LE CRITICHE AL MARXISMO DI KARL POPPER

 

 

A cura di Roberta Musolesi

 

 

 

Opere di riferimento:       Karl Popper, La società aperta e i suoi nemici. Hegel e Marx falsi profeti

                            Karl Popper, Miseria dello storicismo

 

Prima di analizzare in dettaglio le critiche che Popper muove nei confronti del pensiero di Marx, è opportuno prendere in considerazione i contributi di Popper stesso in materia di filosofia politica, contributi peraltro sviluppati proprio nelle due opere di riferimento citate.

La peculiarità di queste opere, che si inseriscono nel grande filone del pensiero democratico novecentesco, da Russell a Dewey, consiste nel tentativo di difendere le ragioni della libertà e del pluralismo con argomentazioni di natura epistemologica.

Il primo è più importante bersaglio delle critiche popperiane è rappresentato dallo storicismo, che per Popper non coincide con una specifica corrente di pensiero, bensì con uno schema concettuale attraverso il quale egli allude a tutte le filosofie che hanno preteso di cogliere un senso globale oggettivo alla storia e vi hanno individuato una sorta di destino cui gli individui dovrebbero uniformarsi, accettandone la direzione di marcia e il processo di sviluppo, che viene quindi profetizzato.

La critica che Popper muove nei confronti dello storicismo è riconducibile a due motivi, uno di ordine teorico-metodologico e l’altro di carattere pratico-politico:

1)    motivo teorico-metodologico:

-         lo storicismo ha la pretesa di cogliere la struttura necessaria che formerebbe l’essenza della storia e del destino dell’uomoà per Popper non esiste un senso della storia precostituito in quanto il senso della storia è quello che gli uomini stessi, mediante la loro azione, le danno. Ne La società aperta e i suoi nemici Popper afferma infatti che né la natura, né la storia possono dirci ciò che dobbiamo fare, in quanto siamo noi ad attribuire finalità e significato alla storia stessa;

-         lo storicismo pretende di parlare di totalità o di intero della storia, come accade in Lukacs, mentre, secondo Popper, nella prassi concreta delle scienze e della ricerca, se vogliamo studiare qualcosa, siamo costretti a sceglierne solo alcuni aspetti. Nell’ottica popperiana, come emerge dalla lettura di Miseria dello storicismo, non è possibile studiare o descrivere l’intero mondo o la totalità della natura poiché la descrizione è sempre necessariamente un processo selettivo;

-         lo storicismo confonde fra leggi e tendenze. In modo assolutamente analogo a quanto accade, ad esempio, in astronomia nella predizione delle eclissi, lo storicismo pretende di prevedere il futuro degli uomini, partendo dal presupposto che sia possibile anticipare gli sviluppi della storia e le rivoluzioni. Secondo Popper, una previsione, per essere veramente scientifica, deve basarsi non su una tendenza, su un andamento cioè che può perdurare per secoli, ma che può anche mutare repentinamente per qualche decennio, ma su una legge.

2)    motivo pratico-politico:

-         nello storicismo è sempre annidata un’ideologia totalitaria che produce sottomissione e sofferenza per gli uomini. Se si ritiene infatti che possa darsi un senso oggettivo alla storia, coloro che se ne ritengono gli interpreti e i portavoce non avranno alcuna esitazione a liquidare e a eliminare chiunque si opponga allo svolgimento della direzione inevitabile che la storia stessa deve imboccare.

Lo storicismo, quindi, rigidamente deterministico nella sua pretesa di prevedere “scientificamente” il corso della storia, viene giudicato da Popper pseudoscienza: le filosofie profetiche della storia, come quelle di Hegel o di Marx, sono a suo avviso errate nell’impostazione e mitiche nel contenuto. Inoltre, dal suo punto di vista, la visione storicistica, che presume di cogliere delle leggi generali di sviluppo della società, si accompagna necessariamente ad una forma di esercizio concreto della politica  caratterizzato da intolleranza e violenza.

