SITUAZIONE STORICA E SOCIALE DAL IV AL I SECOLO a.C.

Nella seconda metà del IV secolo, con l'espansione della monarchia macedone, l'assetto politico della Grecia e dell'intero mondo mediterraneo vennero radicalmente trasformati.

Dopo la battaglia di Cheronea Filippo raccolse le città greche in una confederazione che le sottometteva al potere macedone, garantendo loro l'autonomia nelle questioni interne e mantenendo gli equilibri sociali a vantaggio dell'aristocrazia contro il demos urbano.

Con le conquiste di Alessandro l'Asia Minore, la Persia e l'Egitto caddero sotto l'egemonia militare dei Greci. Alla sua morte l'impero venne diviso in una serie di regni militari: le dinastie più potenti si installarono in Egitto, Siria e Macedonia.

Questi regni, definiti ellenistici, non intaccarono la struttura sociale esistente, ma la rafforzarono sovrapponendovi solo il potere della Corte e del suo apparato militare e amministrativo. In Oriente la proprietà della terra rimase suddivisa fra il re, i grandi latifondisti e i templi delle divinità tradizionali. In Grecia l'aristocrazia delle città mantenne una certa autonomia locale, aumentando anche le sue ricchezze terriere. Il problema dell'eccedenza di popolazione priva di terra, che non aveva trovato soluzione nella polis indipendente, nella nuova situazione trovò agevole soluzione: la nuova forza militare dei re privò di cittadinanza il demos urbano povero e senza terra, costringendolo ad emigrare e a fondare nuove città in Oriente (come Alessandria), trovando occupazione negli eserciti mercenari di cui i nuovi re avevano bisogno per le loro interminabili guerre di espansione.

La nuova civiltà che si era venuta a creare fu detta ellenistica perché ellenisti erano stati chiamati gli Orientali ellenizzati attraverso la diffusione della lingua e della cultura greca, l'educazione scolastica, l'emigrazione, il commercio, i matrimoni misti e il servizio militare. La nuova monarchia assoluta si ispirava al culto dell'individuo eroico ed eccezionale. Il potere centralizzato si intromise anche nella sfera economica, si circondò di una corte fastosa e si appoggiò al favore dell'esercito e degli alti notabili. Centro motore dell'Ellenismo fu la borghesia, mentre la massa dei lavoratori dipendenti forniva le braccia allo sviluppo del commercio e dell'industria. Il linguaggio ufficiale delle burocrazie fu la Koinè, una lingua a base greco-attica, mentre la lingua nazionale sopravviveva nelle campagne e l'aramaico e l'egizio erano parlati dalle classi inferiori cittadine.

La società ellenistica è divisa in strati che non comunicano fra di loro. Al vertice vi è il potere del re e della sua corte di generali, re che viene divinizzato e fatto oggetto di culto religioso come accadeva per gli antichi monarchi orientali.

I nuovi stati, rispetto alle polis del periodo precedente, non presentano alcuna coesione etnica e sociale, essendo l'unico vincolo quello della sottomissione al re, sottomissione rafforzata dai re con il potenziamento dell'apparato burocratico e militare. Questo apparato era però costoso, e per mantenerlo occorreva aumentare il prelievo fiscale o andare a continue guerre di rapina e di espansione territoriale, le quali a loro volta richiedevano investimenti per pagare i mercenari. Per questi motivi il mondo ellenistico si presenta molto instabile, anche se da un altro lato bisogna riconoscere che la nuova situazione politica e geografica favorisce notevolmente lo sviluppo dei traffici e dei commerci, grazie all'aumento della circolazione del denaro e delle merci.

Grazie a questa situazione si crea un ceto di ricchi commercianti, che concentrano nelle loro mani autentiche fortune, cosa che difficilmente sarebbe potuta accadere nel mondo della polis.

Si tratta di un commerciante che non investe i suoi guadagni per diventare produttore, che rimane legato all'attività mercantile e che, nonostante la ricchezza, non vede aumentare il proprio prestigio sociale, lo status. L'unico modo per vedere aumentare il proprio prestigio sociale è quello di acquistare terreni: in questo modo egli può entrare a far parte della ricca aristocrazia cittadina.

In questa situazione aumenta la distanza sociale fra il re, il demos urbano (che viene espulso dalle città) e i commercianti, per cui l'unica protagonista della città ellenica resta l'aristocrazia: per questa vengono scritti i libri di filosofia e di cultura umanistica, vengono fondate grandi istituzioni educative ed elaborate nuove ideologie sulla condizione umana. Si tratta di un'aristocrazia che non si riconosce più nella tradizione aristocratico-sacerdotale precedente, che andava da Parmenide a Platone, in quanto gli sfugge l'intreccio fra sapere e potere che aveva caratterizzato quella tradizione (il sapere è ormai specializzato e chiuso nelle scuole, mente il potere è delegato al re).

In questa situazione nasce nel cittadino un senso di sfiducia; egli sente lontani il sapere (che non riesce più a dargli un'immagine compiuta e rassicurante del mondo) e il potere (scompare quella possibilità di partecipare alla gestione della vita pubblica che era stata una delle caratteristiche principali dell'epoca della polis). Ed è proprio per rispondere a queste ansie e domande che si sviluppano nel mondo ellenistico una serie di filosofie dell'uomo, della sua felicità e della libertà; nasce un sistema ideologico che ha lo scopo di rassicurare il cittadino sul senso della sua vita.

All'inizio del III secolo, su proposta di alcuni membri eminenti del Liceo, il re d'Egitto Tolomeo I fondò ad Alessandria una grande istituzione scientifica e culturale che diverrà ben presto il simbolo della cultura di quell'epoca: il Museo. I compiti del Museo erano quello di raccogliere in una grande e ordinata biblioteca tutta la produzione filosofica, letteraria e scientifica della Grecia e quello di ospitare i maggiori scienziati del mondo greco, offrendo loro una sede stabile, uno stipendio sicuro, e la possibilità di attendere in tutta tranquillità alle loro ricerche. Il Museo, grazie agli ingenti contributi finanziari dei re d'Egitto, restò per cinque secoli il maggior centro bibliografico di tutto il mondo antico.

Fu in questo contesto che si registrò la nascita del libro: i bibliotecari, per le loro esigenze di catalogazione, raccolsero tutti gli scritti in loro possesso e gli appunti in libri e collezioni di libri, ognuno dei quali doveva recare l'indicazione dell'autore e del titolo (che essi posero anche dove non c'era). Da questo momento il libro fu imposto come forma base della produzione e della comunicazione culturale. La nascita del libro modificò radicalmente anche i rapporti culturali, i quali fino al IV secolo si erano basati sull'incontro e sulla discussione personale, la polemica ravvicinata e la pubblica lezione: ora invece il libro rendeva possibile un colloquio culturale a distanza (per conoscere il pensiero di un filosofo non era più necessario andare nella pubblica piazza o nella scuola, bastava leggerne i libri e rispondere con altri libri, che finivano negli scaffali della biblioteca di Alessandria). Fu così che si svilupparono i commenti ai classici. Furono proprio questi commenti, che saranno il genere letterario più diffuso sino al medioevo, a staccare la cultura dal rapporto costante con i problemi della società e del sapere.

