SINTESI DE IL PRINCIPIO RESPONSABILITÁ DI HANS JONAS

 

 

A cura di Giovanni Polimeni

 

 

1. LA MUTATA NATURA DELL’AGIRE UMANO

 

1 – L’antichità

- Le premesse oggi non più valide dell’etica tradizionale: 1) la condizione umana, definita dalla natura dell’uomo e dalla natura delle cose, è data una volta per tutte nei suoi tratti fondamentali; 2) su questa base si può determinare senza difficoltà quale sia il bene umano; 3) la portata dell’agire umano e quindi della responsabilità è strettamente circoscritta.

- Oggi i nuovi poteri della tecnica moderna hanno cambiato la natura dell’agire umano, e ciò esige anche un mutamento dell’etica.

- Per quanto il potere dell’uomo sulla natura sia sempre stato maggiore di quello degli altri animali, finora non era mai stato capace di scalfire la sostanziale immutabilità del tutto, la natura e gli elementi erano l’assoluto e il permanente di fronte ai quali l’uomo era il relativo e il mutevole. Il limite che l’uomo, in quanto essere “infinitamente piccolo”, si autoponeva di fronte a Dio o alla natura è oggi, con il dominio delle basi biologiche della natura, del tutto scomparso ed inattuale. L’uomo non aveva motivo di sentire alcuna responsabilità nei confronti della natura e del mondo in cui viveva.

 

2 – Caratteristiche dell’etica tradizionale

- A) ogni rapporto con il mondo extraumano non costituiva un ambito di rilevanza etica, era neutrale eticamente in relazione all’oggetto ed al soggetto. B) ogni etica tradizionale è antropocentrica. C) l’entità uomo è stata sempre considerata essenza del soggetto agente, mai (come è ora) anch’essa è stata oggetto della techne umana. D) Il bene o il male di una azione si manifestava nella prassi stessa, esistevano dei criteri morali immediati per cui giudicare un’azione. L’etica aveva a che fare con il qui e l’ora.

- Oggi non può valere quel detto di Kant per cui “non c’è bisogno né di scienza né di filosofia per sapere ciò che si deve fare per essere onesti e buoni”, oggi il potere umano può avere delle conseguenze a lungo termine inimmaginabili anche dallo scienziato o dal filosofo. Il sapere deve oggi corrispondere in ordine di grandezza alle nuove dimensioni causali del nostro agire.

 

3 – Nuove dimensioni della responsabilità

- Il nuovo carattere vulnerabile della natura sottoposta all’azione dell’uomo ci impone una responsabilità verso di essa. Dobbiamo chiederci oggi se la natura abbia o meno dei diritti, dovremmo renderci conto che la scienza naturale non esaurisce l’intera verità della natura, in quanto noi (che siamo parte di essa) possiamo agire in modo da manipolarla.

 

4 – La tecnologia come “vocazione” dell’umanità

- Carattere antientropico della scienza

- L’homo sapiens diventa oggetto dell’homo faber

- Oggi la presenza dell’uomo nel mondo non è più un dato indiscutibile, ma deve diventare oggetto della obbligazione. Un’ obbligazione fondata dal punto di vista giuridico che assicuri la sopravvivenza dell’uomo nel mondo.

 

5 – Vecchi e nuovi imperativi

- L’imperativo categorico kantiano affermava “Agisci in modo che anche tu possa volere che la tua massima diventi legge universale”; oggi l’imperativo adeguato dovrebbe essere “Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la permanenza di un’autentica vita umana sulla terra”.

- Ciò che si vuole dire è che mentre siamo liberi di mettere a repentaglio e di essere irresponsabili verso la nostra vita, non possiamo esserlo verso la vita dell’umanità, non possiamo in alcun modo rischiare il non-essere delle generazioni future.

- Il nuovo imperativo pretende la coerenza non dell’atto con sé stesso, ma dell’atto con i suoi effetti reali ed ultimi, pretende una universalizzazione dei principi dell’agire umano non ipotetica ma fattuale, un’universalizzazione che si estende ad un futuro reale e calcolabile.

 

7 – L’uomo in quanto oggetto delle tecnica

- L’homo faber rivolge a sé stesso la propria arte diventandone oggetto come homo materia

- La morte non appare più come una necessità insita nella natura di ciò che è vivo, ma come una prestazione organica disfunzionale a cui si può porre rimedio. Ma, come afferma Hannah Arendt, la mortalità è soltanto l’altra necessaria faccia della fonte perenne della “natalità”. Ed è probabile che ciò che oggi appare come la realizzazione di un sogno umano ed un dono filantropico della scienza all’uomo, potrebbe rivelarsi come un danno per l’umanità.