Altro tema delle riflessioni politiche popperiane, che si accompagna alla critica dello storicismo, è l’antitesi fra società chiusa e società aperta, in cui Popper riprende un’analoga distinzione di Bergson e che potrebbe essere così schematizzato:

 

Società chiusa

Società aperta

 

Organizzata secondo norme rigide di comportamento e basata su un controllo soffocante della collettività sull’individuo

 

ß

 

Trova un potente alleato nello storicismo e si evidenzia storicamente in:

-         Eraclito

-         Platone: teorico di un modello statale organicistico

-         Hegel: teorico di un modello statalista antidemocratico

-         Marx: teorico del collettivismo totalitario

 

È fondata sulla salvaguardia della libertà dei suoi membri, garantita da istituzioni percepite e pensate come autocorreggibili, aperte alla critica e alle proposte di riforma, e sulla DOTTRINA DELLA DEMOCRAZIA che prevede:

 

a)     difesa della democrazia, che non è la soluzione perfetta per ogni situazione, in quanto anche in democrazia può darsi eccessiva concentrazione di potere, ma è una delle condizioni necessarie per conoscere e verificare le conseguenze nel sociale delle azioni politiche;

b)    difesa dell’economia competitiva, ritenuta  sia più efficace sul piano concreto rispetto all’economia pianificata, soffocata dalla  burocrazia e dello strapotere dello stato, sia più rispondente all’obiettivo prioritario della tutela della libertà;

c)     strenua difesa della libertà, realizzata evitando forme di governo che comportino un’eccessiva concentrazione di potere

 

 

La difesa della democrazia comporta per Popper la critica dell’atteggiamento rivoluzionario.

Esso sorge, secondo Popper, da un sogno utopistico di perfezione e di armonia che non può fare e meno di generare violenza: l’idea di una società che deve essere necessariamente bella come un’opera d’arte, porta inevitabilmente ad adottare misure violente, in quanto il politico, in virtù di questo ideale estetico, si sente portato a liquidare e ad eliminare le istituzioni esistenti. Al metodo rivoluzionario Popper, che è dichiaratamente e manifestamente contrario all’uso della violenza, ritenuta dal suo punto di vista ammissibile soltanto per abbattere la tirannide ed instaurare la democrazia, contrappone un riformismo gradualista, basato cioè sull’attuazione di interventi limitati e graduali e sul confronto dei risultati previsti con quelli effettivamente raggiunti, prestando inoltre sempre molta attenzione ad individuare le conseguenze di ogni riforma adottata. Il metodo riformista dei “piccoli passi” di Popper presenta dal suo punto di vista, rispetto al metodo rivoluzionario, alcuni evidenti  vantaggi:

-         non promette “paradisi” che poi alla fine dei fatti si trasformano in inferni;

-         non pone fini assoluti tali da giustificare l’impiego dei mezzi più ripugnanti per il loro raggiungimento;

-         procede per via sperimentale ed è pronto a correggere mezzi e fini in base alle circostanze concrete;

-         riesce e dominare meglio i mutamenti sociali, senza cadere in situazioni difficili ed impreviste, tali da facilitare l’avvento di dittature.

 

Relativamente ai giudizi espressi da Popper nei confronti del marxismo, egli elabora, in primo luogo, un giudizio positivo nei confronti del pensiero di Marx, che apprezza per la sua onestà intellettuale. Il valore del pensiero marxiano a suo avviso risiede nel tentativo di applicare metodi razionali ai problemi più urgenti della vita sociale del suo tempo: l’interesse che Marx evidenzia nei confronti della società è di ordine pratico e Popper giudica positivamente lo sforzo compiuto da Marx stesso di utilizzare la conoscenza quale mezzo per promuovere il progresso dell’uomo. Ma a questo giudizio positivo fanno seguito numerose critiche, che possono essere ricondotte a due aspetti, la critica al metodo e la critica ai contenuti.

 

Ø     CRITICA AL METODO

Prima di affrontare in dettaglio le critiche che Popper rivolge a Marx rispetto al metodo, è opportuno far riferimento alle principali dottrine epistemologiche di Popper, che rappresentano sicuramente il contributo più significativo del suo pensiero. Le sue riflessioni in questo ambito prendono l’avvio con la critica dell’idea secondo la quale le teorie scientifiche debbono essere viste come costruibili esclusivamente su base fattuale e secondo un procedimento induttivo che va appunto dai fatti alle generalizzazioni.