Il Museo di Alessandria divenne anche una sede permanente e centralizzata per la ricerca scientifica. In questo modo la scienza, in pochi decenni, fece passi da gigante, anche se il prezzo che dovette pagare fu il distacco dai problemi sociali e l'isolamento dalla vita della città, oltre all'abbandono dell'impegno politico e di ogni responsabilità. Tramontava così il progetto di Platone di mettere il sapere scientifico al servizio della riforma della società. E tramontava anche quell'ideale di tecnico-scienziato impegnato insieme nell'attività pratica e nell'elaborazione teorica di cui aveva parlato Anassagora e che i medici ippocratici avevano impersonato. I professori di Alessandria si presentano come scienziati puri, che rifiutano le applicazioni tecniche del loro sapere e il lavoro manuale (i biologi alessandrini non visitano i malati, a parte il re; i fisici non costruiscono macchine, a parte quelle da guerra che il re chiede loro). Tutto questo è causa del decadimento sociale ed intellettuale della figura del tecnico (demiourgos) che aveva dominato la scena del V secolo, la cui scienza decade al livello di attività puramente empirica e manuale.

Il contatto fra filosofi e scienziati era stato l'elemento che in passato aveva evitato che la filosofia divenisse astratta e vacua, grazie al suo legame con la politica e i problemi sociali della polis. Ora le scuole filosofiche si raccolgono tutte ad Atene ed elaborano una filosofia consolatoria e retorico-letteraria rappresentata da stoici, epicurei, Liceo ed Accademia; permane comunque anche una corrente critica nei loro confronti rappresentata da cinici, cirenaici e scettici. Le nuove scuole, a causa del loro dogmatismo, assomigliano molto a delle sètte, in cui scarso è lo spazio destinato alla discussione e al confronto con le altre scuole.

Si diffondono in questo periodo le prime dossografie, storie delle opinioni dei principali filosofi, molto schematiche e agevoli.


Analisi della situazione culturale

Il termine "ellenismo" (propriamente: "ciò che risente del carattere greco") è stato per la prima volta coniato dal Droysen nella sua opera Storia dell'Ellenismo (1836-43) in cui cerca di fissarne i limiti cronologici tra il 323 (morte di Alessandro il grande) e il 30 a.C. (morte di Cleopatra e fine dell'ultimo regno ellenistico).

Se per Ellenismo intendiamo però il fenomeno del traboccare della cultura greca al di fuori dei limiti nazionali e la sua universalizzazione con la diffusione della "paideia" classica (equivalente greco del nostro concetto di cultura, intesa però non come semplice erudizione, ma come cultura formativa dell'individuo, sia come privato che come cittadino) allora esso sembra coprire un periodo molto più vasto.

Tra i meriti dell'Ellenismo bisogna ricordare la trasmissione alle generazioni future degli ideali che a suo tempo avevano ispirato la paideia classica e la fusione tra i caratteri della civiltà occidentale e quella orientale. In particolare per quanto riguarda i rapporti con l'Oriente occorre ricordare come la Grecia avesse già avuto contatti e acquisito elementi della cultura egiziana, ma bisogna anche ricordare che sempre aveva rielaborato quei contenuti investendoli della propria spiritualità. Del resto l'incontro con le culture orientali era stato anticipato dalla penetrazione pacifica, per scopi commerciali, delle poleis sulle coste dell'Asia Minore. Ora le imprese di Alessandro uniscono le due culture anche politicamente.

Il carattere di questa unione sarà però prevalentemente greco, come dimostra l'opera di Filone l'Ebreo, che interpreta la Bibbia in termini greci confrontando Mosè con Platone. La stessa cultura cristiana vive di questi apporti greci, di cui si serve per elaborare la sua nuova teologia. L'Oriente fornisce d'altronde alla grecità il suo spirito religioso e mistico, offrendo nuovi motivi alla sua speculazione religiosa, che comunque sceglie la via delle religioni misteriche, componente questa che si fa particolarmente forte, al punto da ispirare il sistema di Plotino e di Proclo, i quali comunque mantengono fede al carattere eminentemente greco della razionalità.

Un altro fenomeno che va considerato come tipico dell'Ellenismo è la caduta delle barriere culturali, politiche e sociali che da secoli dividevano i Greci dagli altri popoli considerati "barbari".

Tra le tante possibili datazioni dell'Ellenismo sembra più attendibile quella che tende a dilatare tale periodo dalla fine del IV secolo a.C. alla metà circa del VI secolo d.C. Bisogna infatti considerare che l'ultima fase della cultura romana è permeata di ellenismo, e che nemmeno il Cristianesimo può essere considerato apportatore di elementi nuovi tali da non aver più nulla a che fare con l'Ellenismo, come dimostrano la predicazione di S. Paolo e le prime grandi sintesi cristiane dello Pseudo Dionigi, di Clemente Alessandrino, di Origene e di S. Agostino.

Uno degli aspetti più individuanti dell'Ellenismo è quello che riguarda i suoi rapporti con la polis: la cultura classica greca differisce infatti dall'Ellenismo in quanto è incentrata nella polis, fenomeno non solo politico sociale ma anche etico, spirituale e perfino religioso, tipicamente greco e mediterraneo. La polis rappresenta quel felice connubio fra stato (tutto) e singoli cittadini (parti) che risponde a quel concetto di sana democrazia a cui guardano sia Platone che Aristotele nei loro differenti progetti di "sane" costituzioni. Si tratta di una concezione in cui individuo e stato non sono considerati fini a se stessi, ma l'uno in funzione dell'altro. La polis per l'individuo rappresenta la vita stessa, la somma di tutti quei valori in cui egli si riconosce e crede (gli dei non sono qualcosa di universale o privato, ma sono gli dei della polis).

Con la conquista macedone le poleis non scompaiono, ma perdono tutto il carattere e l'importanza che avevano in precedenza; viene meno anche quella rivalità fra le poleis che ne aveva caratterizzato i rapporti per molto tempo.

Viene a cadere anche la distinzione fra Greci e "barbari": termine che in passato indicava non solo le popolazioni di stirpe non greca, ma anche le differenze fra alcune poleis (Pericle stentava a riconoscere come Greci quelli che non erano dell'Attica).

Al posto delle grandi personalità che le poleis avevano saputo esprimere e in cui i cittadini avevano saputo riconoscersi, la personalità di Alessandro si impone con un carattere che le poleis avevano sempre combattuto, quello della regalità di una monarchia universale di tipo orientaleggiante. Alessandro, nonostante abbia favorito la diffusione della cultura greca in tutte le aree da lui dominate, fu sempre considerato dai Greci come un "barbaro"; solo Plutarco nelle Vite parallele ne rivalutò la figura.

La vera diffusione dell'Ellenismo si ebbe solo dopo la morte di Alessandro (323), a partire dall'epoca delle lotte di successione fra i diadochi (successori), i generali che si contendono il dominio dell'impero. Dopo numerose lotte si giunge nel 272 alla stabilizzazione in quattro regni: Macedonia, che comprende la Grecia continentale; Egitto, sotto Lagidi o Tolomei, con capitale Alessandria; quello dei Seleucidi, che comprende la Siria, la Mesopotamia, le provincie orientali e parte dell'Asia Minore, e che ha per capitale Antiochia; quello degli Attalidi, comprendente la parte interna dell'Asia Minore, con capitale Pergamo.

Le città della Grecia furono ben presto assoggettate al dominio di alcuni tiranni di comodo, ossia a governi pseudodemocratici che in realtà erano autocratici (il termine tirannia non ha comunque quel significato negativo che noi oggi gli attribuiamo). Le poleis perdono così la loro libertà ma non scompaiono, anzi vengono usate dai sovrani come intermediarie fra il potere centrale e l'amministrazione periferica (come provincie), tanto che verranno addirittura moltiplicate. La sovranità si mostrerà paterna e benefattrice nei loro confronti, come attestano le titolazioni di cui si fregiano questi sovrani (Soter=Salvatore; Eugene=Benefattore; Nikator=Vincitore).

