per la civiltà tecnologica è stato tradotto solo nel 1990 da Einaudi, la stessa casa editrice che nel 1997 ha tadotto Tecnica, medicina ed etica. Prassi del principio responsabilità. Alla diffusione del suo pensiero ha contribuito in certa misura anche la traduzione nel 1989 presso l'editore Il Melangolo del testo della nota conferenza jonasiana Il concetto di Dio dopo Auschwitz. Una voce ebraica (1984). La nota tesi del filosofo tedesco è che Dio non ha impedito la tragedia di Auschwitz " non perché non lo volle, ma perché non fu in condizione di farlo. Creando il mondo e donando all'uomo la libertà Dio ha rinunciato ad uno dei suoi attributi: l'onnipotenza ".

IL PRINCIPIO RESPONSABILITA'

 

 

Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica pubblicato da Jonas nel 1979 si inserisce nel contesto della Rehabilitierung der praktischen philosophie. Come è noto, dopo una profonda fase di "crisi" dell’etica sotto i colpi, per citare solo alcuni orientamenti, di quelli che Paul Ricoer ha definito i "maestri del sospetto" (Marx, Nietzsche, Freud), dell’emotivismo neopositivistico, del divisionismo weberiano, del pensiero postmoderno etc., negli anni ’70 si è assistito ad una rinascita dell’etica normativa la cui tesi di fondo afferma la possibilità di fondare razionalmente criteri, norme e principi in grado di orientare l’agire umano. La particolarità della posizione jonasiana è che egli recupera una concezione "forte" della razionalità pervenendo, di contro il divisionismo (separazione di Sein e Sollen) e la concezione avalutativa della natura, ad una fondazione metafisica dell’etica che molto ha fatto discutere. L’influenza della cosiddetta "responsabilità jonasiana", concetto che preciseremo in seguito, sull’etica contemporanea è stata straordinaria si pensi soltanto alla Diskursethik nelle versioni di Jurgen Habermas e di Karl Otto Apel, che pure non accettano il senso che Jonas dà alla razionalità, e all’importanza del concetto di responsabilità nel dibattico bioetico.

Jonas presenta la sua opera come un Tractaus tecnologico-ethicus che sviluppa le proprie tesi secondo un impianto concettuale rigoroso e sistematico, ciò che colpisce il lettore per quanto concerno lo stile dell’opera è comunque in primo luogo l’ "arcaicità" del linguaggio utilizzato che rende faticoso seguire il ragionamento. Lo stesso Jonas nella Prefazione ci ricorda che egli si era cimentato con la lingua tedesca dopo quasi cinquan’anni di frequentazione dell’inglese e ciò non poteva non avere una ricaduta sulla struttura complessiva della sua esposizione.

Il principio responsabilità è suddiviso in sei capitoli:

  1. La mutata natura dell’agire umano.

  2. Questioni relative al fondamento e al metodo.

  3. Sugli scopi e la loro posizione nell’essere.

  4. Il bene, il dover essere e l’essere: la teoria della responsabilità.

  5. La responsabilità oggi: il futuro minacciato e l’idea di progresso.

  6. La critica dell’utopia e l’etica della responsabilità.

  1. La mutata natura dell’agire umano

Il primo capitolo approfondisce le caratteristiche dell’etica antica per evidenziare la sua inadeguatezza rispetto alle nuove dimensioni dell’agire umano poste in essere dallo sviluppo della tecnica. Di qui la necessità di fondare un’etica della civiltà tecnologica.

Ambiti dell’etica tradizionale:

      a) guida immediata a compiere certe azioni

      b) determinazione di principi per tale guida

      c) fondazione del dovere di ubbidire a tali principi

Premesse dell’etica tradizionale:

    1) la condizione umana è data una volta per tutte

      2) di conseguenza si può determinare il bene umano in modo oggettivo

      3) la portata dell’agire umano (responsabilità) è strettamente circoscritta nello spazio e nel tempo

Jonas vuole mostrare che tali premesse non sono più valide. I "nuovi poteri" della tecnica hanno trasformato "la natura dell’agire umano" e ciò esige anche un "mutamento dell’etica".

Nell’antichità l’uomo con la sua azione non riusciva a scalfire l’ordine cosmico immutabile (Jonas procede qui ad una personale interpretazione del coro dell’Antigone di Sofocle), la città delimitava il campo della libertà e della responsabilità poiché la natura non era oggetto di responsabilità. Il problema etico ineriva il solo mondo sociale.

