RODOLFO MONDOLFO

A cura di Diego Fusaro


" La conoscenza critica della realtà è la premessa necessaria ad ogni azione storica. Significa che il materialismo storico è - come io credo di averlo definito con una certa esattezza - una concezione critico-pratica. Dalla critica della realtà sociale alla praxis storica: questo cammino segna il superamento dell'antitesi di volontarismo e fatalismo in un concetto realistico e vivo della necessità storica. Tanto più realistico e tanto più vivo, in quanto la formula sopra enunciata si rovescia nella sua reciproca; perché se non è possibile cangiare senza interpretare, d'altra parte solo chi vuol cangiare ed agire sa interpretare. Lo sforzo teorico del filosofo è vano se non è accompagnato e sorretto dalla volontà d'azione: soltanto nella praxis storica quindi si compie e si saggia nella sua verità la critica della realtà sociale. "

INDICE
VITA E OPERE
IL PENSIERO

VITA E OPERE

Rodolfo Mondolfo, nato a Senigallia il 20 agosto 1877, è l'ultimo di quattro fratelli di una famiglia di origine ebraica. Dopo aver frequentato il liceo della città marchigiana, nel 1885 si era iscritto alla sezione di filosofia e filologia dell'Istituto di sudi superiori e pratici di Firenze. Fu grazie al fratello Ugo Guido, che da Firenze si accingeva a trasferirsi a Siena per completare gli studi universitari, che egli entrò in contatto con un gruppo di giovani studenti che si ritrovavano presso la casa fiorentina di Ernesta Bittanti in via Lungo il Mugnone. Rodolfo, di qualche anno più giovane, poté incontrare e successivamente entrare in rapporti d'amicizia con Ernesta, futura moglie di Cesare Battisti, con lo stesso Battisti all'epoca giovane studioso di geografia, con lo storico della letteratura Alfredo Galletti, con Gaetano Salvemini e Gennaro Mondaini. Fu in questo stesso gruppo di amici, grazie alle frequenti discussioni e alle letture comuni sotto lo sguardo attento di maestri della qualità di Pasquale Villari, che maturò una sorta di adesione collettiva al nascente Partito socialista. Gli anni della formazione fiorentina, le discussioni interne a quella piccola comunità di giovani intellettuali appassionati per le questioni sociali e per i problemi non risolti nel processo di unità nazionale, rimasero un punto di riferimento per il successivo percorso intellettuale e politico di Mondolfo. Per le sue qualità di storico della filosofia, legato all'apprendimento del mestiere di esperto lettore di testi, non va dimenticata l'incidenza della lezione di Pasquale Villari, del grecista Girolamo Vitelli, dello storico della filosofia Felice Tocco, dal quale venne indirizzato ai primi studi sull'associazionismo e sulla psicologia cartesiana. Per l'evoluzione delle sue posizioni politiche, sempre legate a un forte impegno intellettuale e teorico, Mondolfo rimase nel tempo legato agli orientamenti del riformismo turatiano, aprendosi, specie rispetto alla diagnosi del caso italiano e delle sue crisi, alle interpretazioni di Salvemini. Quando Mondolfo giunse a Bologna nel 1913, dopo aver insegnato a Padova e a Torino, aveva appena pubblicato presso l'editore Formaggini il suo " Materialismo storico in Federico Engels ". Negli anni precedenti, oltre ad essersi impegnato nel lungo e tormentato lavoro di studio e di redazione di tale opera, si era confrontato con i nodi principali della filosofia moderna sviluppando un particolare interesse per il pensiero etico-giuridico nei suoi rapporti con la politica e la realtà sociale. Una ricerca che avvicina Mondolfo al leader del socialismo francese Jaurès, nel tentativo di rendere compatibile all'interno del materialismo storico l'assunzione di alcuni elementi del giusnaturalismo e della tradizione rivoluzionaria dei diritti dell'uomo, e che si inquadra in un significativo sforzo di etica della politica e del socialismo. Non a caso Mondolfo, intrecciando passione politica e ricerca, intervenne più volte sui rapporti tra socialismo e filosofia: su L'Unità salveminiana, su Critica sociale, ma anche sulle più significative riviste dell'antifascismo, quelle dirette da Piero Gobetti e da Carlo Rosselli, "Energie Nuove", "Rivoluzione liberale" e "Quarto Stato", dando volutamente vita ad un dialogo proficuo fra generazioni. Anche la fortunata raccolta di studi " Sulle orme di Marx " (1919), è espressione di un'analoga tensione: il socialismo italiano aveva bisogno di una propria autonoma coscienza teorica, una coscienza che fosse strumento di analisi della realtà e che sapesse cogliere la vitalità del rapporto soggetto/oggetto; un marxismo interpretato secondo la formula di matrice gentiliana di " rovesciamento della prassi ". Nel contempo questa proposta teorica non poteva prescindere dall'analisi di due grandi eventi spartiacque: la Rivoluzione russa e