All'accentramento politico corrisponde, come già abbiamo visto, l'istituzionalizzazione regale della cultura, che porta ad un asservimento di questa ai fini politici. Ciò non vuol dire che la cultura ellenistica sia di scarso valore, ché anzi raggiunse buoni risultati in tutti i settori. Possiamo dire di essere di fronte alla nascita di una nuova grecità, il cui carattere dominante è il sincretismo. Questo fenomeno è evidente nell'assimilazione di divinità greche a divinità di altri paesi, nell'importazione di divinità locali in territorio greco. Anche le grandi celebrazioni panelleniche, come le Olimpiadi, vengono non solo mantenute, ma anche diffuse per aumentare la coesione di aree culturali diverse. Un contributo analogo diedero anche i commerci: questi erano favoriti dalla presenza di numerose banche e dall'abbondante monetazione dei sovrani, spesso in gara fra loro; da quando poi la terra, tutta nelle mani dei sovrani, non rappresentava più una fonte di ricchezza, il commercio era diventato la principale fonte di arricchimento, contribuendo a creare una nuova élite sociale, che rispetto alla precedente ha un carattere internazionale. Gli stessi sovrani favoriscono la koinè giuridica greca fra le varie nazioni.

Nonostante tutto ciò alcuni problemi sociali si acuiscono, mentre diventa sempre più forte il contrasto fra città e campagna e fra ricchi e poveri all'interno della città. Permane il grosso problema della schiavitù, nonostante le sempre più frequenti rivolte; all'equiparazione fra Greci e barbari non segue quella fra uomini liberi e schiavi (differenza che Aristotele nella Politica aveva motivato come differenza naturale, e che poteva essere spiegata con le necessità imposte dall'arretrata tecnologia del lavoro). D'altra parte alcune scuole filosofiche, come quella dei cinici, proclamano che tutti gli uomini sono per natura uguali e liberi. Quando l'impero romano conquisterà i regni ellenistici, di questi erediterà anche i problemi.

Con la fine della polis passiamo da un individualismo politico ad un individualismo privato, generato dal nuovo universalismo. E' l'ideale del "vivi nascosto" epicureo o stoico, mentre l'assuefazione alla tirannide, l'adulazione e il servilismo diventeranno tratti comuni anche a molti uomini di cultura. Prevale la rinuncia all'azione, l'atarassia, la rassegnazione, l'introversione, il ritorno al passato. Vi sono anche alcuni elementi positivi, come il recupero dell'indagine interiore (il "conosci te stesso" socratico) e l'intensificazione della vita spirituale intesa come azione interna anziché esterna. Bisogna inoltre precisare che l'atarassia predicata da stoici ed epicurei non significa lassismo o rinuncia abulica, ma è l'atarassia del saggio, sinonimo di una faticosa conquista spirituale. Se Solone poneva il suo ideale umano nell'azione politica, l'Ellenismo valorizza la rinuncia ad essa.

Dal punto di vista filosofico l'Ellenismo è un periodo molto ricco, non solo per le grandi costruzioni sistematiche (Plotino, Epicuro) ma anche perché l'interesse per la filosofia è condiviso dalla maggior parte degli uomini d'ingegno, che in questa attività trovano il loro appagamento intellettuale e spirituale.

All'inizio questa filosofia è mossa da istanze pratiche più che teoretiche: il problema è trovare un "modus vivendi" che permetta di giungere alla pace interiore, condizione prima di ogni felicità. Il carattere settario di molte scuole di quest'epoca si spiega con il fatto che le conoscenze da queste offerte per risolvere i problemi dell'uomo assomigliano a nuovi culti religiosi: tutte poi presentano un carattere di sistematicità e dogmatismo nelle dottrine che è legato al timore che la discussione possa mostrare i limiti delle verità di cui invece questa età è alla ricerca, verità assolute. Nascono così i sistemi ateo e antimetafisico degli Scettici, materialistico degli Epicurei e degli Stoici, spiritualistico in senso religioso dei Neoplatonici. Il metodo privilegiato è quello deduttivo (Plotino).

La critica degli Scettici alla metafisica ne favorisce l'eclisse, che lascia poi spazio alla fisica messa al servizio di una determinata concezione etica o etico-religiosa del mondo. A favorire questa eclisse sono anche l'ampliarsi degli studi più propriamente scientifici e l'affermarsi degli studi di filologia. Gli interessi metafisici ricompariranno esplicitamente nell'ultima fase della filosofia ellenistica in concomitanza con gli interessi religiosi che contribuiranno a fare della filosofia una specie di teologia.

La scuola che più di altre incarna l'ideale di quest'epoca è quella stoica, che mira a fare del saggio l'ideale e il prototipo di tutta l'umanità. Si tratta, in senso filosofico, di quel cosmopolitismo che corrisponde, in senso politico, all'opera di dilatazione del mondo dovuta alla conquista di Alessandro.

Un'altra esigenza tipicamente ellenistica incarnata dallo stoicismo è quella di trovare una nuova fede, di credere in un solo dio che si sostituisca alle tante divinità tradizionali; l'unità divina per gli Stoici è un'unità impersonale immanente, il logos, presente in tutta la natura (di questo aveva già parlato Eraclito, ma dagli Stoici inteso in una rigorosa concezione panteistica). Ciò comporta l'idea di una più intima unione fra l'umano e il divino: concetto cui aderirà anche il Cristianesimo. Riflesso etico di questa concezione è che il saggio può conseguire lo scopo supremo, che è quello della condotta della vita, solo immedesimandosi con la divinità, identica alla ragione universale. Questa, presente in tutte le cose, gli è di guida per dargli modo di raggiungere attraverso l'estirpazione delle passioni la quiete e la felicità interiore: l'atarassia.

Mentre gli epicurei propendono per l'apoliticità, gli stoici ammettono anche, per il saggio, la possibilità di partecipare alla vita politica: Epicuro contrappone alla società senza confini una società più ristretta, quella degli amici, dove l'amicizia, intesa come consonanza spirituale, diventa il nuovo modus vivendi, la nuova religione, in cui l'uomo venera l'altro uomo.

Se nell'ultima fase dell'Ellenismo assistiamo ad un recupero della filosofia platonica e di quella pitagorica, questo è perché esse meglio rispondono alle esigenze religiose maturate in quella fase del pensiero ellenico; bisogna però osservare che esse, per essere dotata di quella sistematicità che Platone aveva sempre rifiutato come metodo filosofico, vengono stravolte, tanto che Pitagora diventa una sorta di santone e mistico, mentre Platone viene svisato dall'utilizzazione che ne fa Plotino. In quest'ultima fase il concetto di infinito da negativo diventa positivo: nasce così quella teologia negativa che influenzerà i primi pensatori cristiani (Pseudo Dionigi, Origene).

Più aderente al platonismo autentico è la concezione di Filone l'Ebreo, in cui si attua quella concezione di simbiosi fra platonismo e Bibbia che anticipa gli esiti cristiani di S. Agostino, attraverso una concezione personale (e non impersonale, come quella degli stoici) del divino.

Bisogna poi ricordare le versioni romane dell'epicureismo e dello stoicismo, che ebbero successo proprio perché si occuparono di problemi pratici, etici e del mondo umano. Oltre a questo interesse pratico vi era nei pensatori romani anche un interesse per il problema religioso, come dimostra la protezione accordata dall'imperatore Gallieno a Plotino, con l'incentivo a fondare una scuola-città intitolata a Platone (Platonopoli).


Periodi in cui viene diviso l'Ellenismo

1) Dall'inizio della preponderanza macedone alla morte di Alessandro (359-323 a.C.).