Popper focalizza l’attenzione, in primo luogo, sul momento della produzione di una nuova teoria. La comparsa di una congettura o di una teoria è a suo avviso accompagnata da elementi intuitivi e fantastici che non è possibile analizzare razionalmente: questo processo non può essere riprodotto artificialmente e non esistono macchine che, anche se opportunamente programmate dall’uomo, siano in grado di sostituire la funzione generativa del genio. D’altra parte, però, secondo Popper, la genesi di una congettura non ha alcun peso per il giudizio che di questa verrà formulato, giudizio che è invece la sola cosa che conta in riferimento alla razionalità. Bisogna quindi operare una distinzione netta fra contesto della scoperta, che è di pertinenza della psicologia della conoscenza, e contesto della giustificazione, in cui, mediante un procedimento di ricostruzione razionale, è possibile vagliare le ipotesi e le congetture, qualunque sia stata la loro genesi. Secondo  Popper, sulla base di un luogo comune profondamente radicato, una teoria risulta scientifica nella misura in cui può essere verificata dall’esperienza; il verificazionismo, in realtà, dal suo punto di vista, non è altro che una pura e semplice utopia perché, per verificare completamente una teoria o una legge, occorrerebbe aver presenti tutti i possibili casi, cosa che in concreto non è possibile: da una collezione, per quanto ampia, di casi particolari non potrà mai scaturire una legge universale.

La verificazione non è quindi in grado, secondo Popper, di delineare lo status giuridico di una teoria e il modello di verifica che egli elabora e definisce è basato, al contrario, sul principio di falsificabilità: una teoria è scientifica quando può essere smentita dall’esperienza e quando i suoi enunciati possono risultare in potenziale conflitto con eventuali osservazioni. Una teoria che quindi non possa  venir contraddetta da nessuna osservazione non è per Popper in grado di affermare nulla di scientificamente valido sul mondo; al contrario, più numerose sono le possibili esperienze falsificanti, cioè i falsificatori potenziali cui una teoria può far riferimento, più ricco apparirà il suo contenuto empirico e scientifico. Il principio di falsificabilità è il criterio in base al quale Popper separa le scienze dalle pseudoscienze: queste ultime, come il marxismo e la psicanalisi, escono indenni dall’applicazione di ogni forma di verificazione poiché ogni loro tesi, anche la più bizzarra e insolita, viene fatta accordare con i fatti attraverso ragionamenti più o meno sottili. Le pseudoscienze quindi sono sempre verificabili e mai falsificabili e confutabili, mentre, al contrario, le scienze possono essere certamente verificabili, ma saranno vere scienze se saranno anche e soprattutto falsificabili o confutabili. L’inconfutabilità di una scienza non è, per Popper, una virtù di quella scienza, bensì un vizio e il criterio dello stato scientifico di una teoria è pertanto la sua confutabilità.

Relativamente invece alle critiche nei confronti del pensiero marxiano, Marx stesso, afferma Popper, propone il suo pensiero prima di tutto come un metodo, il cui fine sarebbe quello di studiare le cause e gli effetti storici e, sulla base di questi, cercare di formulare una profezia circa l’avvento del socialismo. Il metodo marxiano, quel materialismo storico che, secondo Popper, esprime la più totale fiducia nella predizione scientifica, è caratterizzato da due fondamentali vizi di forma:

-         determinismo (à influenza di Laplace): secondo Marx, che per Popper in queste sue affermazioni dimostra di non aver letto correttamente Laplace, la scienza può predire il futuro solo se questo è rigidamente predeterminato; il metodo scientifico quindi, basandosi su un rigido determinismo, può individuare le cause che determinano gli sviluppi sociali.  Secondo  Popper, invece, scientifico e deterministico non sono sinonimi e non è vero che l’adozione di un metodo scientifico debba necessariamente favorire l’assunzione di una prospettiva di rigido determinismo: è possibile infatti utilizzare un metodo scientifico ed approdare ad un sapere indeterminato;

-         confusione fra predizione scientifica (à dall’inglese prediction), che indica in effetti la previsione propria della scienza, e profezia storica generale, che indica le linee di sviluppo complessivo della società, ma che non assume, a differenza della prima, carattere scientifico.