la prima guerra mondiale con i suoi effetti sulla crisi del dopoguerra italiano. Fattori di grande impatto e di cambiamento epocale che trovano adeguata trattazione nell'accresciuta terza edizione di " Sulle orme di Marx ", in particolare nel I volume che raccoglie gli " Studi sui tempi nostri ". Secondo Mondolfo, nella doppia veste di autore e di direttore della collana, il nuovo volume offre " una nuova vigorosa analisi della crisi contemporanea, una del problema sociale del dopoguerra e un ampio studio sulla rivoluzione russa: il primo tentativo di sintesi storica della genesi, degli aspetti e dell'evoluzione del grande fatto storico ". Ad indicare la rilevanza del nesso fra indagine storica, politica, economico-sociale del dopoguerra e ricerca marxiana, che appunto si incarica di indicare le orme di Marx da seguire nell'azione, va ricordato il dibattito che le varie edizioni dell'opera, tre nell'arco di quattro anni, e che progressivamente andava accrescendosi, contribuì a produrre fuori e dentro l'area socialista e il mondo accademico. Dibattito che ebbe tra i protagonisti, per citare solo alcuni nomi rappresentativi di generazioni diverse e di diversi orientamenti politici e filosofici, Gaetano Mosca, Carlo Rosselli, Balbino Giuliano, Lelio Basso, Ermanno Bartellini, Ernesto Cesare Longobardi, Guido De Ruggiero, Adriano Tilgher, Alessandro Levi. Fra le pieghe di quel dibattito, solo parzialmente ricostruito nel suo orizzonte teorico-politico generale, vanno ricercate le ragioni di fondo dell'iniziativa editoriale, del progetto della collana e delle singole opere da essa promosse e pubblicate. Nel 1923, con i tredici titoli fino ad allora stampati e con i contatti già avviati per altre opere chiamate ad arricchire la collana, si era già chiaramente delineato l'articolarsi del progetto. I testi già usciti e l'annuncio degli altri volumi vengono dal direttore della collana inquadrati in tre titoli, sorta di sezioni, alle quali corrispondono tre proposte di promozione commerciale per l'acquisto dei volumi: " Socialismo e movimento operaio "; " Il fascismo e i partiti politici italiani ", gruppo di testi ai quali si collega il volume di Panunzio su " Diritto, forza e violenza "; infine " Problemi del dopoguerra ". Dei due titoli che successivamente verranno pubblicati, " La Rivoluzione liberale " di Gobetti e i " Saggi intorno alla concezione materialistica della storia " di Antonio Labriola curati da Luigi Del Pane di cui non si fa menzione nella presentazione del 1923, non è difficile riconoscere la collocazione all'interno di una di queste tre sezioni. Così come i volumi annunciati ma non realizzati: è il caso dello scritto di Balbino Giuliano " Il fascismo secondo un nazionalista ", di cui si annuncia l'imminente pubblicazione, o il volume di Gino Luzzato, " Politica ed economia nell'Italia d'oggi ", annunciato nel volume di Filippo Turati. Dedicato alla storia e alla teoria del movimento operaio e socialista è l'opera capitale di Mondolfo " Sulle orme di Marx ", III edizione, la cui analisi dei problemi politici e sociali del dopoguerra ci conduce alla celebre inchiesta su " Il fascismo e i partiti politici italiani ", anch'essa imposta dalla cronaca, dalla storia recente, dagli effetti dirompenti della crisi italiana. " Da quando, per l'accrescimento delle sue schiere e per lo sviluppo della sua azione politica, il fascismo è apparso nella sua importanza di fatto storico, si sono moltiplicate in contrasto le apologie dei seguaci e le polemiche degli avversari ". In tale contesto, dove passioni e conflitti rendono impossibile la " serenità della conoscenza storica, l'unica anticipazione possibile del giudizio della storia era in una raccolta sistematica delle visioni e valutazioni di tutti i diversi partiti politici ". Da qui l'idea di raccogliere " i punti di vista dei diversi partiti politici sul fascismo, chiamando a scrivere sull'argomento rappresentanti eminenti di tutti, per offrire al pubblico il poliedrico gruppo delle divergenti visioni ". Su questa importante impresa mondolfiana già Renzo De Felice ha avuto modo di esprimersi, pubblicando nel 1966 presso l'editore Cappelli l'intero materiale dell'inchiesta " Il fascismo e i partiti politici ", sottolineando anche in tempi più recenti l'importanza documentaria e la qualità delle analisi. In queste note è possibile solo constatare la grande articolazione del progetto e, appunto, la qualità e la rappresentatività degli autori chiamati a collaborare. Dai fascisti Adolfo Zerboglio e Dino Grandi, il primo autore di uno scritto analitico, legato alla ricostruzione degli eventi, il secondo " pieno di ardore e vibrante di fede, che qualche critico ha giudicato la mente più pensosa e viva, per cultura e per fede filosofica, che sia apparsa nel