E' il periodo definito pre-ellenistico, caratterizzato dall'ultima strenua difesa delle poleis contro l'invasore macedone. Di questa lotta è campione in Atene Demostene, avversario del filomacedone Eschine. In questo periodo si afferma la filosofia di Aristotele e quella della scuola peripatetica (Aristotele era stato anche il precettore di Alessandro). Nel frattempo Senocrate succede a Speusippo nella direzione dell'Accademia platonica (339). Nel campo delle lettere si afferma l'indirizzo filologico; nell'oratoria, oltre Isocrate e Demostene, s'impongono Eschine e Iperide. E' il periodo in cui nasce l'universalismo ellenistico, in cui la scienza tende ad autonomizzarsi nei confronti della filosofia. Gli animi tendono a fuggire la vita politica per rifugiarsi nel passato.

2) Dalla morte di Alessandro alla caduta della Grecia sotto l'Impero romano (323-146 a.C.).

Dopo le guerre di successione dei Diadochi, la Grecia diventa una provincia romana e assume il nome di Acaia. Si tratta dell'Ellenismo propriamente detto, nella sua fase orientalizzante. Atene non è più il principale centro della cultura, sostituita in questo da città come Alessandria, Pergamo e Antiochia (fenomeno che prende anche il nome di alessandrinismo e il cui principale rappresentante in campo letterario è Callimaco). Sorge l'erudizione libresca e la critica filologica iniziata da Callimaco; l'eloquenza si fa pesante, accademica; sorge la poesia bucolica (Teocrito) e si afferma la commedia con Menandro. Aumenta l'assenteismo politico e prevalgono gli interessi etici nelle grandi scuole materialistiche degli stoici e degli epicurei (Epicuro nel 306 fonda la sua scuola, "Il Giardino", in cui insegna sino alla morte, nel 270). Si assiste all'affermarsi dello scetticismo con Pirrone, Arcesilao e Carneade. Prosegue il Peripato. Si affermano le scienze esatte e le discipline storiche (con Polibio).

3) Dall'affermarsi dell'Impero romano a quello del Cristianesimo (146 a.C. - 270 d.C.).

E' l'ellenismo alessandrino-romano, che si può datare sino alla morte di Plotino (270 d.C.). L'asse della cultura continua ad essere Alessandria, ma tende a spostarsi verso Roma. Politicamente prevale l'inattivismo nelle città greche cadute sotto il dominio di Roma, mentre si diffonde il municipalismo (prevalere di interessi locali che stimolano un nuovo provincialismo anche nel campo della cultura). Nella cultura si afferma sempre di più il sincretismo, ossia la fusione di disparati elementi: greci, romani, orientali, cristiani, sia nella letteratura che nell'arte e nella filosofia. Quest'ultima penetra decisamente in Roma all'epoca degli Scipioni, e vi si diffonde con tendenza pragmatico-eclettica rappresentata soprattutto da Cicerone (106-43). vi penetrano tuttavia anche l'Epicureismo con Tito Lucrezio Caro e soprattutto lo Stoicismo che entra così nel suo ultimo periodo: Stoicismo romano (con Epitteto, Seneca e Marco Aurelio, I-II sec. d.C.). Roma divenne meta di molti filosofi greci come Panezio di Rodi, Plutarco di Cheronea e Plotino che vi insegnò e che riuscì, col favore dell'imperatore Gallieno, ad aprire una scuola in Campania (III sec. d.C.). Nel campo delle lettere prevale una tendenza realistica e nasce un nuovo genere: il romanzo, rappresentato soprattutto da Luciano di Samosata (Storia vera, Lucio o l'asino) e che trovò subito imitatori anche a Roma (Apuleio, Petronio). Dopo una parentesi scettica (che trova nei dialoghi dello stesso Luciano la sua più pungente espressione) risorge il fervore e l'interesse religioso che anima le due ultime scuole filosofiche della grecità : il Neopitagorismo e il Neoplatonismo e segna anche l'inizio della filosofia cristiana (Origene, Clemente Alessandrino) e di quella giudaica (Filone).

4) Dalla morte di Plotino alla chiusura della Scuola di Atene (270-527 d.C.).

L'ultimo periodo dell'Ellenismo (post-ellenismo), vede la continuazione del Neoplatonismo ad opera dei discepoli di Plotino: Porfirio, Giamblico, Proclo. Con Giamblico il Neoplatonismo si rifà orientale impregnandosi di elementi misticheggianti; con Proclo, che ne segna l'ultima ripresa (agli inizi del V sec. d.C.), la scuola si trasferisce di nuovo da Alessandria ad Atene. Qui sopravviene (nel 527) il decreto di chiusura ad opera dell'imperatore Giustiniano. E' la fine della grecità pagana: dopo il breve tentativo di restaurazione del paganesimo (361-363) compiuto da Giuliano l'Apostata, il cristianesimo, ovunque trionfante, procede alla distruzione dei templi, riti, ecc. In questo modo finisce anche la filosofia veramente greca: Boezio, un cristiano di cultura ellenica vissuto alla corte del barbaro Teodorico, non ne è che un tardo epigono (+525). Eppure con Clemente Alessandrino (II sec.), filosofo greco-cristiano di tendenza ortodossa, la filosofia greca era tornata a rivivere proprio in Alessandria, nella scuola da lui risuscitata con tendenze appunto greco-cristiane (gnosi cristiana in opposizione alla gnosi orientaleggiante) quasi a sottolineare un rapporto di continuità.


Fonti della cultura filosofica Ellenistica

Sincretismo è il termine più adatto per indicare il processo di rielaborazione e di assimilazione degli elementi ricevuti dalla tradizione precedente: termine che non va confuso con quello di eclettismo (che può essere adatto ad indicare solo una particolare tendenza della filosofia ellenistico-romana che fa capo a Cicerone), ossia semplice accostamento di influenze, prive di una vera rielaborazione teoretica in senso unitario.

Le suggestioni orientali si manifestano soprattutto sotto la forma di tendenza religiosa ispirata al misticismo razionalizzato dell'ultima filosofia ellenistica, in particolare quella di Plotino, mentre il senso della continuità col passato che alimenta il senso storico dell'Ellenismo fa sì che nulla della speculazione precedente (nata in Grecia dal riscattarsi e dall'autonomizzarsi del pensiero filosofico dalla tradizione religiosa ellenica) vada perduto.

Le due tradizioni filosofiche che esercitano maggiore influenza nell'Ellenismo sono quelle costituite dalla concezione platonico-socratica, continuata dall'Accademia, e dalla concezione aristotelica continuata e diffusa dal Peripato. Più che di recupero è bene forse parlare di continuità.

Non mancano tuttavia influssi del pensiero presocratico, in particolare in Epicureismo, Stoicismo e Neopitagorismo. Dagli Ionici (Talete, Anassimandro, Anassimene) gli Stoici sembrano trarre ispirazione per quella indistinta promiscuità di materia e di spirito (detta "ilozoismo) che contrassegna la loro concezione del reale, mentre la suggestione di Eraclito è presente nella stessa concezione di un Logos divino, onnipervadente e governante il tutto. Suggestioni eleatiche sono presenti nella concezione del mondo come un tutto unico e compatto (monismo), indivisibile da dio (panteismo), eterno e immutabile nella sua complessità soggetta soltanto a un divenire ciclico (concezione che sembra sposare la concezione filosofica di Parmenide a quella di Eraclito).

Il Pitagorismo è presente non solo nel Neo-pitagorismo, ma anche in certe correnti derivate dal Platonismo (in particolare per una certa spiritualità, ovvero distinzione dell'anima dal corpo: concetto al quale appare contribuire anche la dottrina della metempsicosi presente in Empedocle e quella del Nous di Anassagora).