Alcune caratteristiche dell’etica tradizionale

      a) in tutta la sfera della techné, fatta eccezione per la medicina, ogni rapporto con il mondo extraumano era neutrale sotto il profilo etico

      b) l’etica era antropocentrica (limitata al rapporto interumano)

      c) l’essenza dell’uomo era ritenuta costante

  1. il bene e il male si manifestavano nella prassi stessa o nella sua portata immediata e non era oggetto di pianificazione a distanza (etica del "qui e ora" o della sincronia):

"Nessuno era ritenuto responsabile per le conseguenze involontarie di un suo atto ben intenzionato, ben ponderato e ben eseguito" - Hans Jonas, Il Principio Responsabilità, Einaudi, p.9)

Nuove dimensioni della responsabilità legate allo sviluppo della civiltà tecnologica:

1. Vulnerabilità della natura

Attualmente la responsabilità umana si è estesa alla natura, la restrizione della prossimità e della contemporaneità è cessata, le serie causali attivate dalla tecnica si presentano come irreversibili e cumulative, le condizione iniziali dell’agire umano non sono mai le stesse, l’esperienza non giova a nulla (ciò significa nella sostanza che una azione iniziata in un qualsiasi punto della terra, pensiamo alle immissioni di gas nell’atmosfera o ad una fuga radioattiva, ha conseguenze per l’ecosistema e quindi anche per l’umanità durevoli nel tempo e coinvolgono tutta l’estensione spaziale del pianeta).

Di conseguenza

2. Nuovo ruolo del sapere

Il sapere "diventa un dovere impellente" oggi sono in gioco "la condizione globale della vita umana" e "il futuro lontano", anzi la sopravvivenza, della specie che rendono necessario un autocontrollo del potere e una dottrina etica compiuta.

3. Diritti della natura

I fondamenti dell’etica vanno ripensati in considerazione del fatto che anche la natura ha dei diritti, non è sufficiente cioè ripensare soltanto alla dottrina dell’agire (aspetto etico) poiché è indispensabile anche ripensare la dottrina dell’essere (aspetto ontologico).

4. Etica della collettività

Al centro dell’agire c’è oggi non l’individuo ma la collettività per cui la moralità è penetrata nella sfera produttiva sotto forma di politica pubblica, il che deve determinare l’esigenza di nuovi imperativi

5. Assioma generale della nuova etica:

In avvenire deve esistere un mondo adatto ad essere abitato (Ivi, p. 15)

6. Nuovo imperativo etico:

Agisci in modo che le conseguenze delle tue azioni siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra.

Non è facile dare una fondazione teoretica al perché non abbiamo il diritto di scegliere o anche solo rischiare il non essere delle generazioni future in vista dell’essere di quelle attuali, anzi abbiamo un dovere rispetto a ciò che non esiste, perché in quanto non esistente, non ne avanza la pretesa. Tale fondazione rappresenterà il cuore della trattazione jonasiana, per ora egli assume come un assioma ciò che dovrà dimostrare in seguito.

Il nuovo imperativo etico a differenza di quello kantiano, "evoca " una coerenza, di tipo metafisico e non logico, non dell’atto in sé, ma dei suoi "effetti ultimi con la continuità dell’attività umana nell’avvenire", e l’ "universalizzazione" non è più ipotetica (" se qualcuno facesse così…"), "al contrario, le azioni sottoposte al nuovo imperativo, ossia le azioni della collettività, si universalizzano di fatto nella misura in cui hanno successo" (Ivi, p.17).

 

7. L’uomo stesso è diventato oggetto della tecnica :

Nella nuova situazione che si è determinata con lo sviluppo tecnologico l’uomo interviene sulla propria vita ad esempio con la manipolazione genetica, con il controllo del comportamento, prolungando la vita.

 

II. Questioni relative al fondamento e al metodo.

 

Principio fondante la nuova etica:

Non si deve mai fare dell’esistenza o dell’essenza dell’uomo una posta in gioco nelle scommesse dell’agire (Ivi, p. 47).

Questa non è da considerarsi come la scommessa pascaliana, poiché non ammette la possibilità di puntare sul nulla, obbliga invece di optare per l’essere.

L’agire umano ha sempre un elemento del gioco d’azzardo o della scommessa ma non si può scommettere su ciò che non ci appartiene né per i grandi rischi della tecnica vale "la garanzia della causa condizionale" per cui in alcuni casi, quando ne va del futuro, è possibile mettere in gioco la totalità degli interessi altrui.

