MARCEL MAUSS

di Michele Bellingeri

 

 

Marcel Mauss (Épinal, 10 maggio 1872 – Parigi, 10 febbraio 1950) è stato un antropologo, sociologo, etnologo e storico delle religioni, uno dei padri fondatori della etnologia francese, ultimo degli allievi di Émile Durkheim, di cui era anche nipote. Marcel Mauss studia all'università di Bordeaux  dove si laurea in filosofia. Completa la sua preparazione alla Scuola Pratica degli Alti Studi di Parigi (EPHE). Nel 1901 è nominato titolare della cattedra di "Storia delle religioni dei popoli non civilizzati". Pur non avendo mai effettuato ricerca sul terreno, fu un tenace fautore dell’etnografia di campo. I suoi studi si concentrano sulla magia, il sacrificio, sullo scambio, ma soprattutto sul dono. Mauss ha influenzato profondamente il fondatore dell'antropologia strutturale Claude Lévi-Strauss. L’influsso di Mauss è rintracciabile in gran parte del pensiero anti-utilitarista, in Bourdieu soprattutto, ma anche in Latouche, Caillè, De Benoist. Il suo testo più famoso è il Saggio sul dono (1923). Tra le sue opere: Le origini dei poteri magici, Teoria generale della magia e altri saggi, Sociologia ed antropologia, Manuale di Etnografia, Saggio sulle variazioni stagionali delle società eschimesi.

 

Il Saggio sul dono

Il lavoro di maggior importanza di Mauss è sicuramente Il Saggio sul dono, libro diventato celebre e vera pietra miliare della antropologia culturale. In questo saggio Mauss, rifacendosi agli studi di Franz Boas sul rituale del potlàc e di Bronislaw Malinowski sul kula, descrive la socialità del dono nelle società arcaiche e primitive. Da Questa ricerca Mauss ricava alcune tesi fondamentali sulla natura del dono: 1) il dono è socialità obbligatoria; 2) il dono non è quindi pratica disinteressata; 3) il dono crea, rafforza e conserva i legami sociali e comunitari; 4) il dono, “come prestazione totale”, unisce gli aspetti sociali ed economici, ed è perciò rudimento economico, cioè è parte di una economia primitiva indissolubilmente legata alla socialità e alla vita.

L’obbligatorietà del dono

Mauss individua tre caratteristiche fondamentali del dono:  “dare, ricevere, ricambiare” e mostra come i tre fondamenti del dono fossero essenzialmente obbligatori all’interno delle comunità primitive da lui studiate. Si deve “dare” per mostrare la propria potenza, la propria ricchezza; si è nell’obbligo di “ricevere”, cioè non si può rifiutare il dono, pena  la scomunica della comunità ed il disonore; si deve “ricambiare”, cioè restituire alla pari o accrescendo ciò che si è ricevuto: restituire meno  di ciò che si è ricevuto è un’offesa al donatore.  Nel Saggio sul dono si mostra quindi come gli individui delle società arcaiche fossero obbligati a donare. Il dono non è quindi pratica libera, è un obbligo sociale, è un vincolo comunitario, non è liberalità del singolo, non è disinteresse. L’obbligo al dono è indotto innanzitutto da vincoli comunitari e di onore, chi non partecipa al rito del dono, chi non è nella capacità di reperire e possedere oggetti da  immettere nel circolo del dono,  è soggetto alla esclusione dal gruppo. Se si si rifiuta un dono, o non si ricambia in modo congruo, si incrinano i rapporti tra la famiglia del donatore e quella del donatario, si rompono legami di parentela, si creano rancori che possono durare tutta una vita.

Ma alla imposizione sociale si aggiunge lo spinta al dono determinata dall’animismo dei primitivi, che spiritualizzano gli oggetti e li credono provvisti di un anima. Nelle tribù studiate dall’antropologo francese gli uomini vedono negli oggetti una forza magica, un mana che le li lega indissolubilmente al donatore. Gli oggetti donati e ricevuti presentano caratteristiche magiche, simboliche, mitiche, religiose, immaginarie, che vincolano e influenzano la persona che le dona o le riceve. L’oggetto ricevuto possiede un anima e incorpora l’identità del donatore; il donatario che non se ne libera, che non ricambia al dono, verrà colpito e danneggiato dall’influsso dello spirito contenuto nell’oggetto. Si deve donare per non entrare in conflitto con lo spirito della cosa.

 Mauss citando la credenza degli indigeni nell’anima delle cose, indica come nelle tribù primitive le cose rivestono un valore altissimo, quasi pari a quello degli uomini. L’animismo delle tribù primitive eleva gli oggetti inanimati al rango di persone, pone in loro uno spirito ed una volontà.  Al di sopra di questo doppio fondamento, il legame forte tra uomini e cose, e la grande importanza delle cose, Mauss spiega come le cose possedute (e quindi donate) determinino propriamente  il valore degli individui all’interno della tribù: maggiore è il prestigio degli oggetti posseduti e donati, maggiore è il valore dell’uomo.