Come il monismo da un lato (Stoici), anche il pluralismo fa sentire la sua suggestione: non tanto nella forma elaborata da Anassagora (dottrina delle omeomerie) quanto in quella elaborata da Democrito, ossia dell'atomismo che costituisce la base della concezione materialistica di Epicuro e degli Epicurei. La concezione di Democrito è la prima ad abbandonare del tutto quella visione complessivamente razionale del mondo, della sua origine e del suo governo (che si traduce nel concetto di provvidenzialità degli Stoici), quale sembra esprimere, nel suo complesso, la grecità. Nessuna legge razionale presiede infatti, secondo Democrito, all'incontrarsi cieco degli atomi che danno origine alle cose, ma soltanto il caso e la necessità, che di quello è la conseguenza, in ordine a una concezione prevalentemente meccanicistica della realtà fisica. Si tratta di un concetto che in parte sembra corrispondere al concetto del Fato e della Tyche ricorrente nell'Ellenismo, soprattutto a proposito degli eventi umani (Polibio). Al contrario di quanto ci si potrebbe aspettare, l'etica democritea è invece pervasa di un forte senso di autonomia e di spiritualità che la apparenta alla contemporanea etica socratica ("Felicità e infelicità non stanno nei greggi o nell'oro: l'anima è sede del demone). Si tratta di un'etica razionalistica che anziché in continuità con la natura (irrazionale) si pone, a differenza degli Stoici, in contrasto con essa. Pare di assistere a quella contrapposizione fra natura e cultura che è teorizzata da alcuni dei più noti sofisti (Prodico, Ippia, Antifonte).

E' proprio dei Sofisti, come di Democrito, anche il concetto di universalità dell'uomo che sembra rompere decisamente con la preclusione della polis. A parte le degenerazioni della sofistica il senso dell'opposizione, in loro, fra natura e cultura (fusis-nomos) acquista un significato nettamente umanistico (tanto da far risalire all'uomo non solo l'origine del linguaggio e delle istituzioni civili, ma perfino degli dei): questo concetto rompe con la sacralità della polis e delle sue istituzioni fornendo una giustificazione anticipata dell'evemerismo (divinizzazione degli eroi assunti al rango di dei) e della consacrazione ellenistica della regalità.

Alla morale socratica l'Ellenismo è debitore del concetto di interiorità (approfondimento del precetto delfico del "conosci te stesso") a cui si ispirano, nella loro morale, sia Stoici che Epicurei (questi ultimi nel senso apertamente apolitico del "vivi nascosto"). Sempre da Socrate deriva il concetto di eudaimonia, ossia della felicità che è necessaria compagna della virtù, e che come tale si riflette nell'adeguato concetto del piacere presso Epicuro. Anche l'intellettualismo socratico (che è in realtà un razionalismo) secondo il quale la virtù consiste nel sapere, non mancherà di riflettersi sull'etica stoica. Infine il suo individualismo, condizione indispensabile per l'affermarsi della vita etica permane alla base della concezione di vita di Stoici ed Epicurei.

Il platonismo autentico non ebbe invece, almeno per quanto riguarda la metafisica, nell'Ellenismo il successo che il titolo di Neoplatonica, di cui si fregia parte della filosofia di quel periodo, potrebbe lasciar supporre. Della dottrina delle idee restano tracce solo in Filone, in Epicuro e nel Neoplatonismo. Il fatto è che il platonismo autentico non corrisponde in pieno allo spirito del periodo ellenistico: né per quanto riguarda il concetto della filosofia come ricerca (eros) e come dialettica, in un modo del tutto avverso al sistema, né per quanto riguarda il significato della trascendenza, essendo le principali filosofie ellenistiche (Stoicismo, Epicureismo) orientate verso l'immanenza e presentando l'ultima filosofia ellenistica, ossia il Neoplatonismo, un concetto della trascendenza assolutamente ambiguo e in tutto anti-platonico (panteismo emanazionistico).

Nonostante questo la filosofia ellenistica trae diversi spunti dal pensiero platonico, spunti in genere devianti, a partire dal problema dell'uno e dei molti, riguardante tutte le relazioni fra idee e i rapporti fra queste e il sensibile, per la soluzione del problema della realtà. E' dalle nove ipotesi del "Parmenide" platonico che Neopitagorici e Neoplatonici prendono le mosse per elaborare una teologia delle ipostasi divine e della realtà tutta come proveniente per emanazione dall'Uno-Uno superessenziale, corrispondente alla prima ipotesi del "Parmenide" e da Plotino identificato col Bene (in senso platonico) cioè Dio. Anche le configurazioni platoniche del kosmos noetòs (mondo ideale), dell'anima divina del mondo, del demiurgo, della materia, dell'eros, trovano posto in Plotino, ma assunte in un contesto, quello emanazionistico, che non ha nulla a che fare con Platone. Negli ambienti mistici ebbero poi particolare successo i miti platonici dell'anima, la metempsicosi, il demiurgo, ecc. Possiamo dire che più che Platone ha influito sull'Ellenismo un certo platonismo di scuola, di tendenza matematizzante (come quello di Speusippo e Senocrate, successori di Platone alla guida dell'Accademia dopo la sua morte) o dualistica (come quello rispecchiato da talune opere giovanili di Aristotele).

Per quanto riguarda l'influsso di Aristotele sull'Ellenismo, bisogna prendere in considerazione la tesi del Bignone, che sostiene che per gran parte dell'Ellenismo si sarebbe conosciuto solo l'Aristotele delle opere essoteriche, quello cioè dualistico, platonizzante e mistico, mentre l'Aristotele che noi conosciamo sarebbe stato scoperto solo dopo l'anno 86 d.C. Questa tesi è stata però criticata per diversi motivi: è difficile credere che la maggior parte delle opere didattiche di Aristotele fosse conosciuta solo a partire dall'epoca di Silla, mentre prima sarebbe stata totalmente sconosciuta o trascurata; è difficile credere che il Peripato non abbia lasciato filtrare idee nell'ambiente circostante; dottrine e concetti aristotelici traspaiono continuamente, sia in filosofi del primo Ellenismo che in pensatori dell'ultima fase (Neoplatonici).

L'Ellenismo ha ereditato dall'aristotelismo lo spirito sistematico e la concezione dell'essere come totalità organica (concetto dinamico con cui Aristotele intende un insieme in cui le parti hanno senso solo in rapporto al tutto e viceversa, e che esprime una tensione intrinseca al concetto di finalità esteso a tutta la natura) e come natura interamente finalizzata, concetto quest'ultimo cui si ispirano, secondo una versione rispettivamente immanentistica e trascendentistica, sia Stoici che Neoplatonici. Nelle trattazioni di Stoici ed Epicurei compaiono anche elementi dell'etica aristotelica (autosufficienza del saggio, attività contemplativa) e della politica (la costituzione mista).

Oltre la versione dell'Aristotele essoterico ed esoterico, si diffonde in epoca ellenistica anche quella di un Aristotele scettico, motivata da una presunta appartenenza del filosofo all'indirizzo scettico dell'Accademia platonica, quale si concretò nella Seconda Accademia di Arcesilao e Carneade. Questo indirizzo scettico trova scarso riscontro nell'Accademia originaria (fatta eccezione per una certa svalutazione della conoscenza sensibile e del mondo), mentre trova più legittima ascendenza nel relativismo sofistico, nonché nelle scuole megarica e cinica, due delle cosiddette "scuole socratiche". Di queste scuole del IV sec. a.C., che di socratico non hanno quasi nulla, occorre parlare, data la loro importanza nel determinare gli indirizzi scettico, stoico ed epicureo.

