PAUL NATORP

A cura di Diego Fusaro



Paul Natorp (1854-1924) è, insieme a Cohen, il principale esponente della cosiddetta "scuola di Marburgo", proponente un critico "ritorno a Kant". Laureatosi insieme a Gadamer, Natorp fu professore a Marburgo a partire dal 1892 e autore de "La dottrina platonica delle idee" (1903) e dei "Fondamenti logici delle scienze esatte" (1910). Egli si mantiene fedele alla stragrande maggioranza dei capisaldi del pensiero di Cohen, estendendoli anche ai campi della pedagogia e della psicologia, naturalmente non a quella empirica, ma ad una psicologia concepita come vera e propria scienza filosofica, identificabile in fondo con la logica come conoscenza pura. Natorp fa particolarmente leva sull'aspetto logico-metodologico della filosofia, inteso come la trasformazione di ogni fatto - che diventa così un fieri - in problema; ciò implica il riferimento a premesse sempre più fondamentali, nel tentativo di una sempre più rigorosa - ma mai definitiva - legalizzazione dell'esperienza. In questa direzione, si muove anche la sua interpretazione della dottrina platonica delle idee, considerate come le norme della conoscenza vera, i princìpi della sua universalità e necessità. Natorp rimprovera al maestro Cohen di aver preteso di unificare le varie espressioni della cultura in un sistema filosofico dominato dal primato esclusivo della logica e della scienza matematica della natura. La moralità, la religione, l'arte sono forme della coscienza che, per essere diverse da quella scientifica, non sono però meno autentiche di questa e richiedono un'unità del sistema della cultura che la logica non è in grado di offrire. Ne deriva il recupero, avviato nell' "Introduzione alla psicologia secondo il metodo critico" (1888), della psicologia, cui Natorp affida il compito di raccogliere nell'unità della coscienza le diverse oggettivazioni della cultura, riconducendole al corrispondente "vissuto soggettivo". Ma non per questo Natorp si allontana dalle istanze neocriticistiche: tant'è che non parla di psicologia empirica, bensì di psicologia filosofica impegnata, per potersi costruire come scienza, a ricondurre il vivente mondo della coscienza all'oggettività di un sistema di leggi, ma insieme anche intesa a recuperare, in un movimento di approssimazione all'infinito, la soggettività pura nella sua originaria immediatezza. Questo aspetto del pensiero di Natorp eserciterà una significativa influenza sulla filosofia fenomenologica di Husserl. Un altro importante contributo al neocriticismo è rappresentato dal modo in cui Natorp mostra di intendere il fatto, ossia gli oggetti di cui si occupa la scienza. In sintonia con Cohen nel considerarli produzioni del pensiero, egli nega che siano qualcosa di fisso e di determinabile una volta per tutte. Viceversa, l'oggetto del sapere scientifico non si esaurisce mai del tutto nelle determinazioni, sempre provvisorie, attraverso le quali la scienza viene definendolo, bensì perché è in se stesso un indeterminato in via di determinazione mai destinata a concludersi. Insomma, l'oggetto non è un dato preesistente alla ricerca, bensì un "compito" che non si lascia mai esaurire. Scrive Natorp nei "Fondamenti logici delle scienze esatte":

" Non si può dunque più parlare di un 'fatto' nel senso di un sapere conchiuso, ma ogni conoscenza che colma con una lacuna del sapere antecedente susciterà nuovi e maggiori problemi […] 'comprendere' non significherà giungere col pensiero a un punto fermo, ma al contrario, togliere nuovamente nel movimento quell'apparente punto fermo. 'Mi si è fermato il cervello', recita il linguaggio popolare per dire che non si capisce nulla; anch'esso ha dunque coscienza del fatto che l'intelletto è movimento, che l'immobilità equivale al non comprendere […] il 'fatto' della scienza deve essere inteso solo come 'fieri'. Quel che importa è ciò che si va facendo, non ciò che si è fatto. Il 'fieri' solo è il fatto; tutto l'essere che la scienza cerca di 'stabilire' deve risolversi di nuovo nel flusso del divenire. E di questo divenire, ma soltanto di esso, si può dire che è " .

Un importante completamento di questa concezione faustiana dell'essere lo troviamo nella lettura kantiana che Natorp propone di Platone, o, se si preferisce, nella lettura platonica che egli fa di Kant. In un famoso saggio del 1903, "La dottrina platonica delle idee. Un'iniziazione all'idealismo.", egli legge la filosofia platonica alla luce della teoria kantiana delle "categorie". Contro la tradizione risalente ad Aristotele, che aveva scorto nelle idee di Platone delle realtà "date", delle "super-cose" esistenti in un mondo trascendente, Natorp le interpreta come la pensabilità delle cose: esse rappresentano le leggi del procedimento scientifico, le funzioni a priori della conoscenza, i princìpi regolativi che esprimono il termine, il punto posto all'infinito al quale sono rivolte le vie dell'esperienza. La lettura delle idee platoniche che dà Natorp è in aperto contrasto con quella che affiora nella "Dialettica" della "Critica della ragion pura", dove Kant sosteneva che il platonismo sta nell'assimilare le idee di Platone non già alle categorie dell'intelletto, bensì alle noumeniche idee della ragione, veri e propri scavalcamenti dell'empiria. Non è però una dissonanza casuale: ciò che la Scuola di Marburgo respinge di Kant è, per l'appunto, la distinzione tra sensibilità, intelletto e ragione, che essa riconduceva invece ad un medesimo sattuto epistemologico. Una tale riduzione determina l'esaurirsi della ragione nell'immanenza della conoscenza scientifico-naturale e il venir meno di quella tensione verso la noumenicità, che aveva segnato, in senso realmente platonico, la ragione kantiana.

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