Nel Saggio sul dono si dimostra quindi, che nelle società primitive studiate, ma anche nelle società antiche come quella romana, le cose, “le res”, possedessero un valore più alto, una importanza maggiore di quella che gli oggetti possiedono nel mondo contemporaneo. Scrive Mauss a proposito della società romana: “ In origine le cose possedevano una personalità ed una virtù proprie. Le cose non sono quegli esseri inerti che il diritto Giustiniano e il nostro intendono. Innanzitutto fanno parte della famiglia: la familia romana comprende le res, oltre che le persone…”. Questa grande importanza che le cose rivestivano nel passato arcaico è in un qualche modo sorprendente e contro  il senso comune. Si può affermare che la communis opinio  interpreta il moderno come una epoca in cui si dona eccessiva importanza alle cose a detrimento delle persone. Mauss ci rivela come questa prospettiva sia un qualche modo falsa, e che nel passato si concedeva più, non meno valore alle cose.  L’autore indica questa enorme importanza attribuita alle res come aspetto comune a molte società arcaiche o primitive da lui studiate e fenomeno presente in grandi civiltà antiche come quella romana.

Il dono non è disinteressato, è “utile”

La scoperta della obbligatorietà del donare, nella individuazione delle relazioni sociali che inducono e forzano il donare e il contraccambiare al dono, pone la socialità del dono all’interno della nozione di utile. Mauss dimostra come il dono nel passato non fosse gratuito e disinteressato come la concezione contemporanea vuole fare credere: il donare è nell’interesse del donatore, cosi come il contraccambiare è nell’interesse del donatario.  L’individuo che non dona viene posto ai margini della società, cosi come il donatario che non accetta, o che non corrisponde al dono offende e incrina i legami con la famiglia del donatore.  In summa, chi non partecipa alla socialità del dono  subisce l’emarginazione. Come nota Marco Aime: “..il dono, come viene concepito nella sua accezione contemporanea, è il prodotto di un’idealizzazione portata avanti dal cristianesimo, per cui si parla di dono solo quando questo è assolutamente gratuito, unilaterale, senza aspettativa di ricambio, in poche parole, disinteressato”. Il dono descritto da Mauss nelle società primitive non è quindi gratuito e disinteressato, instaura un ricircolo dei beni cui tutti hanno interesse nel farne parte. Non solo, il dono  determina anche  una forma di “rudimentale credito”, una aspettativa di ricambio al dono, ”un potere” del donatore nei confronti del donatario.

 

Il dono rafforza i legami sociali e comunitari

La socialità del dono svolge una basilare funzione sociale, crea, rafforza e conserva i legami comunitari tra individui, tra famiglie, tra tribù, tra sessi. L’economia del dono, nell’obbligo a concorrere al continuo “dare e ricevere”, rinsalda e fortifica un fitto insieme di relazioni sociali e comunitarie all’interno delle tribù primitive. Afferma Mauss in merito a questo “costante give and take”: “…la comunione e la colleganza che esse stabiliscono sono relativamente indissolubili….questo simbolo della vita sociale, -il permanere della influenza delle cose scambiate-, non fa che esprimere, abbastanza direttamente, il modo in cui i sottogruppi di queste società frammentate, di tipo arcaico, sono costantemente  connessi reciprocamente e sentono di doversi tutto”. Il dono è rito sociale che rafforza la socialità. Mauss definisce il dono come facente parte “del sistema delle prestazioni totali”, in quanto meccanismo che interessa la totalità delle classi sociali e delle relazioni comunitarie, capace quindi di rinsaldare le relazioni tra tutte le classi sociali.

 

