SPINOZA


 

 

Baruch Spinoza si innesta sulla linea cartesiana ed è il primo a respingere tematicamente la preghiera come illusione. La negazione della preghiera, che in Cartesio era implicita (meglio: non vista) e che in Pascal era vista ma rigettata, in Spinoza è vista, assunta e proclamata: egli crea un onnicomprensivo sistema del mondo a cui fa seguito una totale negazione della preghiera. Spinoza muove da Cartesio e, per ciò stesso, riconosce soltanto la piena evidenza razionale dei primi principi dai quali desume l’assoluta razionalità del reale. Il “principio di immanenza” è dunque portato all’estremo, sboccando in un panteismo sostanzialistico assoluto (Deus sive natura) dove ogni disposizione religiosa tradizionale è ridotta a mera superstizione. Nell’universo di Spinoza, nulla accade che turbi l’ordine e la necessaria connessione del tutto. Nel capitolo VI del Trattato teologico-politico, è racchiusa una trattazione del miracolo e una confutazione dell’uso che di esso ha fatto la tradizione. Secondo Spinoza, il mondo è retto da un tessuto di leggi di ferrea e assoluta necessità che non può essere turbata da eventi (i miracoli) che sarebbero mere infrazioni a tale necessità. E la preghiera si pone sempre come gesto di attesa, di richiesta e di speranza che accada qualcosa di miracoloso che spezzi l’ordine necessario del tutto. Sicché, per Spinoza, pregare non ha senso, è segno di ignoranza e, insieme, di arroganza: il vero atto di adorazione divina è l’accettazione delle leggi di natura e la sottomissione ad esse. Se preghiamo, mettiamo in crisi ogni nostra certezza, la quale deve riposare sulle leggi naturali, che sono le leggi di Dio stesso: e Dio non può certo contravvenire alle proprie leggi. Tutto ciò che è stato inteso come miracolo – dice Spinoza – non era altro che una particolare ed eccezionale manifestazione delle leggi di natura: così, ad esempio, l’aprirsi delle acque del Mar Rosso è sì un fatto realmente accaduto, ma non è certo stato un miracolo; piuttosto, è stato un fatto naturale come tutti gli altri, spiegabile attraverso la teoria delle maree. Del resto, un Dio che sospendesse per capriccio dell’uomo le leggi che Egli stesso ha posto, sarebbe un Dio inaffidabile e contraddittorio. Anche nell’Etica dimostrata secondo il metodo geometrico, Spinoza conduce una critica serratissima della preghiera: in particolare, il nostro autore confuta l’antropomorfismo, inteso come superstizione che sta dietro alla preghiera. Quest’ultima è un’illusione dell’uomo, il quale si crede libero di rivolgersi a un Dio libero. La preghiera non è soltanto inutile, è anche assurda: è uno degli atti umani che Spinoza disprezza maggiormente. E tuttavia, rispetto all’Etica, nel Trattato si possono rinvenire pagine apparentemente di diverso tenore, nelle quali si riconosce un certo valore alla preghiera: ma è sempre una validità suppletiva, nel senso che chi è incapace di un puro pensare (donne e bambini) resta legato alla sensibilità e all’immaginazione della preghiera. Non avendo a disposizione altri mezzi, è bene che questa gente incapace di pensare preghi: ma ancora meglio, sembra dirci Spinoza, sarebbe educarla al pensiero. “Nel pregare, il volgo adula Dio ma non Lo adora, perché adorarLo si può soltanto nel pensiero”, scrive Spinoza. A suo avviso, infatti, il vero culto di Dio è quello del filosofo, il quale non prega proprio perché ha compreso la realtà di un Dio che non può essere pregato. La scissione cartesiana è drasticamente risolta in favore del “Dio dei filosofi”. Come è noto, secondo Spinoza l’uomo percorre i tre gradi della conoscenza: a) la conoscenza immaginativo-percettiva, b) la conoscenza razionale-discorsiva, c) la conoscenza intellettuale. A questi tre gradi corrispondono in sede etica a) la sudditanza alle passioni, b) la libertà dalle medesime, c) l’assunzione del punto di vista di Dio. Chi perviene alla conoscenza puramente intellettuale, giunge allo stato beatificante dell’amor Dei intellectualis, nel quale “è possibile sentire e sperimentare di essere eternamente in Dio”. La posizione di Spinoza è il grande modello al quale si rifarà ogni razionalismo successivo.

 

 


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