Il materialismo storico di Marx, secondo Popper, in quanto storicismo, quindi convinto della possibilità di prevedere il corso degli eventi storici, e economicismo, fondato cioè sulla convinzione che l’organizzazione economica della società sia fondamentale per tutte le formazioni sociali, presenta alcuni aspetti contraddittori, che lo portano ad essere smentito storicamente e che sono in particolare rappresentati da:

a)     incongruenza fra l’evoluzione effettiva della rivoluzione russa e la teoria marxiana del rapporto tra rivoluzione politica e rivoluzione sociale: secondo Marx, la rivoluzione sociale si evolve secondo le seguenti tappe:

-         le condizioni materiali di produzione crescono fino a generare una condizione di conflitto insanabile fra i soggetti che producono e le stesse condizioni materiali;

-         comincia la rivoluzione sociale che sconvolge la base economica e con essa quella sociale, politica e culturale, cioè la sovrastruttura;

-         si innestano nuovi rapporti di produzione.

Secondo Popper, questa evoluzione non è in alcun modo identificabile e riconducibile agli esiti della rivoluzione russa, cosa che mette in discussione il carattere predittivo di tutta l’impalcatura metodologica di Marx;

b)    sopravvalutazione delle condizioni materiali: secondo Popper, l’interazione fra condizioni economiche ed idee non è sempre unidirezionale, nel senso di una dipendenza stretta delle seconde dalle prime, in quanto esistono idee che sono più forti dei mezzi di produzione: se si ammette, per assurdo, che possa essere interamente distrutto un sistema economico, la conoscenza scientifica che permane e sopravvive sarebbe in grado di consentire la completa ricostruzione del sistema economico stesso, ma non vale certamente il percorso contrario;

c)     l’economicismo radicale viene smentito dagli stessi sviluppi del marxismo: secondo Popper, infatti, proprio dopo la rivoluzione russa, Lenin si trovò privo di idee veramente valide su cui costruire l’impalcatura economia sovietica e realizzare concretamente la rivoluzione, segno questo che l’abbattimento delle vecchie forme di produzione non conduce necessariamente all’instaurazione di nuove forme e che la struttura economica non è prioritaria rispetto alle idee, ma che sono queste invece ad assumere una posizione di maggiore rilevanza.

 

Ø     CRITICA AI CONTENUTI

 

Marx, secondo Popper, fu un falso profeta perché nessuna delle sue profezie si è rivelata veritiera e perché ha sviato e confuso molte persone, inducendole a credere che la sua profezia storica, originata e prodotta da un metodo ritenuto autenticamente scientifico di approccio ai problemi sociali, si sarebbe effettivamente avverata. Le critiche di Popper al marxismo non sono in effetti completamente originali, ma sono il frutto di una polemica di lungo periodo, che si evidenzia sullo sfondo della storia del Novecento, in particolare a partire dalla Rivoluzione Russa del 1917. Critiche analoghe e riconducibili a quelle popperiane furono infatti formulate da:

-         Weber: non cita direttamente Marx, ma nelle sue critiche si riferisce chiaramente al suo pensiero e al suo metodo, contro cui muove l’accusa di pretendere di dedurre la realtà da leggi astratte, con esclusione di tutto il portato esperienziale della rivoluzione scientifica;

-         Sorel: accusa il materialismo storico di rinchiudere la storia nell’ambito di un sistema chiuso di cui darebbe le leggi. Il materialismo storico sarebbe quindi una metafisica che si impone come gabbia della realtà;

-         Croce (anni ’30 del Novecento): l’atteggiamento iniziale nei confronti di Marx fu di disponibilità a riconoscerne i meriti teorici, ma poi approda, durante gli anni del fascismo, ad una sorta di liquidazione, fondata sull’idea che tutta la riflessione marxiana fosse in effetti fondata su un grossolano Assoluto economico (à Dio senza religione che si pone come grande artefice della storia) che sostituendo l’idea hegeliana, tirerebbe le fila degli avvenimenti.

