MOSE' MAIMONIDE

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Nato in Spagna nel 1138 durante la dominazione musulmana, Mosè Maimonide studiò la Torah sotto la guida di suo padre Maimon e del rabbino Joseph ibn Migash. Nel 1148 Cordoba venne conquistata dagli Almohadi il cui oltranzismo li portò ad avviare contro gli ebrei e i cristiani una vera azione di persecuzione, sia in al-Andalus sia in Nordafrica, offrendo loro come unica alternativa alla morte la conversione all'Islam, in completo spregio della tradizione che nei confronti della "Gente del Libro" (Ahl al-Kitab) esige solo la sottomissione politica e il pagamento dell'imposta di "protezione" ( jizya ). Nei dieci anni seguenti la sua famiglia si spostò nel sud della Spagna tentando di sfuggire la conquista almohade ma finì per fermarsi, nel 1160, a Fez in Marocco, dove riuscirono a farsi passare per musulmani, finché - anche a causa della crescente popolarità dell'ingegno di Moshe - non vennero scoperti. Già attorno al 1158 iniziò la stesura di alcune opere: un trattato in ebraico sul calendario e un trattato in arabo di logica, probabilmente il suo unico scritto a carattere strettamente filosofico. Iniziò al contempo la creazione del Commento alla Mishna, trattazione giuridica dell'etica ebraica che lo vedrà impegnato per buona parte della sua vita. A Fez scrisse anche una Risala (Lettera) contro l'apostasia. Di fronte alla certezza di finire giustiziati come apostati, fuggirono dal Marocco per raggiungere, toccando Acri, Hebron, Gerusalemme, l'antica città del Cairo, al-Fustat. In Egitto egli poté portare a compimento nel 1168 la prima versione del Mishneh Torah, e a seguito di numerosi eventi luttuosi che colpirono anche la sua famiglia, intraprendere lo studio della medicina. Secondo la tradizione, è nel 1171 che assunse il ruolo di nagid (guida) della locale comunità ebraica. Negli stessi anni compose anche opere minori di carattere dottrinario. Il ventennio successivo si dimostrò essere il più fecondo dal punto di vista della produzione letteraria e nei successi della carriera: dimostrò il suo attaccamento alla professione medica compilando alcuni trattati in lingua araba su diversi argomenti, dall'igiene ai veleni, e diventando attorno al 1185 medico personale del visir al-Qadi al-Fa?il al-Baysami, ministro per l'Egitto di Saladino (Salah al-Din). Dal punto di vista della trattazione dottrinaria concluse definitivamente nel 1180 ca. il Mishneh, nella forma che possiede tutt'oggi, e dieci anni dopo la Guida dei Perplessi. Gli ultimi anni della sua vita trascorsero in relativa pace, rispettato e onorato tanto nel mondo arabo in qualità di filosofo, quanto nelle comunità europee della diaspora come medico e maestro. Morì il 13 dicembre del 1204, amato e compianto.
Maimonide compose sia opere di ebraismo sia testi di medicina. La gran parte delle opere di Maimonide vennero scritte in arabo. Il Mishneh Torah, però, venne redatto in ebraico, la lingua della Torah. Di particolare importanza per lo studio dell'ebraismo sono: Nel suo Pirush Hamishnayot (trattato Sanhedrin, capitolo 10) Maimonide formula i suoi 13 principi della fede (ebraica):

Esistenza di Dio
Unità e unicità di Dio
Spiritualità ed incorporeità di Dio
Eternità di Dio
Adorazione riservata solo a Dio
Rivelazione tramite i profeti di Dio
Preminenza di Mosè tra i profeti
Legge di Dio data sul Monte Sinai
Immutabilità della Torah come Legge di Dio
Preconoscenza delle azioni umane da parte di Dio
Ricompensa del bene e punizione del male
Venuta del Messia
Risurrezione dei morti
Questi principi dogmatici furono oggetto di controversia, suscitando subito critiche dai rabbini, culminanti in quelle di Hasdai Crescas di Barcellona (tardo XIV secolo), anch'egli razionalista ma anti-aristotelico, e dell'allievo di questi Joseph Albo, e furono ignorati dalla maggior parte delle comunità ebraiche per diversi secoli. ("Dogma in Medieval Jewish Thought," Menachem Kellner). Con il tempo, invece, divennero ampiamente condivisi, tanto che due esposizioni poetiche dei 13 principi (Ani Ma'amin e Yigdal) sono entrate nel canone del "siddur" (il libro di preghiere comunitarie dell'ebraismo); oggi (2007) l'Ebraismo Ortodosso li ritiene vincolanti.

Nel suo Sefer Hamitzvot Maimonides elenca le 613 mitzvòt contenute nella Torah (Pentateuco) e afferma che la sua selezione è stata guidata dai seguenti 14 shorashim (radici o principi):
Non si contano i comandamenti di origine rabbinica (dalla legge orale), come accendere candele ad Hanukkah e leggere il libro di Ester a Purim.