Il fatto sociale totale

Il “fatto sociale totale” è l’oggetto teorico definito da Marcel Mauss che ha maggiormente influenzato l’antropologia del secolo scorso. La nozione di “fatto sociale totale” è confluita, anche se con distinzioni fondamentali, nello strutturalismo del grande antropologo Claude Levi-Strauss. Per fatto sociale totale si intendevano quei fatti in grado di influenzare e determinare una messe di fenomeni di natura analoga, quei fatti cioè capaci di coinvolgere gran parte delle dinamiche della comunità. Come spiegato nei paragrafi precedenti il rito del dono è un fatto sociale totale, perché influenzava e colpiva la tribù in una molteplicità di fenomeni,  univa aspetti pratici ed economici a quelli mitici, affettivi,  e religiosi. Tutti i prodotti ed i beni immessi nel sistema della circolazione per mezzo del dono sono anche pretesto per creare e fortificare complesse trame di relazioni sociali. Attraverso un singolo fatto, un solo fenomeno, si poteva cosi spiegare la struttura e forma dei rapporti sociali nel suo complesso. Per Mauss il fatto sociale totale era un potente strumento a disposizione dello studioso: una struttura base attraverso la quale diveniva possibile dirimere ed interpretare dinamiche apparentemente lontane e di natura diversa. Ad esempio, attraverso fatti sociali totali di natura pratico-economica come il dono, si arriva poi a capire le forme magiche, religiose, etiche e morali della tribù. Levi-Strauss rileva come nel pensiero di Mauss,  in particolare nella teorizzazione del fatto sociale totale,  esista quindi un chiaro embrione “strutturalista”, dello strutturalismo sviluppato poi dal noto antropologo francese. Per Levi-Strauss c’è cioè in Mauss “…una certezza di ordine logico e cioè che lo scambio  sia il denominatore comune di un gran numero di attività sociali apparentemente eterogenee”: un solo fenomeno che determina poi l’intera struttura.

 

Il rudimentale aspetto economico del dono

Mauss  nota che questa obbligatorietà al restituire, è una forma rudimentale di credito, ed affermando ciò l’autore porta una critica alla “sociologia inconsapevole”, cioè a quella sociologia colpevole di riconoscere il solo baratto, cioè lo scambio simultaneo di beni, come forma economica di commercio delle società antiche. Nelle società arcaiche esiste anche un “termine”, un tempo stabilito, entro il quale il dono deve essere ricambiato, entro il quale il debito deve essere risarcito. Entro questo termine il donatario è colpito dalla influenza negativa della cosa donata. Entro questo tempo il donatario diviene soggetto al giudizio negativo della comunità. Il dono diviene quindi un baratto a scadenza, uno scambio ricambiato a termine, e rientra a tutti gli effetti in una dinamica economica primitiva. Dice l’autore nel Saggio sul dono: “…il dono si porta dietro necessariamente la nozione di credito. L’evoluzione non ha fatto passare il diritto all’economia del baratto alla vendita, e la vendita da quella in contanti a quella a termine. E’ da un sistema di doni, dati e ricambiati a termine, che sono sorti, invece, da una parte, il baratto, per semplice avvicinamento di tempi separati, e dall’altra, l’acquisto e la vendita, quest’ultima a termine ed in contanti, ed anche il prestito”. Nel tracciare una sorta di genealogia della prassi economica della vendita, il dono verrebbe prima del baratto per l’etnologo francese. Il baratto sarebbe originato dal dono come avvicinamento dei tempi di ricambio della cosa donata; dal baratto si sarebbe poi passati alla vendita. All’interno di questa interpretazione del dono come economia rudimentale, possiamo anche dire che questo “obbligo della reciprocità”, al corrispondere sempre più di quanto si sia ricevuto, si presenti come una spinta, come una  fonte di dinamismo di questa “economia primitiva e premoderna”. Il donatario, costretto al ricambio del dono pena la scomunica sociale, si vede nella necessità di reperire, produrre e possedere una quantità crescente di oggetti, aumentando cosi la quantità di beni circolante. Il fondamento economico del dono delle società arcaiche è però nettamente differente dalla concezione economica moderna che scinde abissalmente gli aspetti materiali-produttivi  da quelli etici-affettivi.  Il dono rientra in quello che Mauss definisce il “sistema delle prestazioni totali”, quel sistema che coinvolgendo, oltre che tutte le classi sociali, anche tutte le forme della vita comunitaria, è sistema sociale ed economico nel contempo. Il dono quindi occupa tutti gli aspetti della vita della comunità, sia quelli economici che quelli sociali. La dimostrazione che nelle società arcaiche non vige la separazione tipica del moderno, tra sfera economica e  sfera sociale-affettiva, è un importante lascito dell’antropologia culturale proposta da Mauss.  Coerente con la dimostrazione della ricerca dell’interesse e dell’utile come fondamento di tutte le socialità basate sul dono, nelle conclusioni del Saggio sul dono, Marcel Mauss deriva una interessante interpretazione dell’Homo oeconomicus. Il carattere distintivo dell’Homo oeconomicus moderno, la differenza di esso se rapportato all’uomo arcaico, non consterebbe appunto nella ricerca dell’utile e dell’interesse, che già era presente nelle società primitive (e nel dono), ma nella razionalizzazione e tecnicizzazione di questa ricerca. Per Mauss non è la presenza di un fondamento di utile ad indicare l’uomo economico contemporaneo contrapposto ad un “disinteressato e buon primitivo”, sarebbe la scientificità con cui nel moderno si organizza l’utile: sono il puro e freddo calcolo e la razionalità applicata del capitalista e del banchiere, ad identificare e contraddistinguere l’uomo economico moderno.