Nell’etica della responsabilità viene meno la reciprocità, non ha valore l’argomento secondo cui il non-essente non può avanzare le pretese per cui non ha diritti e se non ci sono diritti non ci sono doveri.

La nuova etica della responsabilità o etica del futuro implica un dovere verso l’esserci dell’umanità futura e un dovere verso il suo essere-così che deve essere fondato.

Il primo dovere sembra non necessitare di fondazione perché la sopravvivenza è data per scontata, in realtà il secondo dovere si basa sul diritto dell’esistenza che significa riconoscimento che all’altro deve essere garantita la possibilità di assolvere al proprio dovere di autentica umanità.

La responsabilità jonasiana è unilaterale.

1° imperativo categorico: che ci sia una umanità

Tale imperativo è insito non nell’etica ma nella metafisica in quanto dottrina dell’essere il che "contraddice i dogmi più consolidati del nostro tempo: che non esista una verità metafisica e che dall’essere non sia deducibile nessun dovere essere" (Ivi, p. 55-57).

Il dover essere ha dunque un fondamento metafisico. Qui Jonas infrange il dettato della cosiddetta "legge di Hume".

Questione :

L’uomo deve essere? Che cosa significa che qualcosa deve essere? Deve esserci qualcosa o il nulla ?

Una condizione umana può essere giudicata migliore di un’altra e costituire così un dover essere per la scelta, ma rispetto ad entrambe si può optare per il non essere dell’uomo che mette a riparo da ogni obiezione.

Jonas ritiene "che si può scegliere il non essere in luogo di tutte le alternative dell’essere se non è riconosciuta un’assoluta priorità dell’essere rispetto al nulla. Quindi la risposta alla questione generale assume un importanza reale per l’etica" (p. 58).

Perché esiste qualcosa e non il nulla ? Perché qualcosa deve avere la priorità sul nulla, qualunque sia la causa, per cui viene all’esistenza?

La domanda sul dover essere diventa così una domanda di valore.

Essere = valore

Non essere = né valore né disvalore

La questione etico-metafisica del "dover essere dell’essere " (Seinsollen) si sposta su quella logica relativa alla teoria del valore:

"Soltanto dalla sua oggettività (del valore) potrebbe essere dedotto un oggettivo ‘dover essere dell’essere’ e quindi un’obbligazione alla sua salvaguardia, una responsabilità verso l’essere" (Ivi, p. 62).

 

 

III. Sugli scopi e la loro posizione nell’essere.

 

Rapporto valori/ scopi

Lo scopo è ciò per cui una cosa esiste e per la cui realizzazione o conservazione si svolge un processo o si intraprende un’azione.

Il giudizio di valore concerne l’adeguatezza degli esseri rispetto agli scopi.

Si può parlare di finalità per gli oggetti naturali "involontari"?

Secondo Jonas la natura, proprio perché ha degli scopi ha dei valori (non è avalutativa), il problema è dimostrare che tali valori sono oggettivi (in-sé), legandoli al concetto di bene e rendendoli quindi vincolanti per noi (doveri). Qualora difatti tali scopi fossero soltanto soggettivi potremmo non riconoscerli sulla base della nostra libertà (Ivi, p. 97-98).

 

IV. Il bene, il dover essere e l’essere: la teoria della responsabilità

Fondare il "bene" o il "valore" nell’essere significa colmare il presunto " divario tra essere e dover essere" (Ivi, p. 101), respingere la "legge di Hume".

Se il bene o ciò che vale è tale a partire da se stesso allora lo possiamo definire come quella cosa la cui possibilità richiede l’esigenza della sua scelta (dover essere) posto che ci sia una volontà in grado di percepire e di tradurre in atto , quell’esigenza.

L’imperativo non può scaturire soltanto da una volontà che comanda (ad esempio Dio - persona), ma anche "dalla pretesa immanente di un bene-in-sé alla propria realtà".

Per Jonas la natura prefiggendosi negli scopi o dei fini pone anche dei valori e ciò è ammissibile sulla base di un "assioma ontologico":

"Nella capacità di avere degli scopi in generale possiamo scorgere un bene-in-sé, la cui infinita superiorità rispetto ad ogni assenza di scopo dell’essere è intuitivamente certa" (ivi, pag. 102).

Tale superiorità si avvale di una propria intuizione evidente: in ogni scopo l’essere dichiara in senso assoluto di essere migliore del non essere. Il riconoscimento come assioma è oggetto di una scelta metafisica che non può legittimarsi oltre.