La corrente megarica, fondata da Euclide di Megara (da non confondere con il matematico), sviluppa in senso metafisico la scoperta socratica del concetto, assimilandola all'essere eleatico e alle sue caratteristiche di immutabilità ed eternità. Dall'assimilazione dell'essere alla Verità e al Bene discende una concezione immobilistica di entrambi, anche per quanto riguarda la vita conoscitiva ed etica dell'uomo. Risulta così praticamente negata la possibilità di una morale attivistica, così come di una conoscenza di tipo discorsivo (fondata cioè sul collegamento dei concetti), con ampie influenze in particolar modo sullo Scetticismo. Unica virtù sembra essere per loro l'impassibilità o indifferenza, sola in grado di realizzare l'autonomia del saggio.

La corrente cinica, fondata a Cinosarge da Antistene, che Platone definì l'antifilosofo per il suo ostentato disprezzo per la cultura, è una scuola a sfondo antiedonistico e autarchico, basata su un concetto pragmatico di virtù, consistente nel realizzare l'autodominio in vista dell'assoluta autosufficienza del saggio (autarchia). L'autarchia, il disprezzo dei beni esteriori e la rinuncia alla vita politica fanno dei Cinici i precursori dell'ideale di vita stoico ed epicureo: famoso è l'episodio di Diogene che vive in una botte e tratta con grande disprezzo Alessandro, espressione di una vita basata sulla rinuncia a tutto ciò che è superfluo (compresa la cultura) e sul rifiuto di ogni autorità. L'unica legge del cinico è la natura, cui si deve obbedienza a prescindere da ogni imposizione di carattere civile e religioso. Questa corrente è l'espressione del più radicale individualismo, alieno da ogni compromesso col mondo, la religione, la società; è la manifestazione di un radicalismo ingenuo e anarchico che confluirà nello Stoicismo, per riproporsi poi alla fine dell'Ellenismo, in concomitanza con certi motivi del nascente Cristianesimo.

La corrente edonistica o cirenaica si sviluppò dalla scuola di Aristippo di Cirene, che si rifà sempre al socratismo, converte il concetto di felicità (eudaimonia) socratico, consistente essenzialmente nella pratica razionale della virtù, nel principio del perseguimento del piacere (nella sua più vasta accezione), trasformando così l'eudamonismo socratico in puro edonismo. L'unica condizione richiesta per il conseguimento di questo piacere è che si tratti non di un piacere statico ma in movimento, e inoltre che si sia sempre in grado di possederlo, non di esserne posseduti. Questa corrente influenza soprattutto Epicuro, il quale però vi reagirà imponendo un calcolo dei piaceri commisurato ai bisogni e preferendo quelli (spirituali) che non inducano turbamento nell'anima. Epicuro sostiene quindi un concetto di piacere in riposo anziché in movimento. Per Egesia, un discepolo di Aristippo, il piacere è sempre accompagnato da dolore, per cui la felicità è irraggiungibile: così lo scopo della vita è quello di scansare i piaceri cercando l'indifferenza, la rinuncia e l'apatia.

Altrettanto importanti per comprendere la filosofia ellenistica sono, malgrado le cospicue deviazioni dalle dottrine dei rispettivi maestri, le correnti platoniche e aristoteliche che si sviluppano dall'Accademia e dal Liceo.

Abbiamo visto che l'Accademia, dopo la morte di Platone, fu diretta prima da Speusippo e poi da Senocrate, che le impressero un indirizzo pitagorico-matematizzante estraneo al pensiero del platonismo originario (Platone ha sempre respinto l'idea di una metafisica quantitativistica, rimanendo essa per lui incentrata in una concezione qualitativa della realtà, espressa dalle idee-valori). Speusippo e Senocrate interpretano la dottrina del Filebo platonico (circa il limite, l'illimitato, la causa, il misto) in termini matematici: facendo cioè dell'Uno e della Diade (limite e illimitato platonico) l'unica spiegazione della realtà. In Speusippo le idee scompaiono del tutto, mentre in Senocrate sussistono ancora, anche se come derivate. Questa manipolazione della dottrina platonica costituisce l'aggancio per Neopitagorici e Neoplatonici, in particolare per Plotino, che farà dell'Uno superessenziale (uperanon) il principio e il fine della sua concezione emanazionistica, ossia della sua interpretazione mistico-razionalistica della realtà. E così dall'Accademia, oltre ad un indirizzo scettico, proviene un indirizzo mistico.

L'indirizzo del Peripato (la cui sede Stratone di Lampsaco trasferì ad Alessandria) fu quello di volgersi sempre più all'indagine empirica e alla sistemazione dei dati delle singole scienze ordinate per specie, abbandonando ogni presupposto metafisico. La scienza perde così il carattere dimostrativo e abbandona il finalismo che Aristotele ha presupposto e che ha orientato la sua spiegazione dei fatti. Questo indirizzo venne inaugurato da Teofrasto, il primo successore di Aristotele alla direzione della scuola. In logica egli seguì una tendenza empirico-formale, abbandonando ogni presupposto di corrispondenza fra le leggi del pensiero e quelle della realtà, contribuendo così allo sviluppo del sillogismo ipotetico elaborato dagli Stoici. Altri membri del Peripato furono Eudemo di Rodi (autore di una Storia dell'astronomia e della geometria), Aristosseno (autore di una Storia della musica e di biografie dei filosofi) e Dicearco. Quest'ultimo scrisse tre importanti opere: una Vita dei filosofi in cui esalta l'ideale di vita pratico, contrapponendolo a quello teoretico che Aristotele aveva considerato come assolutamente superiore all'altro, e dove cerca di dimostrare che i primi filosofi non furono dei contemplativi; una Storia della Grecia in cui cerca di combattere l'idea del fato o della volontà divina, mostrando che gli uomini sono responsabili del loro destino, essendo la loro decadenza dovuta al cattivo uso della ragione; il Tripolitico, in cui ribadisce la superiorità della vita attiva su quella contemplativa e la responsabilità dell'uomo nella costruzione del proprio destino, e in cui prospetta l'ideale di una costituzione (che fu detta "dicearchica" e che fu tenuta presente da Cicerone) che sia il frutto del contemperamento delle tre forme politiche "rette" (aristocrazia, democrazia e monarchia), ritenute tali sia da Platone che da Aristotele.

La concezione di Stratone di Lampsaco è vicina a quella di Epicuro quando parla di una Fisica rigorosamente meccanicistica e quando rifiuta ogni interpretazione trascendentale delle cause.

Il periodo del quale ci stiamo occupando è caratterizzato dal declino della teoria nei confronti della prassi, dal declino della metafisica tradizionale e del corrispettivo ideale contemplativo. Questa eclissi coincide con l'età alessandrina, ma si tratta di una scomparsa momentanea: impulso teoretico e metafisica risorgeranno sotto la spinta di fattori religiosi e mistici che caratterizzeranno l'ultimo Ellenismo giungendo, con Plotino e Proclo, a porre come supremo traguardo della vita dell'uomo la contemplazione e l'estasi.


Influssi del fattore religioso sull'Ellenismo

Tutto l'Ellenismo è animato da un profondo bisogno di rinnovamento religioso, in quanto la religione ufficiale legata alla "polis" non soddisfa più. Da tempo del resto si era sviluppata accanto ad essa un altro tipo di religione, filosofica, che adombra nella divinità il proprio principio di spiegazione causale della realtà.

A volte questo concetto filosofico del divino assume un aspetto del tutto interiore (basti pensare al daimon socratico); in altre occasioni incarna il concetto della legge civile o di quella che domina l'universo (il dio-giustizia di Solone o il dio-logos di Eraclito); altre volte ancora esso perviene ad esprimersi nel concetto di un valore supremo al di sopra di tutti i valori (il dio-bene di Platone o il puro intelletto di Aristotele, nous).