 

Il rito del potlàc

Il rito del potlàc (scritto anche potlatch o potlach) è una cerimonia tipica di alcune tribù native del nordamerica occidentale (Canada e Stati Uniti). Mauss inserisce questa usanza nelle “prestazioni sociali di tipo agonistico”. Se nelle “prestazioni totali” o “fatti sociali totali” si dischiudevano meccanismi sociali capaci di coinvolgere la comunità nel suo complesso, nelle “prestazioni sociali totali di tipo agonistico” si aggiunge una competizione sfrenata tra individui volta alla affermazione dello status sociale. Nell’usanza del potlàc, durante un ricco banchetto a cui partecipa tutta la comunità venivano distribuiti e scambiati beni, e, in un’ orgia annientatrice, apparentemente irrazionale ed immotivata, si attuava la distruzione di beni di prestigio e di consumo, bruciando carne di foca e di salmone, incenerendo vestiti e pelli di animale, spargendo per terra olio e sale. Nel potlàc gli individui della comunità gareggiano a chi riesce ad accumulare la maggior quantità di beni da distribuire e sperperare: chi sperpera di più ottiene il primato sociale e si afferma come individuo di valore. Il valore dei beni distribuiti e sperperati diventa quindi la misura del valore dell’uomo, sancisce il rango nella comunità, la sua potenza: un individuo di alto rango deve poter disporre, distribuire e sperperare, beni  commisurati al suo status sociale. Più si è in alto, più si deve distribuire e distruggere, pena il declassamento sociale. Mauss constata come il potlàc sia parte della economia del dono, ed allo stesso tempo ne sia anche la magnificazione, ne rappresenti l’esasperazione. Come nel dono anche nel rito del potlàc gli individui sono, sia per motivi magici che sociali, obbligati a donare, obbligati al ricambiare più di quello che gli altri hanno donato loro, i componenti della tribù sono vincolati nel distruggere una quantità sempre maggiore, sempre crescente, di beni. Il potlàc è quindi essenzialmente sperpero e profusione irrazionale di energie, dei singoli e della comunità,  ed è per questo una ritualità la cui essenza è nettamente contrapposta a quella mercantilistica e borghese del risparmio, dell’accumulo e dell’uso razionale (cioè produttivo) delle risorse.

 

 

 

Frasi e riflessioni di Marcel Mauss

 “ L’obbligo di donare non è meno importante; il suo studio offrirebbe la possibilità di comprendere come sia invalso tra gli uomini il sistema dello scambio. Possiamo indicare solo alcuni fatti. Rifiutarsi di donare, trascurare di invitare, cosi come rifiutare di accettare equivalgono ad una dichiarazione di guerra; come rifiutare l’alleanza e la comunione. Si fanno dei doni perché si è obbligati a farli, perché il donatario ha una specie di diritto di proprietà su tutto ciò che appartiene al donatore”.  (Saggio sul dono)

 

“Nessuno è libero di rifiutare un regalo offertogli. Tutti, uomini e donne, tentano di superarsi l’un l’altro in generosità. C’era una sorta di rivalità, nascente dal desiderio di offrire un maggior numero di oggetti e di maggior valore”. Dice Mauss citando Radcliffe-Brown (Saggio sul dono).

 

“Ma in tutte le società possibili, la natura peculiare del dono è quella di obbligare nel tempo”. (Saggio sul dono)

 

“ La cosa donata frutta una ricompensa in questa vita e nell’altra. Qui produce automaticamente per il donatore una cosa identica a se stessa: non è perduta, si riproduce; là, è la stessa cosa accresciuta che viene ritrovata”. (Saggio sul dono)

 

“Ma il motivo di questi doni e di questi sperperi forsennati, di queste perdite e queste distruzioni folli di ricchezza non è in nessun grado disinteressato, soprattutto nelle società dove è in uso il potlàc. E’ attraverso i  doni che si stabilisce la gerarchia tra capi e vassalli, tra vassalli e seguaci.  Donare, equivale a dimostrare la propria superiorità, valere di più, essere più in alto, magister; accettare senza ricambiare o senza ricambiare in eccesso, equivale a subordinarsi, a diventare cliente o servo, farsi più piccolo, cadere più in basso (minister)” (Saggio sul dono)

 

“In questo caso, la ricchezza è, da tutti i punti di vista, un mezzo per ottenere prestigio e una cosa utile. Ma è certo che le cose da noi vadano diversamente e che la ricchezza non sia, prima di tutto, il mezzo per imporre agli altri la propria volontà?”.  (Saggio sul dono)

 

 

 

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