KIERKEGAARD

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IL PECCATO

Per Kierkegaard come per il cattolicesimo, il peccato è il rifiuto dell'amicizia con Dio che si è offerto all'uomo. Tutte le leggi a cui il popolo di Israele deve obbedire hanno lo scopo di assicurare la comunione con Dio. Il peccatore è colui che non ascolta la voce del Salvatore, che agisce contro l'alleanza. In Il Concetto di Angoscia Kierkegaard parla del peccato originale e qui la sua visione non è "né cattolica né protestante. Il peccato originale viene distinto dalla concupiscenza luterana e riferito alla decisione della libertà come tale considerata però nella sfera dell'immanenza del soggetto". Per i luterani l'immagine di Dio impressa nell'uomo e distrutta dal peccato rimane un tenue residuo, per noi cattolici nel peccatore c'è la perdita almeno parziale dei doni soprannaturali e la permanenza della natura, anche se ferita dal peccato. Per Lutero il peccato originale appartiene alla natura e comporta la perdita di tutte le forze e delle facoltà dell'uomo cioè la corruzione totale della natura, perché l'uomo cerca il fondamento in sé e non in Dio: così l'uomo corrotto dal peccato non è liberato né con il battesimo né con la fede. Per il filosofo l'individuo, come pensa San Tommaso, ha in sé il peccato originale (la pena del danno) e in potenziale la pena del senso (cioè i peccati personali). Ha così in effetti un rapporto soggettivo con la possibilità del peccato. Per Kierkegaard l'individuo è nello stato equivoco di un'innocenza colpevole (per generazione) e di una colpa innocente che si traduce nella malinconia dell'innocenza perduta e nella possibilità del peccato. Il peccato crea angoscia prima che la libertà dell'uomo possa o non compiere pene del senso. Per noi cattolici il peccato originale, come affronta il Concilio di Trento, porta alla perdita della santità e giustizia originale, ed è trasmesso per generazione (cioè da padre a figlio). Solo Cristo, ultimo Adamo, ci ha redento (Paolo Rm 5, 12-21) e tramite il battesimo ha permesso la nostra salvezza poiché la Grazia perdona il peccato originale. Per Kierkegaard invece, dal momento che non crede che il battesimo lavi il peccato originale, quest'ultimo è un residuo che di continuo vive dentro l'uomo, quasi divenendo una categoria ontologica della natura umana estranea alla volontà e alla libertà dell'individuo. La Malattia Mortale parla della disperazione e dell'angoscia per dimostrare che nascono dal peccato. "Nel cristianesimo il peccato è atto di libertà e il suo muoversi verso la propria perdizione: perché l'io si scandalizza perché non supera la possibilità dello scandalo". Con la venuta di Cristo l'uomo non si trova solo davanti a Dio, ma a Gesù uomo come noi. L'uomo-Dio dà scandalo esistenziale, è il nuovo Adamo che si è incarnato per strapparci dalla disperazione del peccato. Kierkegaard distingue così fra peccato originale e primo peccato. Le due nozioni non possono essere confuse per la difficoltà inerente alla conciliazione di possibilità ed attualità del peccato perché "ciò escluderebbe Adamo dalla storia, non potendosi di fronte ad essa giustificare, non solo per il presente, ma neppure per il passato, l'esistenza di un tale presupposto". Questa contraddizione si supera nella storia. Con la continuazione della specie, avviene poi la giustificazione individuale e insieme storica del peccato di Adamo; per Adamo, progenitore della stirpe umana, per generazione, il peccato vale per sé e per gli altri.

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