LEO STRAUSS


A cura di Alessandro Sangalli




STORICISMO E RELATIVISMO



Diritto naturale e storia si apre con una solenne invocazione all’asserzione della Dichiarazione di Indipendenza circa le verità auto-evidenti e i diritti inalienabili: Strauss ricorda ai suoi lettori l’importante ruolo giocato dal diritto naturale nella nascita degli Stati Uniti, “la più potente e prosperosa tra le nazioni della Terra”. Fatto ciò, Strauss prosegue disegnando un’inquietante prospettiva: sostiene infatti che la scienza sociale americana sia pervasa dallo stesso spirito che caratterizzava il pensiero tedesco pre-bellico e pre-nazista. Abbandonato il diritto naturale, ci si tuffava nello storicismo e nel relativismo, teorie per le quali ogni pensiero dell’uomo non è nient’altro che un accidentale e fortuito prodotto del proprio tempo. In questo scenario, non esiste in natura nulla in base al quale si possa ragionevolmente optare per la libera democrazia piuttosto che per la tirannide. Quindi, mentre la scienza sociale pretende di mostrarci in che modo possiamo raggiungere i fini ai quali tendiamo, allo stesso tempo ci dimostra come ogni fine sia, in se stesso, privo di senso e fondamento.

Strauss non rigetta direttamente gli insegnamenti del relativismo e dello storicismo. Detto altrimenti, egli non respinge la relativistica e storicistica negazione del diritto naturale tentando direttamente di dimostrare l’esistenza in natura di principi giuridici universali ed immutabili percepibili dalla ragione umana. Piuttosto, cerca di mettere in crisi le due teorie portando alla luce le assunzioni dogmatiche che ne stanno alla base: il suo è un procedimento negativo. La sua intenzione è quella di indurci a riflettere sulle opinioni che assumiamo per certe, per aprire la nostra mente alla possibilità dell’esistenza di una vera e propria morale filosofica, o diritto naturale.

Strauss usa gli argomenti propri dello storicismo per distruggerlo dall’interno. Lo storicismo sostiene che ogni teoria transistorica - investita cioè di una validità universale – è, per ciò stesso, errata. Il pensiero umano nel suo complesso, infatti, è stato e sarà sempre storico, “in situazione”, soggetto a limitazioni caratteristiche del proprio tempo, delle quali esso è, però, necessitatamente inconsapevole. Tuttavia, nota Strauss, quest’assunzione è essa stessa transistorica, valida universalmente in ogni tempo e luogo. Ciò rende la tesi dello storicismo autocontraddittoria e assurda.                                

Strauss utilizza contro le pretese dello storicismo anche il richiamo all’esperienza tipico di questa dottrina. Secondo lo storicismo, “l’esperienza storica” mostra come tutte le teorie del passato riposassero su basi dogmatiche, su principi presi per validi ma non dimostrati. Lo storicismo sostiene che i pensatori del passato erano necessariamente posti sotto l’influenza della loro situazione storica: Platone non poteva vedere oltre l’orizzonte della polis, Hobbes non poteva guardare oltre quello della guerra civile inglese. Strauss osserva però che nemmeno la più sofisticata forma dello storicismo - lo “storicismo radicale” - mette mai in discussione l’esperienza storica: questa vaga e indistinta esperienza è assunta come principio valido e garantito. Strauss inizia qui a preparare il campo alla possibile esistenza di un diritto naturale tramite il richiamo all’esperienza personale di ogni suo lettore: “l’evidenza di quelle semplici esperienze circa il giusto e l’ingiusto è la base della convinzione filosofica dell’esistenza di un diritto naturale”.

Riguardo al positivismo, Strauss torna in qualche modo alla tesi di Max Weber secondo cui la ricerca scientifica può esprimersi solo su questioni “di fatto”, mentre deve tralasciare quelle “di valore”. Così facendo, Strauss sposta il baricentro della sua discussione dalla possibilità di un diritto naturale a quella di una scienza sociale che contenga valutazioni normative, per arrivare infine alla questione della vita filosofica. Nel definire la posizione di Weber “nobile nichilismo”, Strauss ci vuole mostrare come il nichilismo weberiano non derivi da una semplice indifferenza di valori, ma da un’appassionata -seppur sterile - ricerca di solide basi per nobili e più alti valori.

 




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