Non si contano i comandamenti derivati usando le 13 regole ermeneutiche (Regole di Rabbi Yishmael), come la reverenza per gli esperti della Torah, derivabile da Deuteronomio 10:20.
Non si contano i comandamenti che non sono storicamente permanenti, come la proibizione in Numeri 8:25.
Non si contano i comandamenti che comprendono tutta la Torah, come il comando in Esodo 23:13.
Non si conta come comandamento distinto la ragione di un comandamento, come in Deuteronomio 24:4.
In comandamenti con componenti sia positive sia negative, la positiva conta come precetto positivo, mentre la negativa conta come precetto negativo, come l'obbligo di riposare di Sabato e il divieto di lavorare in quel giorno.
Non si contano i dettagli di un comandamento, che ne definiscono le modalità applicative, come nell'ordine ai peccatori di offrire un animale in espiazione (Levitico 5).
La negazione (fattuale) di un obbligo non si conta come divieto, in apparenza ovvio ma chiarisce un rischio di ambiguità linguistica in ebraico.
Si conta una sola volta lo stesso obbligo o divieto, anche se ripetuto più volte, perché contano i concetti e non le affermazioni, come per il divieto di bere sangue che si trova in sette versetti (Levitico 3:17, 7:26 e altrove).
Non si contano separatamente i preparativi introduttivi all'esecuzione di un comandamento, come in Levitico 24:5-7.
Non si contano separatamente le parti di un comandamento se la loro combinazione è necessaria per quel comandamento, come le quattro specie vegetali per Sukkot.
Non si contano separatamente le attività necessarie a compiere il comandamento, come nel processo di sacrificare un animale in olocausto.
Si conta una volta sola un comandamento eseguito in più giorni, come le offerte animali nei sette giorni di Sukkot.
Si conta come un obbligo ciascuna forma di punizione, come la pena di morte per lapidazione ordinate per il blasfemo (Levitico 24:16), l'adoratore di Moloch (20:2) e altri peccatori, che conta una volta sola.
Già da vivo, Maimonide venne accusato di aver eccessivamente razionalizzato lo studio della Torà. Da morto, poi, le polemiche divamparono. Nel mondo ebraico, il trattato maimonideo divenne il principale punto di riferimento dell’aristotelismo, non solo in Spagna ma anche in Provenza e in Italia, e come tale fu fatto oggetto di parecchi commenti. La lettura della Guida dei Perplessi come testo di esegesi filosofica della Bibbia, invece, appare già in una raccolta di discorsi sul Pentateuco (1236? 1250?) di Ya'aqov Anatoli, un filosofo e scienziato ebreo di origine provenzale attivo a Napoli alla corte di Federico II. Nel XIII secolo, grazie a celebri difensori come il rabbino Hillel ben Samuel da Verona (soprattutto con le sue opere del periodo forlivese, alla fine del secolo), e dopo che si fu giunti perfino a scomunicare gli antimaimonidiani, si riuscì a far cessare la frattura all'interno del pensiero ebraico. Maimonide diventò così un punto di riferimento imprescindibile della cultura ebraica. La storia della filosofia medievale attesta che la Guida dei perplessi ebbe attenzione ed influenza non solo in ambito ebraico, ma anche cristiano e islamico. Quanto al mondo cristiano, le tre versioni latine medioevali della Guida dei Perplessi sarebbero state realizzate assai presto, rispettivamente a Roma nel 1224, in Francia intorno al 1242 e a Parigi nel 1242-1244. La diffusione del pensiero di Maimonide è legata anche al progetto culturale pro-aristotelico dell'imperatore Federico II, dove pure si ebbe una traduzione in latino (Dux neutrorum). Nel XIII secolo sono variamente debitori a da Maimonide grandio Scolastici come Alberto Magno, Tommaso d'Aquino e Duns Scoto; dopo il 1300 l'opera continuerà a influenzare vari rappresentanti della Scolastica, soprattutto Meister Eckhart. Mentre in Europa si interpretava l’opera alla luce di Aristotele e di Averroè, nei paesi islamici essa veniva interpretata in chiave neoplatonica, sulla scorta di Avicenna e di al-Ghazali, come mediazione tra la filosofia e la tradizione religiosa ebraica. La Makala fi sina'at al-mantiq in arabo o Millot ha-Higgayon in ebraico (Trattato di Logica, 1158), scritto in arabo e tradotto da Moses ibn Tibbon, rabbino occitano del XIII secolo, oggetto di molte edizioni e traduzioni, una delle prime in latino (1527). Il Pirush Hamishnayot (Commentario alla Mishna, 1158), scritto in arabo, fu uno dei primi commentari per il grande pubblico; condensa i dibattiti talmudici e offre le sue soluzioni in svariati casi dubbi. L'introduzione generale e le introduzioni alle varie sezioni sono state ampiamente citate dagli autori successivi; la più nota è quella al decimo capitolo del trattato Sanhedrin, dove elenca