Il si alla vita è un no al non-essere, mediante tale negazione "l’essere diventa l’istanza positiva, cioè la scelta permanente di se stesso. La vita in quanto tale, nel pericolo del non-essere che è immanente alla sua essenza, è l’espressione di quella scelta. Quindi in modo soltanto apparentemente paradossale, è la morte, ossia il poter morire, in quanto possibilità data in ogni momento e la cui dilazione si verifica anch’essa ogni momento nell’atto dell’autoconservazione - ciò che pone il suggello all’autoaffermazione dell’essere: per il suo tramite quest’ultima passa attraverso i singoli sforzi di esseri individuali" (Ivi, p. 104).

Nell’uomo il si alla vita che opera ciecamente acquisisce una forza vincolante nella sua libertà cosciente. L’uomo deve far sua questa affermazione ed imporre alle proprie facoltà la negazione del non-essere poiché è in grado di distruggere il lavoro teleologico della natura.

Il passaggio dal volere al dovere rappresenta il punto critico di ogni teoria etica. Perché limitare l’arbitrio dell’ uomo il cui esercizio illimitato costituisce il suo fine naturale come può diventare dovere ciò che è da sempre volontà dell’essere?

Jonas rileva come ogni scopo che mi pongo è legittimamente come "valore" soltanto perché vale la pena perseguirlo (o rinunciarvi qualora non sia perseguibile), egli postula perciò che ci sono scopi forniti o meno di valore indipendentemente dalla realizzazione o meno dei nostri desideri.

E’ in tale ambito che si può parlare di dovere, di scelta e di bene in sé, cioè indipendente dalla volontà. Il "segreto" o il "paradosso" della morale è che l’io deve essere dimenticato a favore della causa ( il bene in sé) affinché diventi un sé superiore (che è bene in-sé).

Ciò che motiva l’agire morale non è la legge etica (formalismo), ma l’appello intramondano del bene-in-sé possibile che si contrappone alla mia volontà e pretende ascolto, in conformità alla legge etica" (contenuto).

E’ evidente che io devo essere "permeabile" a tale appello ed è qui che entra in gioco il "lato emotivo" e precisamente il "senso di responsabilità" necessario per poter mettere in moto la volontà che vincola "questo soggetto" determinando un’azione conseguente.

 

Teoria etica della responsabilità

La responsabilità può essere intesa in due modi

 

 

      1) Resa dei conto ex- post-facto

    La responsabilità è "imputazione causale delle azioni compiute" è qui va distinto l’ambito giuridico da quello morale, comunque così intesa la responsabilità non costituisce ancora la morale ne è certo la sua condizione preliminare:

    "Il sentimento che lo accompagna, pur essendo morale (disponibilità a garantire per la propria azione), non può nella sua pura formalità fornire alla teoria etica quel principio affettivo, che in prima e in ultima istanza ha a che vedere con la presentazione, con valida e motivazione di scopi positivi in vista del bonum humanum" (Ivi, p. 117)

    2) Determinazione del da farsi

    In un altro senso la responsabilità è per qualcosa che si trova fuori di me e che mi obbliga ad agire contrapponendo al mio potere il diritto di esistere.

    "Il potere diventa oggettivamente responsabile per ciò che in quel modo gli viene affidato, e vi si impegna affettivamente mediante la presa di posizione del senso di responsabilità: nel sentimento ciò che è vincolante viene a legarsi alla volontà soggettiva. Ma la presa di posizione del sentimento non ha la sua origine nell’idea di responsabilità tout court ma nel riconoscimento della bontà peculiare della causa, nel modo in cui essa influenza il sentire e umilia il puro egoismo del potere. In primo luogo viene il ‘dover essere’ (Seinsollen) dell’oggetto, in secondo luogo, il ‘dover fare’ (Junsollen) del soggetto chiamato ad averne cura" (Ivi, p. 117-118)

    E’ il secondo concetto di responsabilità che Jonas considera fondamentale per un’etica della responsabilità futura.

    Soltanto chi detiene una responsabilità (ha cura di qualcosa) può agire in modo irresponsabile.

    Gli esseri viventi sono fini a se stessi, ma solo l’uomo può essere responsabile anche per loro.

    "L’archetipo di ogni responsabilità è la cura per l’uomo". Vivendo in comune l’ uomo è soggetto-oggetto di responsabilità (il rapporto pur essendo unilaterale a se stesso in ogni caso singolo, è tuttavia reversibile e include una potenziale reciprocità).