 

Le critiche popperiane alla dottrina di Marx sono riconducibili a:

a)     critica alla dottrina marxiana delle classi

b)    critica alla dottrina marxiana dello stato

c)     critica alla profezia finale dell’avvento del socialismo.

 

a)     critica alla dottrina marxiana delle classi

 

Secondo Marx, la storia di ogni società è una storia di classi e tutta la storia è storia di lotta di classe. Ciò significa che il destino dell’uomo non è il prodotto della guerra delle nazioni, come affermava anche Hegel, ma è determinato dalla guerra fra le classi sociali. Secondo Marx, che parte dal presupposto che in nessuna società si è mai stati o si è liberi, ci si può liberare ed emancipare dal lavoro produttivo solo facendo fare ad altri, al posto nostro, il lavoro faticoso, rendendo quindi alcuni nostri simili schiavi e dividendo il genere umano in:

-         classe dirigente à si libera da vincolo che la lega al lavoro produttivo ed ottiene libertà

-         governati à divengono schiavi e la classe dirigente è costretta a combatterli e a reprimerli

I governanti e i governati si trovano quindi, socialmente e storicamente, a combattere gli uni contro gli altri.

Dal punto di vista storico, inoltre, secondo Marx, i sistemi sociali sono poi soggetti a variare col mutare delle condizioni di produzione e pertanto ad ogni periodo di sviluppo economico corrisponde uno specifico sistema sociale. Le relazioni di classe, nell’ottica marxiana, sono indipendenti dalla volontà degli individui: essi sono come “ciechi” perché è il sistema di classe che induce ogni individuo a credere che gli interessi di classe siano i suoi propri interessi; quindi, da questo punto di vista, né l’operaio, né il capitalista hanno colpe e si comportano pertanto così come il sistema li obbliga a comportarsi. Secondo Marx tuttavia, nonostante le classi non possano modificare volontariamente il sistema, tutte contribuiscono alla sua trasformazione: il capitalista,  infatti, spingendo l’umanità alla produzione per la produzione, costringe il sistema sociale alla creazione di condizioni materiali di produzione che possono costituire la base reale di una forma superiore di società, il cui principio sia lo sviluppo pieno e libero di ogni individuo. Queste condizioni si raggiungono, secondo Marx, attraverso l’autocoscienza, attraverso cioè quel percorso mediante il quale la classe operaia giunge ad acquistare consapevolezza della propria situazione oggettiva di classe e della lotta di classe.

Popper, pur apprezzando Marx per il suo tentativo di usare la logica della situazione di classe  per spiegare il funzionamento delle istituzioni proprie del sistema industriale, ritiene la dottrina delle classi sociali una semplificazione:

-         eccessiva, in quanto viene interpretata da Marx stesso come “meccanismo inevitabile” di spiegazione delle trasformazioni della società nel suo complesso, in ogni tempo e in ogni luogo, mentre dovrebbe semplicemente porsi come una delle possibili angolazioni da cui spiegare l’evoluzione della società;

-         pericolosa, perché porta ad interpretare tutti i conflitti politici in termini di lotta fra sfruttati e sfruttatori

 

b) critica alla dottrina marxiana dello Stato

 

Marx non ha scritto nessuna opera di teoria dello Stato in senso stretto, ma ha presentato in tutti i suoi scritti più importanti riflessioni ed annotazioni sull’argomento, riprese nel Novecento dai sostenitori del pensiero marxista.