Tra religione ufficiale e filosofica vi sono spesso degli scontri: Senofane fu accusato di empietà per aver affermato che il sole è una palla infuocata; Socrate fu accusato di non rispettare gli Dei ufficiali della "polis" per avere adorato un "daimon", una specie di divinità personale, interiore. Nonostante l'apparente vittoria della religione ufficiale, cui va un ossequio esteriore, vincitrice è la nuova religione filosofica, che assume sempre più l'aspetto di una religione individuale.

Fondamentale per comprendere l'affermarsi di questa religione personale fu l'ellenizzazione del mondo orientale operata da Alessandro Magno. Nel 324 Alessandro, come coronamento della sua impresa, ottiene dalle città della Grecia onori divini e Demostene concede che egli venga considerato figlio di Zeus o di Poseidone, proprio perché ormai il fatto religioso ufficiale non ha più grande importanza.

Lo scetticismo che si va diffondendo porta ad un personale distacco dai culti ufficiali più che ad un tramonto del senso della religiosità in generale. Si diffondono così nuove credenze di origine orientale alle quali si partecipa non perché si è cittadini di una polis, ma perché ognuno si sente di scegliere gli dei che più si addicono alla sua personalità. Questo fiorire di nuove credenze orientali favorisce lo sviluppo di una religione universale, in cui il concetto di divino si allarga sino ad includere divinità esotiche che nulla hanno a che fare con il culto tradizionale. Il panteon sanzionerà a Roma l'accoglimento di questo universalismo, così come l'altare ateniese al "dio ignoto".

Del resto la religione olimpica (di tipo civico, modellata sullo schema di una società aristocratica e che incarna una certa forma di razionalità) non era l'unica religione diffusa in Grecia: accanto ad essa si era diffusa in Grecia sin da tempi antichissimi un tipo di religiosità rurale, misterica e ispirata alle vicende della natura, espressione delle forze oscure e passionali dell'uomo.

Diversi studiosi hanno messo in luce la duplice componente razionale-irrazionale della spiritualità greca (che Nietzsche chiamerà apollineo-dionisiaco). Dioniso (dio dell'ebbrezza e del vino) esprime la religiosità dei campi che si contrappone a quella cittadina di Apollo (dio della musica): alla fine il culto di Dioniso (che comportava manifestazioni orgiastiche) venne accettato anche nella polis. Il culto di Dioniso si intensifica in epoca ellenistica, insieme a quello di altre divinità soccorrevoli, come Asclepio. Il concetto di un dio salvatore, maturato nella religione iranica (Zaratustra), si diffonde sempre più in quest'epoca. E' così che la divinità scende dall'Olimpo e si avvicina agli uomini, di cui può intendere anche le preghiere.

La nuova spiritualità si esprime attraverso la religiosità misterica, come nel caso dei misteri eleusini. Il culto misterico più diffuso è però quello orfico, che in quest'epoca raggiunge il massimo della diffusione e della popolarità. Riproducendo sotto la forma dell'eroe Orfeo il mito di Dioniso dilaniato dai Titani per poi risorgere sotto nuovo nome, esso proponeva il concetto di una salvazione e di una resurrezione spirituale ottenuta non solo con atti rituali, come nei misteri eleusini, ma attraverso la comunicazione di una dottrina riguardante l'anima e la sua sopravvivenza nell'aldilà. L'orfismo, adottato da Pitagora e Platone, fa uso solo di elementi spirituali, nonostante vi sia un rito di iniziazione simile a quello dei misteri eleusini. L'istanza che anima l'Ellenismo è il desiderio di fuggire l'impurità e la speranza di un'altra vita, oltre alla voglia di essere partecipi della comunità nuova, quella degli iniziati. Si tratta di una fuga dal mondo terreno operata nell'al di qua.

Accanto al concetto di anima individuale si diffonde anche quello di anima universale, tramite fra il mondo e Dio (si tratta di un'antica idea di origine orientale, che troviamo anche nei Pitagorici e in Platone; quest'ultimo nel Timeo pone, attraverso il Demiurgo, l'anima al centro del mondo come principio senza fine del movimento e dell'animazione universale e come intermediaria fra Dio e il mondo, mondo che viene inteso come un organismo vivente). Aristotele abbandona questa teoria e spiega il movimento con la finalità relativa al Primo Motore (Dio) verso cui le cose tendono come al supremo Bene o Fine, ma una concezione animistica dell'universo traspare da altre parti del suo sistema, come a proposito dell'animazione degli astri e delle sfere celesti. L'anima del mondo ritorna poi con gli Stoici, che la identificano col pneuma o fuoco divino insito nella natura.

Plotino riprende questo concetto facendo dell'anima cosmica, considerata un'ipostasi divina, l'intermediaria fra mondo intelligibile e mondo sensibile, assorbendo in essa anche la figurazione platonica del demiurgo. In Plotino questa concezione sottende un panteismo o panpsichismo (che non va confuso con l'animismo, che significa materia con un'anima simile a quella dell'uomo, o con l'ilozoismo, che considera la materia come semplicemente animata).

Mentre la religione olimpica si avviava ad essere demolita del tutto (soprattutto ad opera di Epicuro), con l'affermarsi di nuove forme di religione greco-orientali si assiste ad un interessante fenomeno sociale: il formarsi cioè di particolari comunità di individui che si propongono il reciproco perfezionamento spirituale attraverso pratiche ascetiche ed una vita in comune. Alcune di queste comunità furono vere e proprie sette e derivarono dai pitagorici o, come gli Esseni, dall'ebraismo.

Alcuni attribuiscono l'origine di queste comunità ascetiche o "terapeutiche" al Buddismo e all'India. India e Iran hanno sviluppato sistemi filosofico-religiosi in epoca molto anteriore al sorgere della speculazione greca, dando luogo ad esposizioni dottrinali che accompagnano o precedono la speculazione greca; i primi contatti possono essere fatti risalire a Pitagora, i cui viaggi, così si dice, lo avrebbero portato a conoscere la dottrina della trasmigrazione delle anime. Aristotele parla di Zoroastro come di un precursore di Platone. Con Alessandro i contatti della Grecia con l'India e l'Iran si fanno più intensi e di conseguenza più forti sono gli influssi di queste filosofie sul pensiero greco.

La più antica religione indiana è quella dei Veda: di stampo naturalistico, adora sotto forma di divinità le forze della natura, presenta un sacrificio con cui si nutrono gli dei mentre non compare ancora la dottrina della trasmigrazione delle anime.

La dottrina della trasmigrazione delle anime fa la sua apparizione nel Brahmanesimo, dottrina di carattere assai spirituale esposta nelle Upanishad. Suoi concetti fondamentali sono quelli di brahman (spirito universale) e atman (anima soggettiva). Questi due principi, che sono della stessa natura, sono destinati a coincidere nel brahman-atman. A questa unione è d'ostacolo il Karman, la legge di causalità determinata dalle vite precedenti che incatenano le anime ai corpi e al mondo fenomenico (samsara). Questo fino a quando esse non riusciranno a liberarsi dall'illusione sensibile (maya) attraverso l'ascesi, consistente nel superare l'io superficiale per trovare l'io profondo. L'assoluto, brahman, non è afferrabile positivamente, ma solo allontanando da lui tutte le attribuzioni fenomeniche (né...né...). Una volta realizzata l'unione filiale col brahman, costituita dall'estasi mistica, le negazioni potranno divenire affermazioni. Questa concezione offre lo schema di un panteismo di tipo spiritualistico e trascendentistico, di una teologia negativa, nonché di un'ascesi di puro tipo contemplatico quali si ritroveranno nell'ultima filosofia dell'Ellenismo, quella Neoplatonica.