movimento fascista ", al giornalista Mario Missiroli con il suo studio critico su " Il fascismo e la crisi italiana ".Dalle presenze oltremodo scomode, dal repubblicano Guido Bergamo, alle firme altrettanto significative e pesanti dell'anarchico Luigi Fabbri, dell'avvocato ex-popolare Cesare Degli Occhi, agli esponenti socialisti Giuseppe De Falco e Giovanni Zibordi. Mancano all'appello i nazionalisti, per i quali è in cantiere il saggio di Balbino Giuliano che però non verrà pubblicato, e i comunisti, che rifiutarono di aderire all'iniziativa. Programmati ma non realizzati gli interventi del popolare Filippo Meda e del nazionalista Roberto Forges Davanzati, che dopo aver promesso la collaborazione a un volume Studi sul fascismo " stimarono più prudente chiudersi in un'astensione diplomatica ". Discorso a parte merita la pubblicazione del volume di Sergio Panunzio, " Diritto, forza e violenza. Lineamenti di una teoria della violenza " (1921), che si " collega con la raccolta sul fascismo, rappresentando quasi una teorizzazione dell'azione di questo ", per il quale Mondolfo compose una prefazione intitolata "Forza e violenza nella storia" (aprendo una discussione). Nel 1922 era iniziato il carteggio che più significativamente caratterizza l'attività di Mondolfo come direttore della collana. Si tratta delle lettere scambiate con Gobetti in vista della pubblicazione de " La Rivoluzione liberale ". Pubblicazione che avvenne nel 1924, dopo un lungo lavoro di rielaborazione e di nuova articolazione del materiale originario (gli articoli apparsi su "Rivoluzione liberale"), ma che egli, probabilmente per un delicato contenzioso con l'editore, non volle o non poté annunciare nel 1923. Non è questo il luogo per entrare nel merito della pubblicazione dell'opera gobettiana e del ruolo di attenta e partecipe supervisione esercitato da Mondolfo. Già Norberto Bobbio, pubblicando le lettere di Mondolfo a Gobetti, ha avuto occasione di inquadrare il loro rapporto intellettuale, politico e teorico, mettendo in luce gli elementi di dissenso e prendendo in considerazione la collaborazione di Mondolfo alle riviste gobettiane e le critiche che Gobetti e i suoi collaboratori riservarono all'autore di " Sulle orme di Marx ". Rimane interessante considerare alcuni elementi che emergono dal carteggio: a partire da una testimonianza che Mondolfo rilasciò a Renato Treves in una lettera del 25 dicembre 1963 relativa ai suoi rapporti con Gobetti: " la corrispondenza con Gobetti [da parte di Mondolfo andata distrutta nel 1939 con l'esilio argentino] si svolse a proposito della collaborazione di lui alla "Biblioteca di studi sociali" che io dirigevo allora per l'editore Cappelli di Bologna nella quale egli desiderò pubblicare la prima edizione del libro La rivoluzione liberale [...]. Ricordo che allora mi scrisse che desiderava che il suo libro uscisse in quella raccolta alla quale diceva io avevo dato una fisionomia a lui grata; e ricordo che sui problemi dei vari capitoli da inserire e dell'ordine in cui disporli avemmo a scambiarci alcune lettere ". Dalla corrispondenza di Mondolfo risulta che Gobetti propose la pubblicazione dello scritto, sotto forma di raccolta di saggi e articoli vari, il 19 luglio 1922. All'epoca la collana aveva dato alle stampe i testi di Mondolfo, Turati, Panunzio, Missiroli, Zerboglio e Grandi; mancavano ancora i volumi di Luigi Fabbri e Cesare Degli Occhi, per completare l'inchiesta sul fascismo, e i saggi di Salvemini, Carli e Viterbo. Non è quindi difficile immaginare che Gobetti fosse interessato proprio all'inchiesta sul fascismo e alle riflessioni mondolfiane, che pur egli non condivideva fino in fondo, sulla crisi del dopoguerra dettate in " Sulle orme di Marx " e negli articoli che il professore dell'Università di Bologna aveva pubblicato sulle riviste gobettiane. La risposta di Mondolfo è positiva. Chiede un rinvio di un anno per rispettare i precedenti accordi con l'editore e rilancia, dando una prima indicazione che nel corso della corrispondenza verrà ulteriormente specificata, raccomandando " di dare alla raccolta un assetto organico, in modo che risulti un libro piuttosto che una raccolta, di cui i vari scritti appaiono capitoli e non articoli disgiunti e indipendenti ". Un impegno di lavoro che Gobetti porterà fino in fondo, integrando, sfumando giudizi troppo pesanti o perentori, componendo nuove parti e nuovi capitoli. Il direttore editoriale Rodolfo Mondolfo, che pur con Gobetti era entrato più volte in contrasto, svolse il proprio lavoro, rispettando e incoraggiando il giovane autore, tutelando l'editore, contribuendo a dare alle stampe un testo che grande fortuna ebbe nel secondo dopoguerra, visto che dopo il 1924 la furiosa reazione fascista distrusse buona parte della collana mondolfiana.