      1° comandamento: esistenza dell’umanità

    Il puro fatto ontico dell’esistenza degli uomini diventa il comandamento ontologico in base al quale l’umanità deve continuare ad esistere.

    Jonas affronta un parallelo tra i due casi paradigmatici di responsabilità: quello dei genitori verso i figli e quello dell’uomo di stato verso i cittadini. Essi nella loro radicale diversità hanno in comune tre elementi:

      1) la totalità (la responsabilità abbraccia l’essere totale dei loro oggetti, cioè ogni loro aspetto)

      2) la continuità (l’esercizio della responsabilità non può cessare dal momento che la vita continua senza interruzioni producendo sempre nuove esigenze, la responsabilità totale deve procedere sempre storicamente)

      3) il futuro (ogni responsabilità guarda al futuro, il domani è inserito nella cura dell’oggi ma ciò assume una dimensione diversa nel contesto della "responsabilità totale" dove ci sono innumerevoli incognite nell’equazioni delle circostanze oggettive e tra queste la libertà che non può essere inclusa nel dominio della responsabilità totale, la "casualità autonoma dell’essere affidatogli" sfugge al controllo del soggetto responsabile e diventa l’oggetto ultimo del suo dovere di tutela: "l’avvenire di ciò di cui si ha la responsabilità costituisce la dimensione futura più autentica della responsabilità". Di conseguenza "la responsabilità non è altro che il complemento morale alla costituzione ontologica della nostra temporalità" (Ivi, p. 135).

       

       

Fino a che punto la responsabilità politica si inoltra nel futuro considerato che, a differenza di quella dei genitori, non conosce un termine fissato dalla natura dell’oggetto ?

Ogni arte di governo è responsabile per la possibilità della politica futura. Oggi il sapere analitico-causale applicato metodicamente al dato permette orizzonti più ampi rispetto al passato, d’altro canto però la nostra è una realtà estremamente dinamica e perciò sfuggevole all’uomo.

Essendo la responsabilità un "correlato del potere" la nuova etica ribalta il detto Kantiano "puoi, dunque devi" nel "devi, dunque fai, dunque puoi" (Ivi, p. 159-160).

 

Gli ultimi due capitoli de Il principio responsabilità (V. La responsabilità oggi: il futuro minacciato e l’idea di progresso e VI. La critica dell’utopia e l’etica della responsabilità) affrontano il problema della traduzione pratica della nuova etica in una politica di salvaguardia della natura e dell’uomo. Ciò da modo a Jonas di impegnarsi in una acuta analisi della società capitalistica (figlia dell’ "ideale baconiano" e madre della tecnica) e in un confronto con quella marxista, nel contesto di tali analisi egli si sofferma in modo particolare sulla versione blochiana dell’utopia marxista (principio speranza). Molte dei percorsi aperti dal filosofo tedesco in questi capitoli conclusivi risentono del clima storico-politico della fine degli anni ’70 e oggi, nella fase post ’89, sono superate, ciò non toglie che molte osservazioni mantengono la propria validità.

In sintesi le conclusioni jonasiane rilevano:

  1. la necessità di un controllo del potere distruttivo della tecnica demandato ad una élite che sappia dominare la tecnica e riequilibrare lo sviluppo dei popoli ricorrendo anche a forme di coazione con lo scopo di affermare il bene collettivo;

  2. un vantaggio teorico del marxismo sul capitalismo nel portare a realizzazione tale controllo (concetto di elite, spirito di sacrificio, uguaglianza etc.) che non ha però un riscontro nel socialismo reale che non è esente dall’economia dei bisogni e dal culto della tecnica;

  3. un altro limite del marxismo, e in modo particolare del pensiero blochiano, è rappresentato dalla prospettiva utopica (ontologia del non essere ancora), per Jonas non ha più senso prospettare il meglio quando è in gioco la necessità di preservare il presente (il pianeta per altro non reggerebbe un aumento della pressione produttiva):

"Qui è insito l’errore fondamentale dell’intera ontologia del non-essere-ancora e del primato della speranza che vi è legato. A suscitare in noi un senso di dovere è la semplice verità, né esaltante né sconfortante, che l’ "uomo autentico" è già sempre esistito con tutti i suoi estremi, nella grandezza e nella meschinità, nella felicità e nel tormento, nell’innocenza e nella colpa; in breve, in tutta l’ambiguità che gli è connaturata. Volerla eliminare significa voler eliminare l’uomo e la sua incommensurabile libertà" (ivi, p. 278).

 

 



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