Dal brahamanesimo si distaccano due correnti: lo yoga, che con particolari tecniche persegue la completa smaterializzazione dell'io; il giainismo, religione atea come il buddismo, che esprime una teoria dualistica e atomistica che concepisce atomi materiali e spirituali.

La concezione buddista, fondamentalmente monistica, approda al relativismo. La dottrina di Budda passa attraverso le quattro verità (constatazione dell'illusorietà del tutto e del dolore universale; constatazione che il dolore viene dal desiderio, sopprimendo il quale si giunge alla terza verità, il nirvana; la via della salvezza che comporta otto diramazioni: fede, volontà, parola, azione, esistenza applicazione, memoria e meditazione pure). La morale buddista raccomanda la rassegnazione alla sofferenza individuale, la benevolenza, la pietà, il perdono e la carità. Il buddismo pare abbia esercitato un'influenza sul cristianesimo primitivo, mentre è singolare la sua corrispondenza con le analoghe dottrine epicuree soprattutto circa il dolore, il desiderio, l'atarassia e la superfluità della regione positiva. Il buddismo si dividerà poi in piccolo veicolo (hina-yana) e grande veicolo (maha-yana): la prima tendenza si occuperà della salvezza individuale, mentre la seconda di quella collettiva; il Budda verrà poi divinizzato.

Altre correnti orientali o medio-orientali che hanno contribuito alla formazione della spiritualità ellenistica sono lo gnosticismo e la magia. La gnosi è una dottrina della conoscenza che significa anche salvazione: essa si propone il riscatto dell'anima attraverso la conoscenza delle cose umane e divine. Ritenuta la massima espressione del sincretismo ellenistico, unisce in sé concezioni iraniche, siriane, ebraiche (essenismo), medio-orientali e cristiane. Si distingue una gnosi volgare, dedita alla formazione di sette di tipo purificatorio e molto diffusa in Siria, Egitto, Asia Minore e anche a Roma, da una gnosi dotta, che ha sede in Alessandria e che conta personalità di grande rilievo come Ireneo e Marcione, in reazione alla quale sorgerà poi la gnosi cristiana. La gnosi dotta professa l'idea di un dio assolutamente trascendente e inconoscibile all'uomo o conoscibile solo attraverso intermediari (ipostasi) detti eoni, vere emanazioni di Dio. Nella versione cristianeggiante della gnosi si aspetta uno Spirito Salvatore (Cristo). L'uomo è considerato un'entità mista, formato da un elemento ilico (materiale), da uno psichico che ha la funzione di intermediario e da uno pneumatico (spirituale). A seconda di quale è l'elemento predominante abbiamo uomini ilici, psichici o spirituali; di questi solo agli ultimi è promessa la salvezza.

La gnosi riflette una visione dualistica e pessimistica del mondo e una concezione aristocratica della salvezza riservata a pochi eletti. Include in sè la credenza nella predestinazione unita a elementi di determinismo astrale e a pratiche magiche (basate sulla credenza all'esistenza di potenze malvagie accanto ad altre benefattrici che occorre ingraziarsi). Proprio per la sua svalutazione dell'azione morale, la gnosi ha incontrato grosse resistenze, sia in ambiente cristiano che in quello filosofico pagano.

Anche la magia si divide in volgare, basata sulla credenza nell'esistenza di demoni buoni o malvagi (la magia che evoca gli spiriti buoni è detta teurgia, mentre quella che evoca spiriti cattivi è detta negromanzia), e una dotta che si rifà alla dottrina dei Magi o sapienti iranici, dei quali il principale è Zoroastro. La magia viene associata alla libertà, in quanto l'uomo può operare sulle cose dell'universo modificandole; per l'astrologia invece l'uomo è determinato dall'influsso degli astri, il che esclude la libertà. La magia dotta è una vera e propria filosofia religiosa: possiamo notare una differenza fra una filosofia religiosa indiana monistica e una iranica dualistica (Zaratustra). Zaratustra è considerato, in epoca ellenistica, il sommo dei Magi. Egli cerca di contenere l'originario dualismo bene-male in una visione trascendente del dio unico chiamato Ahura Mazdah, divinità spirituale che crea col pensiero e da cui tutto dipende. Zaratustra crea lo spirito santo e quello malvagio, i quali si contendono il dominio del mondo e pongono l'uomo e lo stesso Dio di fronte ad una scelta, che presuppone quindi l'esistenza del libero arbitrio. Per la sua idea di un dio unico, spirituale, creatore, onnipotente giudice del bene e del male; per l'idea di responsabilità e colpa riferita all'uomo come conseguenza di una libera scelta originaria; per l'idea di un giudizio finale universale ed individuale è evidente quanto lo zoroastrismo abbia influenzato l'Ebraismo. Il dualismo più radicale ricomparirà più tardi ed influenzerà il manicheismo.

Fonte comune, nel tardo Ellenismo, di magia, gnosi, astrologia è il corpus hermeticum, riferito dalla tradizione al mitico Ermete Trismegisto, singolare contaminazione del dio egiziano Toth e del dio greco Ermes. I trattati che compongono il Corpus rappresentano un tipico esempio di sincretismo tardo-ellenisticoin cui confluiscono motivi platonici, aristotelici, stoici, insieme a suggestioni misteriosofiche orientali, e presentano somiglianze con gli oracoli caldaici, con gli scritti orfici e gnostici. Dio ormai è attingibile solo attraverso un'intuizione e nell'ambito di una conoscenza rivelata, ma, parallelamente, è concepito anche come creatore, conoscibile attraverso il creato. Due anche le etiche che ne derivano, una di disprezzo per il mondo perché considerato frutto di un dio malvagio, l'altra di amore per il mondo considerato creatura di un dio buono.

In quest'ultima fase dell'Ellenismo la razionalità si eclissa per lasciare spazio alle tendenze esoteriche (si avverte chiara l'esigenza di un mediatore tra l'uomo e Dio).

Un ultimo cenno, per una migliore comprensione di questo periodo al contributo dato da cristianesimo ed ebraismo. La traduzione della Bibbia in greco detta dei settanta rappresenta l'ellenizzazione della cultura ebraica. Il Nuovo Testamento fu redatto addirittura in greco, fatto che contribuì a dare origine ad una tendenza gnostica dualistica, quindi ad una gnosi cristiana. Un altra conseguenza fu l'interpretazione allegorica, ossia in termini razionali, della Bibbia, che diede luogo anche a numerose eresie. L'Ebraismo fornì il contesto di una cosmogonia ispirata al concetto di Dio unico, creatore, benefattore e provvidente per quanto giudice severo dell'uomo, in virtù del dono a lui offerto del libero arbitrio (con le conseguenze del peccato originale, della cacciata dall'Eden e del giudizio finale). Il Cristianesimo fornì, attraverso la predicazione paolina, il concetto di un Redentore, dio incarnato e promulgatore di una nuova legge: quella dell'amore; oltre al concetto di una salvezza offerta a tutti in grazia della passione di Cristo e della sua resurrezione.

I pagani furono molto attratti dal messaggio ebraico, ma l'ostacolo della circoncisione frenò la loro adesione a quella comunità; ciò favorì il successo del cristianesimo, il quale prometteva la resurrezione della carne: un concetto fino allora estraneo alla mentalità greca e che serviva a rafforzare la speranza e la fiducia di una vita completa nell'al di là. Successo ebbe anche l'etica cristiana con il suo concetto del rispetto della personalità umana, concetto di cui nel mondo ellenistico si avvertiva l'esigenza, sollecitata da una riflessione prima romana e poi stoica.


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