Nella prefazione a Per la critica dell’economia politica del 1859, Marx afferma molto chiaramente che le diverse forme dello stato non possono essere comprese per se stesse o sulla base dell’evoluzione generale dello spirito umano, ma possono essere effettivamente chiarite solo nel momento in cui vengono ricondotte alle loro radici economiche, cioè ai rapporti materiali di esistenza. Rovesciando pertanto una lunga tradizione culturale, politica e filosofica (vedi Hegel) che vedeva nello stato il punto di arrivo e il pieno compimento di tutte le forme di società pre-statali, Marx considera lo stato come sovrastruttura rispetto alla società civile, che è invece il luogo vero in cui si svolgono e si concretizzano i rapporti materiali di esistenza. Nel Capitale Marx definisce pertanto lo stato come il luogo della violenza concentrata ed organizzata nei confronti della società civile e prospetta un processo che deve necessariamente condurre all’estinzione dello stato stesso e alla sua riduzione a quella che è la sua vera radice, appunto la società civile: è la vita materiale degli individui, cioè il modo di produzione e la forma delle relazioni, che costituisce la base reale dello stato, quindi non è il potere dello stato che crea questi rapporti, ma sono i rapporti stessi che creano lo stato. Lo stato cui si riferisce Marx è ovviamente lo stato moderno, sovrastruttura di una società civile dominata dagli interessi della borghesia. Lo stato borghese, quindi, compresa la democrazia rappresentativa, è per Marx un insieme di apparati istituzionali ed ideologici che sono funzionali alla borghesia stessa per esercitare il suo dominio di classe. Visti in questo modo, lo stato e i suoi meccanismi non possono tuttavia essere considerati strumenti tecnici neutrali, tali cioè da poter essere utilizzati anche a vantaggio del proletariato: lo stato, per Marx, è certamente una macchina, ma non tale da poter essere utilizzata da ognuno (dove “ognuno” si intende ogni classe sociale) a proprio arbitrio, ma risponde sempre e comunque alle necessità della classe dominante, che è portata a forgiare una macchina statale adattata alle proprie esigenze.

Popper cerca, in primo luogo, di individuare le conseguenze della dottrina dello stato di Marx, che sono riconducibili a:

-         impotenza della politica nel determinare la realtà economica à tale conseguenza è per Popper paradossale rispetto all’importanza storica che il marxismo ha assunto proprio come stimolatore delle masse nei confronti della partecipazione politica. Secondo Popper, i marxisti potrebbero obiettare a Marx che l’azione politica, lungi dall’essere ininfluente, ha avuto la funzione di:

§        risvegliare la coscienza di classe

§        ottenere migliori condizioni per i lavoratori

-         eccessiva valutazione delle dinamiche economiche à secondo Popper, Marx, che ha scoperto, ma anche sopravvalutato, il ruolo delle dinamiche economiche, ha proposto una tesi viziosa secondo cui il denaro potrebbe tutto, anche più del potere fisico o dell’autorità dello stato. Questa tesi, che, secondo lo stesso Popper, può forse essere valida in regime di capitalismo sfrenato, quindi non controllato da parte del potere politico, diventa insostenibile se si ammette un controllo vero e reale del mondo economico da parte del potere politico stesso.

Per Popper, quindi, l’ordine proposto da Marx, potere reale economico – rapporti economici fra le classi – potere politico, deve essere invertito, in quanto il potere politico può e deve controllare il potere economico; quella che secondo Marx è mera libertà formale, cioè la democrazia, diviene in Popper la base di ogni altra libertà, poiché sancisce il diritto di un popolo di giudicare e far cadere il proprio governo. Le proposte che Popper avanza pertanto dal punto di vista politico sono:

-         riformismo gradualista: per evitare gli abusi di qualsiasi potere statale occorrono istituzioni che siano in grado di proteggere i cittadini dagli abusi di una libertà illimitata, che distrugge se stessa in quanto implica ed ammette il potere e la supremazia del forte sul debole. I cittadini hanno quindi il diritto di esigere dallo stato protezione dalla violenza fisica e dagli abusi di potere economico;

-         interventismo economico: il capitalismo sfrenato deve essere, secondo Popper, pianificato e controllato, sempre nel rispetto della libertà; l’intervento dello stato deve limitarsi perciò a quanto strettamente necessario per la protezione della libertà stessa.