- Il moderno controllo del comportamento, per cui si può dare sollievo ai pazienti malati di mente da sintomi tormentosi ed inibenti, può tramutarsi in un “liberare la società” dalla molestia di un comportamento problematico. E’ un trapasso dalla sfera medica a quella sociale, per cui eludiamo la via umana di affrontare i problemi umani applicando un meccanismo impersonale e togliendo dignità di sé alla persona.

- Per non parlare del futuro più che prossimo della manipolazione genetica.

 

8 – La dinamica “utopica” del progresso tecnico e l’eccesso di responsabilità

- Se la novità del nostro agire esige un’etica nuova di estesa responsabilità, proporzionata alla portata del nostro sapere, essa richiede anche un nuovo genere di umiltà: un’umiltà indotta non dalla limitatezza ma dalla grandezza abnorme del nostro potere.

 

9 – Il vuoto etico

- Ciò che oggi è temibile è la nascita di un nichilismo nel quale il massimo di potere si unisce al massimo di vuoto, il massimo di capacità al minimo di sapere intorno agli scopi. In nome del progresso della scienza sono stati aboliti o non posti certi limiti con la conseguenza che il senso stesso del limite diventa sempre più precario.

 

2. QUESTIONI RELATIVE AI FONDAMENTI ED AL METODO

 

1 – Sapere ideale e sapere reale nell’ “etica del futuro”

- Un possibile criterio per la nuova etica può essere la cosiddetta “euristica della paura”: soltanto il previsto stravolgimento dell’uomo ci aiuta a cogliere il concetto di umanità che va preservato da quel pericolo. E’ naturale che la percezione del malum, per il turbamento emotivo che porta, ci riesca infinitamente più facile della percezione del bonum. Per questo la paura è la coscienza che l’uomo ha del limite, ma prima ancora è la coscienza che l’illimite porta in sé un pericolo per l’uomo.

- Il primo dovere dell’etica del futuro è l’acquisizione anticipata dell’idea degli effetti a lungo termine che la nostra azione può recare: il malum immaginato dovrà assumere il ruolo del malum esperito.

- Il secondo dovere sarebbe allora la mobilitazione del sentimento adeguato a ciò che viene immaginato: il timore del malum immaginato è di tipo nuovo poiché si rivolge non ad un male per me ma per gli altri (d'altronde la responsabilità è responsabilità verso gli altri), ma non per questo deve essere meno spontaneo del malum esperito.

 

2 – Priorità della previsione cattiva su quella buona

- Un altro precetto della nuova etica dovrebbe essere: si deve prestare più ascolto alla profezia di sventura che non a quella si salvezza. Infatti l’uomo non può permettersi di agire per seguire una probabile promessa quando in gioco ci sia anche una probabile minaccia per l’umanità o, comunque, per qualcun altro che non sia sé stesso. Il motivo principale è che, per quanto minima sia la probabilità di incombere nella minaccia, se essa è rivolta all’uomo in generale ed alla sua sopravvivenza nel mondo, avrà quasi sicuramente un carattere irreversibile che non ci si può permettere.

 

3 – L’elemento della scommessa nell’agire

- Esiste inoltre un incondizionato dovere dell’umanità all’esserci (e di conseguenza un obbligo di evitare sempre il non-esserci), un divieto di suicidio dell’umanità, che non va confuso però con il dovere condizionato di esistere del singolo individuo.

- E’ un altro principio etico quindi quello che afferma: non si deve mai fare dell’esistenza o dell’essenza dell’uomo globalmente inteso (anche dei posteri) una posta in gioco nelle scommesse dell’agire.

- Siamo di fronte al capovolgimento del procedimento cartesiano del dubbio: Cartesio diceva che, per stabilire ciò che è indubitabilmente vero, dobbiamo considerare falso ciò che è suscettibile di dubbio. Nel nostro caso, invece, dobbiamo trattare come certezza e possibilità reale anche (e soprattutto) ciò che è dubbio ma possibile.

- Vi è anche una differenza sostanziale con la “scommessa” di Pascal: mentre egli affermava di scommettere per un possibile bene infinito (la vita eterna) rinunciando ad un guadagno privo di valore (la vita terrena). Nel nostro caso, invece, bisogna scegliere un guadagno già in nostro possesso (la sopravvivenza dell’uomo nel mondo) piuttosto che scommettere su un’azione che, nel caso fallisse, potrebbe rivelarsi come un male infinito.