IL PENSIERO

Nonostante le aspre critiche mossegli da Croce e da Gentile, il marxismo aveva continuato a svilupparsi in Italia e a dare rilevanti frutti anche sul piano teorico, grazie soprattutto all'opera di Rodolfo Mondolfo (1877-1976). Marchigiano di origini ebree, ebbe un'originaria formazione positivistica (fu in qualche misura vicino alle posizioni di Ardigò) e, a partire dal 1903, collaborò a "Critica sociale", la rivista diretta da Filippo Turati. Nel 1910 diventò professore all'Università di Torino e, in seguito, a quella di Bologna; però nel 1938, a cause delle infami leggi razziali varate dal regime fascista, fu costretto ad abbandonare l'insegnamento e l'Italia, riparando in Argentina come esule. Proprio in Argentina ottenne una cattedra prima all'università di Cordoba e poi a quella di Tucumàn. Dopo la guerra, pur ritornando di tanto in tanto in Italia, continuò a vivere in Argentina, dove si spense nel 1976. Mondolfo scorge nel marxismo il punto culminante delle concezioni della libertà e della democrazia, elaborate dal pensiero politico moderno: il marxismo è la filosofia di cui il movimento operaio ha bisogno per realizzare il compito storico che gli spetta, la realizzazione del regno della libertà. A illustrare le caratteristiche del marxismo inteso come progetto finalizzato all'attuazione della libertà, Mondolfo dedica una nutrita serie di studi, da " Il materialismo storico di Federico Engels " (1912) all'insieme di studi dal titolo " Sulle orme di Marx " (1919, più volte riediti), fino alla raccolta, curata da Norberto Bobbio, " Umanismo di Marx " (1968). La linea interpretativa del marxismo era sempre stata divisa (e sempre lo sarà) su un punto essenziale: chi, come Althusser e Geymonat, legge il marxismo come filosofia deterministica e materialistica, e chi, come Mondolfo e Gramsci, lo legge invece come "filosofia della prassi", quasi come una sorta di umanesimo che ravvisa nell'agire libero degli uomini il motore della storia. Certo, spiega Mondolfo, non si tratta di una libertà assoluta, poiché l'uomo trasforma con la sua azione la natura e la storia sempre a partire da condizioni date, e l'ambiente da lui trasformato reagisce, a sua volta, sull'uomo, che procede a ulteriori trasformazioni, secondo un ritmo che Mondolfo, riprendendo l'interpretazione di Giovanni Gentile, definisce " la prassi che si rovescia ". Questo vuol dire che ogni momento del processo storico condiziona sempre il successivo e che, tra i vari momenti, esiste un legame di continuità. Una rivoluzione può dunque aver luogo solamente se sono mature le condizioni storiche che la rendono possibile: sotto questo profilo, Mondolfo giudicherà la rivoluzione russa del 1917 una forzatura del processo storico, costretta a impiegare la violenza, come metodo d'azione, e a fondarsi sulla dittatura di un gruppo rivoluzionario e non del partito operaio. In opposizione a questa forma di "volontarismo", che trascura le reali condizioni storiche in atto, Mondolfo riconosce il peso della struttura economico-sociale, ma escludendo sempre ogni forma di concezione fatalistica dell'evoluzione storica e abbracciando invece le posizioni del socialismo riformista. Dopo l'avvento del fascismo, Mondolfo si dedicò prevalentemente a studi di storia della filosofia, soprattutto antica, ma sempre alla luce del presupposto di una continuità tra le varie epoche storiche: sotto questo profilo, soprattutto con i volumi su " L'infinito nel pensiero dei Greci " (1934) e " La comprensione del soggetto umano nella cultura antica " (1955), egli tenderà a mettere in evidenza la presenza di concezioni dell'infinito e della soggettività nel mondo antico, in polemica contro la tesi di Gentile secondo cui la filosofia degli antichi sarebbe stata esclusivamente una forma di oggettivismo e una dialettica del pensato, non del pensare.

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