 

c)     critica alla profezia finale dell’avvento del socialismo

Quella che Popper definisce “profezia di Marx” è riconducibile a tre argomentazioni marxiane sviluppate nel Capitale:  

I.                   il metodo di produzione capitalistico, che porta progressivamente ad un incremento della produttività del lavoro connesso con i miglioramenti tecnici e con il moltiplicarsi dei mezzi di produzione, ha come tendenza  generale quella di determinare un accumulo di ricchezza sempre maggiore nelle mani di un numero sempre minore di persone, con conseguente aumento della miseria da un lato e della ricchezza dall’altro;

II.                tutte le classi intermedie scompaiono, ad eccezione della borghesia dirigente e di una vastissima classe di lavoratori sfruttati; la tensione fra queste due classi porta inevitabilmente alla rivoluzione sociale;

III.             l’esito della rivoluzione sociale, la vittoria dei lavoratori sulla borghesia, sarà seguito dall’affermazione di una società senza classi, perché costituita in effetti da una sola classe, il proletariato; in questa società, la società socialista, non vi sarà alcuna forma di sfruttamento.

 

Popper riprende queste tre argomentazioni, rovesciandone l’ordine, per poter comprendere meglio se le conclusioni derivino effettivamente dalle premesse. Il suo ragionamento si sviluppa nel seguente modo:

III argomentazione

premesse:

1)     lo sviluppo del capitalismo porta all’eliminazione di tutte le classi, eccettuate la borghesia ed un immenso proletariato;

2)     la miseria in cui versa il  proletariato lo induce a rivoltarsi contro la borghesia sfruttatrice

conclusioni:

a)     i lavoratori devono vincere la lotta

b)    la borghesia viene eliminata

c)     si instaura una società senza classi

Secondo Popper le conclusioni a) e b) discendono dalle premesse 1) e 2) perché, senza più una classe di sfruttati che garantiscono la sua sussistenza materiale, lo sfruttatore scompare e muore, mentre lo stesso non accade allo sfruttato, che quindi da questo conflitto esce vincitore. La conclusione c) invece, secondo Popper, non discende necessariamente da nessuna delle premesse perché, anche qualora si ammetta la permanenza di una sola classe, il proletariato, ciò non implica assolutamente che poi questo, vinto il nemico comune rappresentato dal capitalismo, non giunga a  dividersi nuovamente in classi.

In definitiva, gli sviluppi storici possibili di una rivoluzione vittoriosa del proletariato possono, per Popper, essere molteplici e il fatto di credere intensamente in uno non significa che questo poi effettivamente e necessariamente si verificherà

II argomentazione

premessa: il capitalismo porta ad un aumento della ricchezza e della miseria

conclusioni:

a)     scompaiono tutte le classi, eccetto la borghesia e il proletariato, il quale acquisterà sempre maggiore consapevolezza e sarà quindi sempre più unito

b)    la tensione fra borghesia e proletariato porterà inevitabilmente ad una rivoluzione proletaria.

Secondo Popper, né la conclusione a), né la b) discendono dalla premessa e Marx non tiene conto di molti altri possibili sviluppi. In particolare, rispetto alla questione della scomparsa di tutte le classi, eccetto borghesia e proletariato, Popper obietta che tale considerazione può essere valida se applicata alla situazione storica che Marx aveva in mente, cioè il capitalismo e il proletariato industriali, ma non tiene conto degli orientamenti del mondo rurale, che non è detto che debba condividere le scelte del proletariato industriale, di quelli di alcuni settori del proletariato (quella che Marx definiva “plebaglia” perché disposta a vendersi al nemico di classe), che non condividono la coscienza di classe degli stessi proletari, e del fatto che la stessa comune condizione di miseria dei proletari non è detto che debba condurre necessariamente alla fiducia nel successo della rivoluzione.

In conclusione Popper, rispetto alla possibilità della permanenza di due sole classi, borghesia e proletariato, afferma appunto che si tratta di una possibilità fra molte altre e che, come tale, può verificarsi, ma potrebbe anche non darsi.