 

4 – Il dovere verso il futuro

- Ogni rapporto di diritti-doveri si fonda sulla reciprocità e sull’essere dell’altro: il mio dovere è l’inverso del diritto altrui e viceversa, può pretendere un diritto solo ciò che è. Il nostro caso è diverso, poiché i posteri verso cui siamo responsabili non possono pretendere un diritto, quindi il nostro dovere verso loro si deve fondare solo su una nostra scelta e, al massimo, sull’ipotetico diritto che i posteri potrebbero rivendicare a sé stessi.

- L’unico esempio offerto dalla natura di comportamento del tutto altruistico e di non-reciproca responsabilità ed obbligazione è la cura parentale verso i figli. E’ questo l’archetipo di ogni agire responsabile, che non necessità alcuna deduzione da principi ma ci è in possesso per natura, ed a cui dobbiamo far riferimento anche se (apparentemente) il dovere verso i figli non è lo stesso del dovere verso le generazioni future.

- Il dovere verso i figli necessità degli stessi presupposti del dovere verso le generazioni future: è un dovere verso l’esserci dell’umanità futura (indipendentemente dalla discendenza diretta) ed un dovere vero il suo essere-così. Noi infatti non dobbiamo vigilare sul diritto degli uomini futuri (sui loro desideri) ma sul loro dovere, ossia sul loro dovere di esserci come umanità e di essere-così come autentica umanità.

- Il primo imperativo sarà allora: deve esserci un’umanità. Secondo tale imperativo noi non siamo responsabili verso gli uomini ma verso l’idea ontologica di uomo. Tale principio dell’etica della responsabilità verso il futuro non è insito nell’etica stessa come dottrina di azione, ma nella metafisica in quanto dottrina dell’essere.

- La nuova etica vuole confutare i due dogmi secondo cui “non vi è nessuna verità metafisica” e “non vi è nessuna via dall’essere al dover essere”. Anzi i suo presupposto è, insieme all’anti-antropocentrismo, la necessità della metafisica, intesa non come essenza nascosta del suo sapere, bensì come punto di partenza esposto dei suoi principi.

 

3. SUGLI SCOPI E LA LORO POSIZIONE NELL’ESSERE

 

- La distinzione tra valori e scopi o fini: uno scopo è ciò per cui una cosa esiste e per la sua realizzazione o conservazione si svolge un processo o si intraprende un’azione. Esso risponde alla domanda “per che cosa?”. Gli scopi o fini operano e vengono riconosciuti indipendentemente dalla loro condizione di valori o dalla approvazione di qualcuno.

- L’essere, oppure la natura, è unitario e fornisce testimonianza di sé in quel che fa scaturire da sé. Ciò che è l’essere può essere desunto dalla sua testimonianza e naturalmente da ciò che maggiormente dice.

- Tale testimonianza del nostro essere viene ignorata dalla scienza naturale: essa si è specializzata nello studio di organi e di organismi minori agendo come se non sapesse che esistono gli organismi e gli organismi maggiori, studia gli organismi maggiori ed il cervello come se non sapesse che è in verità il pensiero a determinarne l’essere. Tutto ciò è giusto metodologicamente, sbagliato quando si passa da tale piano della finzione a quello ontologico dell’essere.

- Ciò che vogliamo dire è che la scienza naturale non ci dice tutto sulla natura, né è capace di spiegare le modalità del sentire o la coscienza umana. E’ una incapacità costruttiva poiché la stessa scienza è una componente di un universo ancora da comprendere.

- Ciò che resta da chiedersi è se la questione sugli scopi, sull’essere, implica la questione sui valori, sul dover essere. Se esiste un rapporto tra universalità e validità.

 

4. IL BENE, IL DOVER ESSERE E L’ESSERE: LA TEORIA DELLA RESPONSABILITA’

 

1 – Essere e dover essere

- Fondare il “bene” o il “valore” dell’essere significa colmare il presunto divario tra essere e dover essere.

- La natura, prefiggendosi degli scopi, pone anche dei valori. Riguardo a quest’ultimi possiamo dire che sia meglio e bene perseguirli, peggio e male non perseguirli; ma possiamo dire che siano anche dei “beni in sé”?

- Ciò che vale per lo scopo non vale però per la “finalità”, quest’ ultima, in quanto rappresenta ciò che l’essere vale per lo scopo specifico, il suo carattere ontologico, rappresenta di per sé un “bene in sé” nella sua differenza con il non avere uno scopo.

- La proprietà generale dell’ avere una finalità (prescindendo dal suo contenuto) è ciò che fonda e dà valore all’essere nella sua profonda differenza col non-essere, col nulla, con ciò che non ha finalità.

