KARL AUGUST GOTTLIEB KEIL

 

 

Karl August Gottlieb Keil (1754-1818) fu un filosofo che diede contributi decisivi per la nascita della moderna ermeneutica. Il suo pensiero si presenta, per molti versi, come una continuazione della riflessione ermeneutica avviata da Johann August Ernesti (1707-1781). Soprattutto nel suo scritto del 1818 Lehrbuch der Hermeneutik (Manuale di ermeneutica), egli andava sviluppando l’idea di una integrazione tra la “interpretazione storica” e la “interpretazione grammaticale”, alla luce del presupposto secondo cui le idee dell’autore da interpretare sarebbero un “fatto” e che, di conseguenza, la loro comprensione sarebbe in primo luogo un compito storico, indisgiungibilmente legato all’epoca in cui visse l’autore e scrisse le sue opere. Nell’orizzonte teoretico di Keil, l’interpretazione viene così delineandosi come il frutto di una sequela di operazioni differenti ma tra oro coordinate, in vista del rapporto esistente tra le differenti parole e le rappresentazioni dell’autore da interpretare. Però quel rapporto è inteso da Keil in modo spiccatamente “formalistico”, quasi meccanico, con la conseguenza – ed è questo il suo più grande limite – che gli restano oscuri due fenomeni: 1) la specificità di ogni autore (che non può mai essere interamente fatto derivare dalla sua epoca, ma che anzi conserva sempre una sua specificità personale indeducibile); 2) la congenialità tra l’autore e il suo interprete (tema che sarà invece al centro del dibattito posteriore rispetto all’opera keiliana). A parte questi due limiti, certo non secondari, resta comunque un enorme merito della riflessione di Keil l’aver posto enfaticamente l’accento sul rapporto storico che lega tra loro il testo da interpretare e il suo tempo, che si traduce in concreto nell’attenzione per la natura specifica delle idee e delle convinzioni non solamente dell’autore, ma anche dei suoi primi lettori, oltre che nel ricorso al confronto con scritti analoghi dello stesso periodo storico. Il Lehrbuch der Hermeneutik di Keil si configura, per molti versi, come un punto d’approdo nella lunga e tutt’altro che lineare vicenda evolutiva dell’ermeneutica quale si era sviluppata nel Seicento e nel Settecento, unificando in sé i diversi momenti e le principali esigenze che, nel corso dei due secoli, erano andate affiorando in Europa in seguito alla “rottura” epocale consumatasi con la Riforma protestante. Non senza buone ragioni, Dilthey ha sostenuto che l’opera di Keil giungeva troppo tardi: infatti, nel momento in cui essa vedeva la luce, nei primissimi anni del XIX secolo, avevano preso a farsi sentire, con una certa energia, nuove esigenze in ambito ermeneutica: si trattava di esigenze che venivano articolandosi grazie alle riflessioni di Ast, dei fratelli Schlegel, di Schleiermacher e, più in generale, del Romanticismo; riflessioni che avrebbero inciso in maniera profondissima sull’evoluzione della cultura europea. Stando così le cose, si può ben dire – seguendo lo spunto di Dilthey – che l’opera ermeneutica di Keil, più che inaugurare una nuova epoca, ne chiudeva una ormai in fase di tramonto.   



INDIETRO