Rispetto alla conclusione b), che fa riferimento all’inevitabilità della rivoluzione data la crescente tensione fra borghesia e proletariato, Popper critica in primo luogo l’idea della rivoluzione sociale elevata a “concetto storico”, cioè a inevitabile fase di passaggio dal capitalismo al socialismo, che non è detto, tuttavia, come Popper sostiene, che debba darsi necessariamente, e secondariamente la componente violenta legata al concetto di rivoluzione sociale. Popper, che non è contrario alla violenza in senso assoluto, ritiene che qualsiasi rivoluzione debba portare solo all’affermazione della democrazia, intesa, dal punto di vista popperiano, come insieme di istituzioni che permettono il controllo pubblico dei governanti e la loro destituzione da parte dei governati, i quali, a loro volta, attraverso le suddette istituzioni, debbono poter ottenere riforme senza ricorrere alla violenza.

Popper parla, a proposito dell’atteggiamento del marxismo nei confronti della violenza, di “sistematica ambiguità”, aspetto che rappresenta, a suo avviso, l’elemento più dannoso del pensiero marxista stesso; tale ambiguità si manifesta sia nell’atteggiamento generale nei confronti della violenza, che diviene categoria storica dotata del carattere dell’ineludibilità (se lo stato è tirannide esercitata dalla borghesia, la violenza è consentita e pienamente giustificata e tutto ciò che si può e si deve fare è sostituire alla dittatura della borghesia quella del proletariato), sia nel suo possibile impiego: il proletariato, infatti, secondo Popper, potrà servirsi della violenza non solo nella fase di conquista del potere politico, ma anche per la sua conservazione, impedendo, appunto con la violenza, ogni possibile futura trasformazione in senso democratico.

L’ambiguità che si evidenzia nel modo di intendere la violenza ha una corrispondenza storica, secondo Popper, con le posizioni delle diverse correnti del marxismo, riconducibili a:

-         ala radicale: ogni governo di classe è necessariamente una dittatura che va rovesciata, anche con la violenza se necessario, per instaurare la dittatura del proletariato;

-         ala moderata: i governi controllati dalla borghesia capitalistica possono essere rovesciati pacificamente mediante una politica di riforme pacifiche e graduali.

Secondo Popper, ambedue le posizioni sono contenute e teorizzate nel Capitale, anche se la seconda, quella che prospetta una riforma graduale del capitalismo, è in netta contraddizione con la  prima, che prospetta invece la totale distruzione del capitalismo stesso. Alla possibilità di concepire una riforma del capitalismo Marx pare sia giunto, in età matura, in seguito all’analisi e alla valutazione delle riforme sociali in Inghilterra, che riconobbe come l’unico paese in cui la rivoluzione avrebbe potuto essere attuata per intero con mezzi pacifici e legali.

 

In conclusione, secondo Popper, gli argomenti su cui si basa la profezia marxiana sono validi: se si constata, infatti, in un determinato  momento storico, il manifestarsi di una certa tendenza o direzione storica, non è possibile sapere quale aspetto essa potrà assumere in futuro. Secondo Popper, pertanto, ogni cosa è possibile negli affari umani e non si può escludere alcuno sviluppo, anche quelli in contrasto con la tendenza al progresso umano o con altre presunte leggi della natura umana.

Secondo Popper quindi il progresso non è una legge di natura.

 

Bibliografia

 

-         Karl Popper, Miseria dello storicismo, Feltrinelli, Milano, 2003

-         Karl Popper, La società aperta e i suoi nemici. Hegel e Marx falsi profeti. Vol. II, Armando, Roma, 2002

 

-         G. Fornero, Protagonisti e testi della filosofia. Vol. D tomo 2, Paravia, Torino, 2000

-         D. Massaro, Comunicazione filosofica. Vol. 3 tomo A, Paravia, Torino, 2002

-         F. Restaino, Storia della filosofia, vol. 4/2. La filosofia contemporanea: filosofie analitiche e continentali. Utet, Torino, 1999

-         M. Vegetti, F. Alessio, F. Papi, Filosofie e società. Filosofia contemporanea, Zanichelli, Bologna, 1992

 


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