- La finalità dell’essere è innanzitutto il suo sì alla vita radicalizzato in un profondo no alla morte. Questo è il vero senso del “vivere per la morte” che fonda il valore dell’essere: un no attivo alla morte, una negazione del non-essere per il sì alla vita, per l’affermazione dell’essere.

- La difficoltà è: come può essere un “dovere” per l’essere ciò che è da sempre insito nella sua volontà, ossia il suo lottare contro il non-essere?

- Finora il “bene” è stato contrapposto alla “volontà”: infatti l’essere buoni ha sempre significato il conseguire un bene (assoluto o meno) che sta al di fuori di noi, un bene altruistico che non trovava riscontro nel nostro sentire.

- Il nostro caso è, però, profondamente diverso: il bene che noi cerchiamo deve a tutti i costi trovare un riscontro soprattutto nel sentire di ognuno; è infatti la sfera del sentimento, della volontà che può stimolare un senso di responsabilità così ampio (per il presente e per il futuro, per i miei discendenti e per i posteri).

- Come ogni teoria etica, anche la teoria della responsabilità deve tenere presenti entrambe le cose: il fondamento razionale dell’obbligo, ossia il principio di legittimazione che sta dietro alla pretesa di un “dover essere” vincolante, e il fondamento psicologico della sua capacità di mettere in moto la volontà, ossia di diventare per il soggetto la causa che determina il suo agire. Ciò significa che l’etica possiede un aspetto oggettivo ed uno soggettivo, uno che ha a che vedere con la ragione e l’altro con il sentimento. Entrambi sono fra di loro complementari: la ricettività emotiva senza una convalida del suo diritto sarebbe alla merce di predilezioni casuali e sprovvista di ogni giustificazione; il richiamo al dovere che escluda la sfera del sentire non troverebbe alcuna forza motivante all’interno della soggettività dell’essere

- Il ruolo del sentimento nell’etica tradizionale ha sempre avuto per oggetto il “sommo bene” che aveva come condizione ontologica la “atemporalità”, mettendo a confronto la nostra condizione mortale con la seduzione dell’eternità. Oggi l’oggetto del sentire deve essere ciò che è più transeunte per definizione, ben lontano dalla perfezione e dalla immortalità, tutt’altro che trascendente e necessario: la responsabilità verso gli altri. Quest’oggetto, l’alterità, ben diverso dal summum bonum, deve avere la forza di indurmi al senso di responsabilità nei suoi confronti solamente per la sua esistenza.

- L’alternativa nei suoi punti fondamentali è questa: quel che conta sono anzitutto gli obiettivi e non gli stati della mia volontà: impegnando la volontà diventeranno poi scopi per me. La legge in quanto tale non può essere né causa né oggetto del rispetto; ma l’essere, riconosciuto nella sua totalità e continuità, può ben generare il rispetto grazie all’affezione del nostro sentire. Ma il rispetto è insufficiente all’operare per l’altro, ciò che deve subentrare per agire di conseguenza è il senso di responsabilità, che vincola questo soggetto a quell’oggetto.

 

2 – Teoria della responsabilità: prime distinzioni.

- In primo luogo viene il “dover essere” dell’oggetto, in secondo luogo il “dover fare” del soggetto chiamato ad averne cura. Esigenza dell’oggetto e coscienza morale del potere-fare si fondono nel senso affermativo di responsabilità del soggetto attivo. Questo è il tipo di responsabilità che intendiamo portare avanti, non la vuota “responsabilità” formale di un agente per la sua azione.

- Ci si può avvicinare ulteriormente al concetto di responsabilità se ci si chiede il significato dell’ “essere irresponsabili”: innanzitutto è fondamentale dire che solo chi detiene una responsabilità può essere irresponsabile. La nostra idea è che chiunque abbia un qualsiasi “potere” verso gli altri debba avere anche un “dovere” verso gli altri, quindi sarà irresponsabile chi usufruirà dell’esercizio del potere senza adempiere il dovere.

- Avendo limitato il cerchio delle vere responsabilità, avendola cioè circoscritta ai detentori di un potere fattuale verso gli altri, i maggiori detentori di responsabilità risulteranno: i genitori (verso i figli) e gli uomini di stato (verso i cittadini).

 

3 – Teoria della responsabilità: genitori e uomini di stato.

- L’elemento comune ai due paradigmi dei genitori e degli uomini di stato può essere sintetizzato in: “totalità”, “continuità” e “futuro” come obiettivi della responsabilità per la felicità degli altri.

- Essere soggetto dotato di responsabilità implica il dovere essere responsabile verso i suoi simili, esseri dotati a loro volta di responsabilità: la capacità di avere responsabilità è la condizione sufficiente per il dovere verso la sua attualizzazione.