i tredici articoli di fede dell'ebraismo, che fu tradotta in ebraico da Samuel ben Judah ibn Tibbon, un rabbino occitano suo contemporaneo. Il Kitab al-fara’id in arabo o Sefer Hamitzvot in ebraico (Libro dei comandamenti), scritto in arabo e tradotto in ebraico da Moses ibn Tibbon (prima edizione a stampa 1497); elenca, descrive e commenta le 613 mitzvòt o precetti. Maimonide utilizza un insieme di 14 regole (shorashim) per determinare, fra i comandamenti scritti nella Torah, quali siano da includere nella lista dei precetti, rispetto ai comandi che Dio ha dato in vari punti della Torah ma che si riferiscono ad azioni particolari compiute una sola volta. Si tratta dell'elenco più autorevole dei 613 precetti dell'ebraismo, e fu più volte commentato, fra gli altri dal Nachmanide (Rabbi Moses ben Nachman o RaMBaN). Al precetto negativo n° 290 Maimonide scrive una frase celebre: "È meglio e più soddisfacente assolvere mille colpevoli piuttosto che mettere a morte un solo innocente". Il Mishneh Torah (Ripetizione della Torah, 1168/1180), sottotitolato Yad ha-Chazaka (la mano forte), la sua opera più importante nel campo della dottrina ebraica, fu scritto in ebraico mishnaico, anziché nell'aramaico talmudico, per favorirne una maggior diffusione al di fuori della cerchia dei dotti. Quasi una summa theologiae del giudaismo in 14 libri, vuole offrire un'esposizione completa, chiara e concisa della "legge orale" rabbinica (Talmud), in modo da rendere superfluo ogni altro testo al di fuori della "legge scritta" (TaNaKh): perciò non cita mai le fonti o le discussioni ma solo la posizione finale. Benché oggetto di aspre dispute (acuta la contestazione puntuale del coevo rabbino provenzale Abraham ben David, in margine a quasi tutte le edizioni), la sua influenza fu grande su tutti i futuri pensatori ebrei, e nella versione latina di alcuni suoi passi venne letta e fatta oggetto di riflessione da personalità eminenti del mondo cristiano medievale quali Alberto Magno, Duns Scoto e Alessandro di Hales. Ancora oggi è la sola opera post-Talmudica che dettaglia tutta la legge ebraica, anche se considerata ormai superata da Arba Turim di Yaakov ben Asher (XIV secolo) e da Shulchan Arukh di Yosef Caro (XVI secolo). Il titolo vuole richiamare un tradizionale appellativo del Deuteronomio, mentre il sottotitolo allude al numero dei libri (in ebraico 14 si scrive YD). La Dalalat al-ha'irin in arabo o Moreh Nevukhim in ebraico (Guida dei perplessi, 1190), scritta in arabo sotto forma di una lettera in 3 volumi all'allievo Rabbi Joseph ben Judah ibn Aknin, e tradotta sotto la sua supervisione in ebraico da Samuel ben Judah ibn Tibbon, "per promuovere la vera comprensione del reale spirito della Legge, al fine di guidare quelle persone religiose che, aderendo alla Torah, hanno studiato filosofia e sono in imbarazzo per le contraddizioni tra gli insegnamenti della filosofia e il senso letterale della Torah", i "perplessi", appunto. Viene considerata come il frutto più maturo del pensiero filosofico di Rambam, sebbene fosse stata concepita più come opera di supporto all'esegesi biblica che come trattato sistematico di filosofia; è indubbio tuttavia l'opera interpreta la teologia biblica e rabbinica nei termini della fisica e metafisica aristoteliche. Nel "conflitto di autorità" che si può generare, la guida aiuta lo studioso ad andare oltre il testo puro e semplice e oltre l'accettazione ex auctoritate, per comprendere con la forza della sua ragione le più elevate verità di fede espresse in modo implicito dalla rivelazione sinaitica. Fin dall'inizio molto dibattuta nell'ebraismo, fra sostegno entusiasta e accuse di eresia, ed è stata oggetto di traduzione in molte lingue moderne. Teshuvot (ritorni o conversioni o pentimenti), una raccolta di lettere pubbliche e private e di responsi che spaziano dalla resurrezione alla conversione ad altre fedi, inclusa una celebre lettera indirizzata alla oppressa comunità ebraica dello Yemen. I suoi scritti di medicina sono stati di fondamentale importanza nella storia medica, tanto che alcuni di essi sono ancora studiati. Fra essi, tutti scritti in arabo, la lingua dei paesi in cui operò, si ricordano: Fusul Musa in arabo o Pirkei Moshe in ebraico (Capitoli di Mosè (Maimonide)), una collezione di aforismi medici, la sua opera medica più nota. Ha-Ma'amar ha-Nikbad o Ha-Ma'amar be-Teri'akh (Trattato sui Veleni e sui loro Antidoti), tradotto da Moses ibn Tibbon. Trattato sulle Emorroidi. Ma'amar be-Hanhagat ha-Beri'ut (Trattato sull'Igiene), tradotto da Moses ibn Tibbon. Trattato sulle Cause dei Sintomi. Leggi dei Temperamenti Umani. Trattato sull'Asma.

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