- Inoltre la responsabilità consiste principalmente nel dare agli altri la possibilità di essere responsabili in quanto umanità esistente: il comandamento dell’esistenza dell’umanità implica il comandamento della possibilità della responsabilità.

- La totalità delle responsabilità: le responsabilità abbracciano l’essere totale dei loro oggetti, ossia ogni loro aspetto, dalla nuda esistenza ai più elevati interessi, dal puro essere in quanto tale al ben-essere. (Questo è più evidente per i genitori).

- Inoltre non bisogna dimenticare che l’oggetto delle responsabilità dei genitori è lo stesso oggetto delle responsabilità dello Stato: come i genitori educano i propri figli “per lo Stato”, lo Stato si assume a sua volta una responsabilità per l’educazione dei ragazzi; il privato si apre sostanzialmente al pubblico e lo include nella propria integralità.

- La continuità: essa consegue dalla natura totale della responsabilità che, per definizione e per sua essenza, è un esercizio che non può cessare: né i genitori né lo Stato possono prendersi “vacanze” dalla propria responsabilità. Inoltre, ed ancora più importante, la responsabilità totale deve sempre agire chiedendosi “che cosa verrà dopo? A cosa condurrà ciò? Che cosa si è verificato prima? Come si concilia ciò che accade ora con la totalità dell’essere-divenuto di questa esistenza?. In sintesi: la responsabilità totale e continua deve procedere “storicamente”, abbracciare il proprio oggetto nella sua storicità, preservando nel tempo una certa identità che è parte integrante della responsabilità collettiva. (Questo è più evidente nello Stato).

 

4 – Teoria della responsabilità: l’orizzonte del futuro.

- Nel loro relazionarsi al futuro, responsabilità politica e genitoriale differiscono profondamente.

- I genitori hanno a che fare con un educazione che ha un fine ben determinato: l’autonomia e la maturità dell’individuo, il conseguire l’obiettivo fa cessare la responsabilità come compito doveroso. Tale responsabilità deve tener conto dello sviluppo organico e delle varie fasi di crescita dell’individuo.

- Lo stato si occupa invece di un’evoluzione storica per niente paragonabile allo sviluppo organico. La storia non ha un fine predeterminato verso il quale tende o deve essere guidata. Il divenire della storia e dell’umanità ha un senso completamente diverso dal divenire dell’individuo da embrione ad adulto. L’umanità, da quando esiste, è qualcosa che sussiste già e non deve essere prodotto o portato verso un fine, dell’umanità non si può dire quel che non è ancora, tutt’al più si può dire retrospettivamente quel che non era ancora in un determinato periodo storico.

- La responsabilità politica nel suo guardare al futuro ha un compito ben preciso: il rendere sempre possibile l’esistenza di una politica futura alla propria. Ogni responsabilità totale, al di là dei suoi singoli compiti, è sempre anche responsabile della preservazione della futura possibilità di un agire responsabile.

 

6 – La responsabilità e l’etica tradizionale.

- Kant diceva: “puoi, dunque devi”, oggi noi siamo costretti a dire “devi, dunque fai, dunque puoi”, ossia il tuo esorbitante potere è già all’opera, è sempre all’opera. In Kant l’inclinazione è subordinata al dovere e questo potere interno, non causale, va generalmente presupposto nell’individuo al quale soltanto si rivolge il dovere. Nel nostro contro-enunciato “potere” significa invece scaricare nel mondo gli effetti causali con cui dovrà poi confrontarsi il dover essere della nostra responsabilità.

- Il punto critico della questione morale, ossia come si possa passare dal volere al dovere essere, trova così una soluzione dalla mediazione del “potere” nella sua specifica manifestazione umana, nella quale il potere causale riunisce al sapere ed alla libertà. Il potere dell’uomo è il suo destino, ciò che può farlo agire responsabilmente o non. Il dover essere scaturisce dalla volontà in quanto autocontrollo del suo potere operante in modo consapevole.

 

7 – Il bambino, l’oggetto originario della responsabilità.

- L’essere di un ente, sul semplice piano ontico (l’ “è” del bambino quando viene al mondo), postula in modo immanente ed evidente un dovere degli altri. L’ “è” semplice e fattuale coincide con un dover essere.

- Inoltre il bambino include, all’interno del suo già-esserci, un impotente non-essere-ancora ed una negativa possibilità di non-essere-più che aumenta a dismisura il potere del genitore e, quindi, la sua responsabilità. La responsabilità deve considerare le cose non sub specie aeternitatis, ma sub specie temporis, potendo perdere tutto in un momento.

 

 

 

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